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Tipografie e librerie al tempo del Regno Lombardo-Veneto. La normativa e la sua applicazione

1. La normativa

In base agli accordi presi nel Trattato di Vienna, il 7 aprile 1815 venne stabilita la nascita del Regno Lombardo-Veneto sotto la corona dell’Imperatore d’Austria, Francesco I d’Asburgo-Lorena, e governato da un Viceré, che fu Antonio Vittorio d’Asburgo-Lorena fino al 1818 e poi l’Arciduca Ranieri d’Asburgo per i trent’anni successivi. Il nuovo regno godeva di una particolarità, ossia della presenza di due Governi distinti situati nelle due capitali di Milano e Venezia. Infatti il fiume Mincio andava a separare il territorio con una sorta di confine interno, dividendo così le provincie lombarde facenti capo a Milano, da quelle venete e friulane che invece erano rette da Venezia. L’occupazione del Friuli e del Veneto da parte degli Asburgo risaliva già all’autunno del 1813, con l’invasione del territorio del Regno d’Italia da parte dell’armata guidata dal feldmaresciallo Heinrich Bellegarde. A differenza di Venezia, che resistette all’assedio dalla fine di ottobre dello stesso anno fino al 19 aprile 1814, il resto del Veneto e del Friuli venne rapidamente sottoposto all’amministrazione austriaca e subito vi fu applicata la legislazione austriaca. Infatti con l’editto dell’8 novembre 1813 venne data una nuova organizzazione amministrativa alle provincie venete occupate dall’armata austriaca, sia pure in modo temporaneo.1 Qualche giorno dopo – il 29 novembre – venne inoltre emanato un decreto esclusivamente diretto alle «discipline relative alla stampa e libreria», in cui era specificato che fino a nuovo ordine sarebbero rimasti in vigore i provvedimenti del passato governo, facendo però capo per le vertenze di natura economica al

Commissariato civile ed eventualmente alla Intendenza di Finanza.2

In previsione della creazione del nuovo regno, a Vienna era stata preparata dall’Imperial Regia Aulica Commissione Centrale d’Organizzazione una serie di

1 Collezione delle leggi e regolamenti pubblicati dall’Imp. Regio Governo delle Provincie Venete, v. 1/1, Venezia, per Francesco Andreola, [1819], pp. 3-15.

disposizioni per il commercio librario già con una Risoluzione dell’Imperatore del 3

dicembre 1814, presentata alla sessione del Governo di Venezia il 10 marzo 1815.3 In

essa venne prevista l’applicazione delle norme vigenti nei territori dipendenti direttamente dalla monarchia anche per i territori italiani, con l’adozione della tariffa daziale in vigore durante la prima dominazione austriaca fino al 1805. Fu inoltre ribadito l’obbligo della consegna di cinque copie di ogni libro stampato da inviare alla Biblioteca di Corte di Vienna, alla Biblioteca Marciana di Venezia, alla Biblioteca Universitaria di Padova, alla Commissione Centrale di Organizzazione e alla Suprema Direzione di Polizia di Vienna. Per le altre norme riguardanti la stampa e il commercio librario, la Risoluzione rimandava al Decreto dell’Imperatore Francesco I del 18 marzo 1806 con in allegato il Regolamento per il Corpo dei Libraj e Antiquarj, che riassumevano le disposizioni da doversi seguire in materia all’interno del Regno Lombardo-Veneto.

Innanzi tutto, per poter aprire una qualunque ditta, che fosse una tipografia come una libreria,4 bisognava aver ottenuto in precedenza l’autorizzazione da parte dell’autorità. Non era contemplata la possibilità di avviare una attività libraria se non nelle città principali delle singole provincie, dove fosse presente anche un ufficio governativo e comunque il numero di queste autorizzazioni doveva essere limitato e proporzionato ai bisogni del luogo:5 vi era anzi un invito esplicito a diminuire la quantità delle stamperie e delle librerie presenti all’epoca in quanto era considerato eccedente alle necessità del momento. Le autorizzazioni all’apertura di una azienda non erano da considerarsi trasmissibili agli eventuali eredi, a meno che non fossero anch’essi proprietari della stessa, tranne del caso della vedova, la quale avrebbe potuto assumere un direttore dell’attività «a di lei periglio e responsabilità». Diverso invece il caso di un figlio di un libraio o stampatore, che «si fosse applicato già da qualche tempo al Negozio, e che si trovasse munito della necessaria capacità e delle qualità morali»: pur non essendoci alcun diritto automatico di subentro, in tale circostanza sarebbe stata accordata dalla autorità preposta una preferenza per la concessione di una nuova autorizzazione a proseguire l’attività paterna. Solamente in

3 ASVe, Governo austriaco II dominazione, 1815, XVII, Disposizioni per il commercio librario

presentate alla sessione di Governo del 10 marzo 1815, prot. 842/8401.

4 Il 9 aprile 1815 venne emanata una Sovrana Risoluzione a completamento del Decreto 7392/773 del 19 febbraio 1815 in cui si precisava che sotto la denominazione di Negozio di Libri si intendeva compreso: «1. il lavoro di negozio di Stamperia; 2. Il lavoro di negozio di Libreria; 3. L’edizione delle Gazzette politiche; 4. L’edizione delle altre opere periodiche» (ASVe, Governo austriaco II

dominazione, 1815, XVII, Risoluzione del Governo 2564/19074 del 9 giugno 1815).

5 Tale disposizione venne eliminata con la Sovrana Risoluzione del 21 aprile 1819, ribadita dalla Circolare n. 2697/29631 del 4 settembre 1820.

circostanze particolari e sempre con preventiva autorizzazione, potevano essere ceduti negozi interi di libreria. Come si è visto, il commercio di libri era permesso solo ai librai – erano proibite anche le vendite «casaline» o sottomano, ossia tra privati – ma erano previste almeno tre eccezioni: agli stampatori era permesso di vendere i volumi da loro stessi prodotti nelle botteghe annesse alle loro officine, agli autori di vendere per proprio conto le edizioni fatte imprimere a proprie spese e infine ai legatori di vendere libri scolastici e di devozione.

Molto importante per poter comprendere il nuovo modo in cui venne strutturato il mestiere del libraio è il Regolamento per il Corpo dei Libraj e

Antiquarj, a cui di fatto si farà poi sempre riferimento per tutta la durata del Regno

Lombardo-Veneto:

Il Negozio del Librajo abbraccia il Commercio di tutti gli oggetti dell’umano sapere, il quale riceve avanzamento mediante le forze dell’intelletto e vien multiplicato col mezzo della stampa per uso universale.

1 Ogni librajo privilegiato può dunque negoziare con tutti i libri non proibiti dalla Censura, nuovi o vecchi, legati o slegati, anche con stampe e con carte geografiche, presso cui sarà un testo, che serva di schiarimento; prendere in commissione opere di letterati nazionali e forestieri, darle alle stampe, venderle in tutti i paesi ereditarj ed anche all’estero, cambiarle, introdurre i libri esteri, metterle in circolazione tanto negli Stati ereditarj, quanto all’estero.

2 Una specie di commercio subordinato al librajo è il commercio di libri vecchi, o almeno già usati e legati. Gli Antiquarj privilegiati possono far solamente commercio con questa sorte di libri, cioè vecchi e già usati, e il magazzino e la vendita di libri nuovi vien loro assolutamente inibita.

3 Non sarà concesso a nissuno il privilegio di Librajo in generale, o quello di Antiquario in particolare, se non si è prima acquistato le cognizioni in letteratura e se non ha imparato regolarmente questo commercio.

4 Il tempo destinato per imparare dipende principalmente dalla convenzione che vien stabilita con i genitori e i parenti dell’Apprendista. Non ostante questo, non durerà meno di tre anni, né più di sei.

5 Nissun Apprendista o Praticante non può esser preso, se non ha ricevuto prima le istruzioni necessarie per il suo stato futuro, fra le quali viene

annoverata come prima la cognizione della lingua. L’Apprendista deve aver imparato o la lingua latina o almeno una o due delle lingue moderne, nelle quali vien composta la maggior parte dei libri.

6 Quel tale, che volesse ottenere il privilegio di Librajo o di Antiquario, deve munirsi di un certificato d’una condotta ordinata ed onesta rilasciato dal Principale presso cui ha passato gli anni della sua istruzione e della sua pratica.

7 Ei deve aver almeno consumato due anni in qualità di Giovane di Librajo in un negozio accreditato.

8 Se uno vuol divenir Librajo, deve possedere una sostanza proporzionata al Negozio. Nella Capitale [di Vienna] si richiedono per lo meno Fiorini 10,000, nelle altre città almeno Fiorini 4,000, che l’aspirante al privilegio comproverà presso il Tribunale del Commercio e dei Cambi secondo le leggi praticate.

9 Sull’istesso piede dovrà comprovare quel tale che volesse il privilegio d’Antiquario, un capitale suo proprio almeno di Fiorini 4,000 in Vienna e nelle altre città metà di questa somma.

10 Per poter meglio condurre il suo Negozio ed intraprendere speculazioni più in grande, è permesso al Librajo ed Antiquario di scegliere un Socio di Commercio; questo deve però essere in ogni caso un librajo matricolato e non ottiene mediante questo un contratto di Società nessun diritto per condurre il Negozio sotto suo nome.

11 In ogni città degli Stati ereditari, dove sono più di quattro negozi di libraj e d’Antiquari, si devono scegliere due rappresentanti che saranno mutati ogni due anni; in quei luoghi dove saranno meno, uno solo eserciterà l’uffizio di rappresentante.

12 Questi rappresentanti devono tenere un libro ordinato, nel quale sieno notati tutti i membri del Commercio secondo la data del privilegio ottenuto. Devono inoltre esser scritti in questo libro tutti i Giovani di Negozio e gli Apprendisti; per i Giovani di Negozio il giorno della loro entrata nel Negozio e per gli Apprendisti il giorno del loro ricevimento, come anche la circostanza che il trascritto contratto sia stato realmente conchiuso, affinché in caso di bisogno si possano rilevare esattamente questa particolarità.

13 Si lascia in potere dei Libraj e degli Antiquarj come vogliano intendersi coi loro dipendenti e Giovani di Negozio rispetto al tempo ed alla paga. Però si deve ogni volta stipulare un contratto formale fra le due parti, e per il Garzone potrà essere o non essere sottoscritto da altri.

14 Le dissezioni fra il Principale ed il Garzone devono deciderle i rappresentanti; resta però libero alla parte lesa da questo giudizio di poter ricorrere ai Tribunali

15 La disdetta legale fra il Principale ed il Garzone è di mezz’anno, se però ambe le parti non si sono accordate differentemente.

16 I rappresentanti devono di tempo in tempo, e almeno ogni quarto d’anno, radunare tutti i membri del Corpo per consigliarsi con loro intorno al miglior partito per il Commercio.

17 Devono ugualmente sulla loro più religiosa responsabilità obbligarsi di denunziar subito alla Giustizia quei tali membri, di cui avessero potuto rilevare che hanno agito contro le leggi di Censura, stampato scritti perniciosi e proibiti, introdotti o diffusi.

18 I rappresentanti sono infine tenuti di vegliare diligentemente per l’adempimento di questo nuovo ordine, e di denunziare subito alla Giustizia se genti non privilegiate esercitano il Commercio di Librajo

Dopo aver delineato le caratteristiche principali del mestiere del libraio (art. 1), nel testo normativo viene immediatamente chiarita una suddivisione all’interno della categoria: il libraio propriamente detto e chi commerciava esclusivamente in libri vecchi e usati – ossia il cosiddetto «Antiquario» – che non poteva vendere e tenere in magazzino libri nuovi (art. 2). C’è da dire che in pratica nel Regno Lombardo-Veneto tale distinzione si concretizzò nella divisione tra librai con bottega e banchettisti.

Importante poi – per quanto breve e generico – è l’articolo 3, dove sono indicate le competenze che deve avere un libraio per poter esercitare il mestiere: deve avere cognizioni di letteratura e conoscere i meccanismi del commercio librario. Non si erano evidentemente voluti fissare dei paletti troppo stretti per una professione che era appannaggio di persone di norma scarsamente istruite, ma dotate di senso pratico e molto spesso avvezze al mondo del commercio sin dalla più giovane età. Non a caso dal quarto al settimo articolo e poi dal dodicesimo al quindicesimo vengono presentate le regole da seguirsi per gli apprendisti e i giovani di bottega. Il periodo dell’apprendistato sarebbe dovuto durare da tre a sei anni e viene prescritto che

l’apprendista all’atto dell’assunzione avrebbe dovuto già conoscere il latino o almeno una o due lingue straniere «nelle quali vien composta la maggior parte dei libri». Il periodo come Giovane di libreria non sarebbe dovuto essere inferiore ai due anni e il rapporto di lavoro sarebbe dovuto essere regolarizzato mediante un contratto formale. Infine per poter aprire una libreria, doveva essere garantito un capitale di base di 10.000 fiorini (all’incirca 26.000 lire italiane) se a Vienna, di 4.000 fiorini nelle altre città (articoli 8 e 9).

La sovrana risoluzione dell’8 marzo 1815 stabilì inoltre la creazione del Regio Dipartimento di Censura per le provincie venete con inizio dell’attività a partire dal 15 giugno successivo.6 Si trattava di un dipartimento sottoposto alla diretta autorità del Governo e aveva sede a Venezia nell’ex convento di San Zaccaria; all’Ufficio Centrale facevano poi riferimento i censori provinciali di Padova, Vicenza, Verona, Treviso, Rovigo e Udine, mentre a Belluno venne affidato il compito alla Delegazione provinciale e a Bassano venne istituito un censore solo in seguito. La normativa venne poi completata con la pubblicazione il 24 dicembre del Piano generale di

Censura per le Provincie Venete, in cui con grande attenzione vennero stabilite tutte

le procedure da seguirsi da parte dei censori e soprattutto da parte degli stampatori e dei librai in ogni possibile situazione.7

La risoluzione sovrana, che era stata ideata e calibrata appositamente per la realtà del territorio veneto, andava ad assumere valore di legge e quindi sostituiva tutta la legislazione precedente. Oltre alle norme che erano rivolte specificatamente alle operazioni di censura sui libri a stampa, manoscritti, gazzette, stampe etc., erano nuovamente promulgati provvedimenti inerenti alle librerie e alle tipografie:

Art. II. Nessuno potrà da qui innanzi intraprendere la professione di librajo o di venditore di libri, stampe od incisioni anche sui banchetti, se prima non ha ottenuto il relativo decreto di abilitazione, il quale verrà rilasciato da questo Governo, riservandosi altresì il medesimo di emanare le opportune provvidenze sul negozio di libri in generale.

Art. III. È proibito di circolare nei luoghi pubblici e nelle case con libri, stampe ed incisioni all’oggetto di farne traffico.

6 Collezione delle leggi, v. 1/1, Venezia, Andreola, [1819], pp. 241-251. Sulla Censura nel Veneto durante il Regno Lombardo-Veneto fino al 1847 si veda in particolare BERTI, Censura e circolazione

delle idee …

7 Collezione delle leggi, v. 1/2, Venezia, Andreola, [1819], pp. 234-291. Ovviamente vennero in seguito portate continue integrazioni (si veda BERTI, Censura e circolazione delle idee…, p. 2).

La chiesa e il convento di San Zaccaria di Venezia sede dell’Ufficio di Censura (fotografia 1860 c.)

I due articoli specifici, come gli altri riguardanti le operazioni di censura, erano quindi integrati dai §§ 57-69 del Codice Penale Austriaco,8 dove caso per caso venivano precisate le eventuali trasgressioni e le pene conseguenti. Nel caso infatti di un negoziante che avesse stampato o venduto opere senza il permesso della Censura, oltre ad andare incontro alla distruzione dell’intera edizione e degli esemplari in suo possesso, sarebbe incorso in una multa tra i 200 e i 500 fiorini la prima volta, nella stessa multa più l’arresto fino a tre mesi se recidivo e infine con la confisca del negozio e la perdita dell’autorizzazione se dovesse essere colto in flagrante anche una

terza volta (§§ 57-58). Qualora un tipografo avesse stampato un’opera proibita dalla Censura o un libraio l’avesse venduta, allora il responsabile sarebbe incorso nella distruzione di tutte le copie e in una multa tra i 200 e i 500 fiorini, con la perdita del negozio o della stamperia in caso di reiterazione del reato (§§ 59-60). Tutte le pene sarebbero state aggravate nel caso in cui la diffusione di un’opera proibita avesse causato scandalo o avesse turbato l’ordine pubblico (§§ 61-63). Mentre a chi avesse esercitato il commercio di libri senza autorizzazione, in modo segreto o casa per casa, sarebbe stato inflitto un mese di arresto con la confisca di tutti i libri (§ 64). Una particolare attenzione venne rivolta inoltre alla produzione e alla vendita senza autorizzazione preventiva di fogli volanti e opuscoletti, quali orazioni, canzoni, poesie, notizie di guerre, descrizioni etc., genere di stampati che andava molto in voga all’epoca a Venezia, come già si è visto precedentemente.9 Anche in questo caso la multa sarebbe ammontata a 200 fiorini con l’arresto di un mese, mentre in caso di recidiva la pena sarebbe raddoppiata, per arrivare al sequestro del negozio o della stamperia nei casi più gravi. Anche coloro che avessero collaborato nella produzione e nella diffusione di questi fogli volanti avrebbero subito una pena detentiva di tre giorni e poi di 25 colpi di bastone se trovati nuovamente colpevoli di tale reato (§§ 65-68). Infine se qualcuno avesse tenuto di nascosto una officina tipografica, gli sarebbe stata confiscata l’intera attrezzatura, comminata una multa di 500 fiorini, oltre a quanto previsto per la eventuale produzione di stampati senza il permesso della Censura (§ 69).

Di fatto fino al 1848 questa fu la legislazione di riferimento per chiunque avesse voluto aprire una libreria, un banchetto, oppure una tipografia. Come si è visto, si tratta in definitiva di poche norme apparentemente molto chiare, la cui applicazione subì però interpretazioni diverse nel corso del tempo a volte in chiave maggiormente restrittiva, altre in chiave più permissiva a seconda del particolare momento economico e politico.

2. L’applicazione della normativa tra protezionismo e liberismo

Nei primi anni del Regno Lombardo-Veneto non era possibile aprire liberamente una tipografia o un esercizio librario, continuando a essere considerato

9 «Vengono sotto l’indicazione di fogli volanti tutte quelle produzioni giornaliere di qualunque materia che non eccedono nella stampa li tre fogli di carta, e sono avvisi, scritture legali, atti, Decreti governativi, poesie, relazioni, ricette, e simili» (Piano di Censura, titolo IV, art. 56).

valido il decreto del Regno d’Italia del 30 novembre 1810, secondo il quale non doveva essere superato un predeterminato numero di ditte per ogni singola città. In effetti tale decreto non era in contraddizione con la Sovrana Risoluzione del 3 dicembre 1814, precedentemente citata, animata da una sorta di protezionismo interno, che mirava a salvaguardare le aziende esistenti da possibili nuovi concorrenti e contemporaneamente favoriva il controllo poliziesco sulle stesse. Neppure il libraio veneziano Pietro Bettini, che era venuto in possesso di una completa attrezzatura tipografica, riuscì a ottenere l’autorizzazione ad aprire una nuova officina in quanto non si trattava del frutto di una eredità, come invece aveva provato a far credere nella sua richiesta.10

L’assimilazione delle nuove leggi si rivelò essere comunque difficoltosa, soprattutto nelle provincie di Terraferma. Per esempio il 24 febbraio 1818 la Delegazione Provinciale di Vicenza inviò al Governo la comunicazione che Pietro Picutti aveva aperto una nuova stamperia a Vicenza «e siccome il R. Censore ne fu prevenuto e la nuova stamperia è in suolo pubblico e dipende come le altre dalla Censura, così non può la medesima cadere sotto alcuno dei difetti contemplati dal Regolamento attuale, cioè o che fosse tenuta di nascosto o mancasse agli altri obblighi di dipendenza dalla Censura».11 Pietro Picutti, infatti, in perfetta buona fede nell’occasione dell’inaugurazione della stamperia aveva inviato il 31 gennaio una lettera circolare, in cui informava la clientela di avere aperto «dietro regolare abilitazione» una tipografia in Contrada di S. Michele dirimpetto al Teatro Berico al civico n. 2074. La regolarità dell’apertura di questo nuovo esercizio venne però subito messa in dubbio dagli altri stampatori della città, che il 23 febbraio successivo elevarono formale protesta presso le autorità:

Fino da’ tempi i più remoti il già Governo Veneto stabilì che nessuna persona potesse aprire una tipografia senza una di Lui speciale autorizzazione.

Questa prescrizione dettata dall’interesse che avea come ha ogni suddito nell’esercizio dell’arte tipografica, e dalle viste di assicurare a chi l’intraprendesse legittimamente un sufficiente mezzo di sussistenza, e di

10 ASVe, Governo austriaco II dominazione, 1817, XIX, fasc. 5, Decreto Governativo n. 3295/16312 del 23 maggio 1817.

11 ASVe, Governo austriaco II dominazione, 1818, XIX, fasc. 9, Pratica dell’istituzione della Tipografia di Pietro Picutti di Vicenza, Comunicazione della Delegazione Provinciale di Vicenza n. 2076 del 24 febbraio 1818.

promuovere i progressi della medesima, fu costantemente osservata in queste Provincie fino alla pubblicazione del Decreto 30 novembre 1810 dell’ora cessato Vice Re d’Italia.

Con quel Decreto fu non solo conservato sostanzialmente (art. 4-8 del citato Decreto) le predette disposizioni, ma limitata anche la facoltà dello stesso Governo colla espressa prescrizione (art. 2) che il numero degli stampatori dovesse essere determinato in ogni Dipartimento, come diffatti in questa Provincia venne determinato a cinque, tre dei quali per Vicenza e due per Bassano.

Ritornati questi Paesi sotto il felice dominio di S.M.A. Nostro Sovrano,

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