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- Tipo di contratto per età – percentuali di colonna

TIPO DI CONTRATTO ETA’

25-29 30-34 35-39 Totale

co.co.co 29,9 32,2 21,8 28,7

senza contratto 9,4 6,8 7,6 8,1

temp.det. 51,2 49,9 65,3 54,2

stage/coll.occasionale 9,5 11,1 5,3 9,0

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

v.a. (20.208) (14.494) (10.739) (45.441)

In termini di tipo di contratto non ci sono differenze significative tra uomini e donne; la situazione è invece piuttosto variabile per età: nell’ultima classe di età è il 65,3% ad avere un contratto a tempo determinato, contro il 51,2% della classe 25-29 ed il 49,9% della fascia d’età intermedia. Risultato che è in linea con quanto sopra accennato a proposito del rapporto tra lavori atipici ed età: tra i contratti a termine quello a tempo determinato è attualmente quello che offre maggiori garanzie, quali malattia/maternità, ferie retribuite, contributi pensionistici, trattamento di fine rapporto;

in sostanza è quello che si avvicina di più ad un contratto “fisso”.

A questo punto cerchiamo di delineare i tratti principali che caratterizzano i rapporti di lavoro flessibili a cominciare dal settore in cui vengono utilizzati maggiormente.

Una quota consistente della popolazione dei lavoratori a termine è impiegata nel privato; questo vale per entrambi i sessi ma per le donne la proporzione di quelle impiegate nel settore pubblico supera di circa 10 punti percentuali quella degli uomini.

D’altra parte, se andiamo ad analizzare il modo in cui i soggetti hanno ottenuto il lavoro, vediamo che per gli uomini la proporzione di quelli che hanno vinto un concorso pubblico è del 13,3% e sale al 17,3% per le donne. Sicuramente in tutto questo giocano anche le diverse aspirazioni delle giovani donne e dei colleghi maschi: anche se l’elevato livello di istruzione di entrambi li porta ad avere obiettivi di carriera sempre più simili, è pur vero che per le donne nella scelta di un lavoro gioca molto anche il desiderio di maternità e di famiglia che - anche a causa della asimmetria nella suddivisione dei compiti all’interno della coppia - ancora mal si concilia con un lavoro che richiede un notevole investimento di tempo ed energie come può essere quello in aziende private. Un impiego pubblico non solo dà più sicurezza, ma anche la garanzia di orari più stabili e perciò più gestibili. Tuttavia, come abbiamo già accennato, è probabile che quella dell’impiego pubblico per le donne non sia una scelta, ma l’unica alternativa possibile dal momento che per le imprese non è vantaggioso assumere una donna, non tanto per una differenza nella qualità della prestazione offerta, quanto per gli eventuali costi da sostenere in caso di assenza per maternità.

Per quanto riguarda l’orario di lavoro è da dire innanzitutto che, fatta eccezione per il contratto a tempo determinato, formalmente non è stabilito a priori dal committente, ma concordato con il “dipendente” sulla base delle esigenze di entrambe le parti. Abbiamo però constatato che nel 34,8% dei casi anche i lavoratori parasubordinati hanno un orario di lavoro fisso, presumibilmente coincidente con l’orario dei colleghi con contratti a tempo indeterminato; tale quota sale al 40,7% nel caso dei contratti tipo stage (Tavola 11). La flessibilità in questo caso non rappresenta davvero una realtà: se un aspetto positivo dei contratti di lavoro atipici è la “flessibilità di orario” che - stando alle normative vigenti - li dovrebbe caratterizzare, e non la

“flessibilità del lavoro” che troppo spesso nel nostro paese si traduce in precarietà, non si può certo dire che sia questa la situazione in cui i giovani si trovano a vivere.

Tavola 10 - Caratteristiche dell’orario di lavoro per tipo di contratto – percentuali di

stabilito dal committente 34,8 53,8 71,3 40,7 56,7

concordato con il committente 44,2 26,3 24,0 31,0 30,6

scelto da me 21,0 19,9 4,5 28,3 12,6

non sa 0 0 0,2 0 0,1

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

v.a. (13.051) (3.701) (24.600) (4.091) (45.444)

Queste situazioni spesso sono al limite della legalità, e quello della Toscana non è certamente un caso isolato. L’indagine qualitativa sui giovani lombardi con lavoro flessibile (Fellini, 2003) ha rilevato situazioni analoghe, ad esempio vi si legge: “Alle 9 devo entrare ed esco alle 5. Queste cose con la collaborazione non dovrebbero esserci ma è così. Non dovresti neanche avere una scrivania fissa: lo so perché ho fatto la causa a quella [azienda] prima, però cosa fai, tutti i giorni ti fai cambiare una scrivania?

Nella società K. lo facevano, cambiavi la postazione apposta”; e ancora: “Io timbro. La mia amica dice che non è legale, comunque noi timbriamo entrate e uscite […]. Ma poi non la timbriamo più [la pausa pranzo] perché tanto ci tolgono sempre mezzora”.

È chiaro, quindi, che il contratto parasubordinato troppo spesso è utilizzato dal committente in alternativa al lavoro dipendente; diventa così solamente uno strumento per abbattere i costi del lavoro. La posizione lavorativa di uno dei partecipanti ai focus group da noi svolti è emblematica: dopo aver lavorato per alcuni anni come co.co.co., presso un’Agenzia pubblica, ha scelto di costituire una S.r.l. che lavora in appalto con la stessa Agenzia. Attualmente è socio fondatore della S.r.l. e ha un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con la sua stessa Società per operare all’interno dell’Agenzia:

“Io posso anche scegliere come impresa di diventare dipendente della mia impresa, quindi io posso anche cambiare tutto e non essere più co.co.co.; ma come impresa, questa la dice lunga, come impresa abbiamo scelto la forma contrattuale co.co.co.

perché è più favorevole all’impresa…è una cosa folle…”.

[uomo, 34 anni, convivente, laureato]

All’interno di questo quadro generale vediamo qual è l’impegno richiesto, in termini di orario, ai giovani lavoratori atipici toscani. Perlopiù abbiamo di fronte persone che lavorano a tempo pieno (68,2%) e, tra questi, una proporzione dell’11,7% afferma di essere impegnato per più di 40 ore settimanali. Nel part-time, che complessivamente interessa il 29% della popolazione, come ci si aspetta, sono maggiormente coinvolte le donne con una quota del 35,9% contro un 17,4% dei colleghi (Tavola 11).