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5 Collegamento con il ruolo infermieristico

5.3 Testimonianze

5.3.2 Testimonianza figura infermieristica

Ho avuto la grande possibilità di effettuare un colloquio con una figura infermieristica che all’interno della sua pratica quotidiana, sia a livello personale che lavorativo, esercita la mindfulness. Questo incontro mi ha permesso di vedere la pratica in un’ ottica differente, aspetto che attraverso i vari libri non ero ancora riuscita a cogliere: comprendere ciò che è possibile portare la mindfulness sempre all’interno del proprio quotidiano e nell’interazione con gli altri, attraverso una relazione ed un approccio mindful. C. mi ha arricchita molto condividendo esempi di esperienze pratiche, così da mostrarmi nel concreto in che modo riesca a portare tale pratica all’interno dell’assistenza. Mi ha spiegato come non sia necessario chiarire alle persone che si sta utilizzando questa metodologia di approccio, poiché questa diviene un modo di essere. Afferma come alla base dell’approccio terapeutico sia necessaria un’alleanza terapeutica fra persona assistita e figura professionale.

Evidenzia come sia basilare non classificare gli individui attraverso delle patologie, (quindi importante è l’assenza di giudizio durante il percorso), ma considerare che si ha a che fare con delle persone, indipendentemente da che cosa facciano nella vita o da quali patologie siano affette. Nel lavoro con persone psicotiche, per favorire l’assistenza, è necessario entrare nel “mondo psicotico”, divenendone poi parte (con la giusta distanza psichica). Questo consente alla persona assistita di avere qualcuno che la ascolti davvero; l’ascolto permette la consapevolezza, che a sua volta aiuta a dare valore a chi si ha di fronte. Alla domanda rispetto che cosa creda possa apportare la pratica di mindfulness all’interno dell’assistenza a persone con una psicosi, la risposta è stata proprio l’ascolto ed il dare valore. È essenziale avere la capacità di comprendere la diagnosi, prendere in considerazione l’informazione e archiviarla, guardando negli occhi la persona che ci troviamo davanti. “La compassione permette di entrare nell’altra

persona, sentirla davvero”; per fare ciò è necessario prendersi del tempo, e la

psichiatria rappresenta un ambito nel quale è possibile ritagliarsi dei momenti da dedicare a questo aspetto. In questi momenti bisogna saper “lasciare spazio all’altro, e

camminare al suo fianco. Andare assieme nella stessa direzione”, considerando la sua

dignità e l’autodeterminazione. Anche l’incoraggiamento alle persone non deve mai mancare “sapere che noi ci siamo. Noi infermieri dobbiamo esserci, davvero” (presenza dell’esserci).

Tra curante ed assistito vi è uno scambio: l’infermiere fornisce degli aiuti, ricevendo sempre qualcosa in cambio.

Parlando dei cambiamenti che è possibile osservare rispetto l’assistenza a persone con psicosi che praticano mindfulness, sono emersi vari aspetti: la possibile necessità di minor dosaggio di farmaci antipsicotici, l’aumentata consapevolezza della malattia ed il numero ridotto di ricoveri coatti. C. riferisce che, secondo lei, la mindfulness rappresenta una pratica che ha le potenzialità di assumere in futuro un’ importanza maggiore nell’approccio di cura. Manifesta come però non sempre sia facile far comprendere il valore di questa pratica ed il proprio pensiero in merito, soprattutto rispetto ai benefici che questa comporta.

All’interno del centro nel quale lavora C. mi spiega che non vengono esercitate delle sedute di mindfulness formale, vi è però una fisioterapista che tratta l’aspetto

44 psicocorporeo. Sempre questa figura professionale, in collaborazione con una figura psicologa, esegue esercizi legati alla consapevolezza. C. in passato ha proposto ad una collega di creare anche dei gruppi di peer support, per permettere alle persone di comunicare ed esprimersi con chi la lo stesso vissuto (tenendo sempre presente l’unicità delle persone e le emozioni provate). Ulteriore aspetto importante è la spiegazione, con parole semplici ed adeguate alla situazione, in che cosa consistono gli esercizi che vengono proposti.

In particolare, con un paziente psicotico ha provato a praticare yoga, attraverso esercizi sul respiro e sulla posizione del corpo all’interno di uno spazio, per favorire la percezione del contatto con il proprio corpo. Questo ha apportato benefici, smuovendo molte emozioni.

Dalle sue parole ho potuto cogliere come ricerchi sempre interventi mirati e precisi adattandoli al singolo.

Spesso si propongono colloqui relazionali, prettamente infermieristici, basati sulle risorse professionali ed acquisite nel tempo, che permettono di tirare fuori il singolo potenziale e la consapevolezza delle persone: non compiuti quindi in ottica psicologica o medica. Il suo ruolo è quello di far vivere bene le persone, con il loro stato di malattia, attraverso il dialogo e l’accompagnamento; “essere la cornice del suo delirio, accoglierlo ed accompagnarlo, insinuando in lui un dubbio”. Lo scopo è far pervenire la persona ad una consapevolezza che quello che sta vivendo lo sta vivendo davvero, facendole vedere il punto di vista del curante, affinché entrambi trovino un aggancio relazionale, così da riconoscere il potenziale della persona. A questo proposito, importante è trovare il giusto canale per l’aggancio relazionale ed entrare nel mondo dell’altro, in fiducia, porta ad una vera alleanza che si dimostrerà sempre più forte in futuro, permettendo all’altro di sentirsi considerato e rispettato, accedendo sempre più ad un vissuto che si dimostrerà sempre più accessibile.

Riferisce come la mindfulness possa essere vista anche come un’attitudine personale, che diviene parte di sé; è necessaria una mente aperta. “La salute mentale richiede l’apertura della mente a 360 gradi”.

È importante condividere all’interno dell’équipe di lavoro tutto quello che emerge con i pazienti, risultati di interventi ed approcci, per far comprendere che cosa viene eseguito e dare valore all’assistenza erogata.

È basilare conoscere la storia della persona, ed essere noi, per primo consapevoli, che la persona psicotica ha un “Io” frammentato che ricerca nella nostra relazione un collante relazionale e la mindufullness è un’ottimo approccio per entrare dritti in quelle emozioni di cui in parte si è davvero consapevoli, soffermarsi sull’aspetto sociale non dimenticando però di includere nella valutazione anche l’aspetto organico (non tutti i disturbi sono collegati alla patologia psichiatrica). Come infermieri bisognerebbe aiutare i medici psichiatri ad avere una visione più generale e completa della situazione.

L’integrazione nell’ambiente sociale permette di comprendere i momenti nei quali è importante adattarsi alla realtà che ci circonda, adeguando i comportamenti al contesto. Favorendo i momenti di confidenza con i curanti si crea uno spazio dove poter condividere i propri pensieri, in un contesto “protetto”. Tutto questo riconoscendo che ognuno di noi dovrebbe avere la capacità di adattarsi al contesto che lo circonda ed alle le regole sociali presenti.

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