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Tipologie di rilascio da pipeline

CAPITOLO 2 - Le proprietà della CO 2

4.2 Aspetti salienti nella modellazione generale di un rilascio

4.2.1 Tipologie di rilascio da pipeline

La modellazione delle conseguenze di un rilascio accidentale inizia con la valutazione della portata di scarico e della velocità di uscita del materiale dal foro. In molti casi il materiale in uscita si compone di liquidi volatili sottoposti a flash e vapori che possono contenere gas incondensabili e particelle solide. Gran parte dei modelli descrive un rilascio bifase liquido – vapore ma può eventualmente essere esteso a flussi trifase liquido – vapore – solido. Il solido contribuirebbe alla densità e alla capacità termica della miscela, determinando modifiche nel contenuto termico del rilascio e nella successiva dispersione (Perry, 2005).

Uno dei modelli classici è il TPDIS, formulato da Kukkonen (Kukkonen, 1990) e presentato nel Yellow Book del TNO. Tale modello ha come scopo principale quello di calcolare la portata massiva in uscita dalla frattura, la velocità, la frazione massiva di vapore (ovvero la qualità) e lo stato termodinamico del fluido in funzione delle condizioni a monte della rottura. Il flusso viene diviso in tre regimi: liquido surriscaldato, evaporazione ed espansione di non equilibrio del flusso e flusso bifase in equilibrio. Ognuna di queste fasi viene modellata mediante procedure numeriche, anche complesse, che qui non verranno riportate per brevità ma che sono ampiamente descritte nel capitolo dedicato del Yellow Book (The Yellow Book, 2005).

Inoltre, molti software come PHAST o EFFECTS (nelle ultime versioni) hanno implementati dei modelli per la valutazione delle conseguenze del rilascio.

Per calcoli più rapidi è possibile usufruire della legge di Bernoulli che descrive l’espansione di un fluido tra due ambienti a diversa pressione:

1 2 𝑢𝑓2− 𝑢𝑖2 + 𝑔 𝑔𝑐 𝑧𝑓 − 𝑧𝑖 + 1 𝜌𝑑𝑃 𝑃𝑓 𝑃𝑖 + 𝑊 + 𝐹 = 0 . (4.1)

In (4.1) con i pedici 𝑓 e 𝑖 vengono indicate rispettivamente le condizioni dopo e prima dell’espansione, con 𝑢 la velocità (m/s), z la quota (m), 𝑔 l’accelerazione di gravità (m/s2), 𝑔𝑐 la gravità specifica della sostanza, 𝜌 il la densità del fluido (kg/m3), 𝑃 la pressione (Pa), 𝑊 il lavoro fatto dal sistema (J) e 𝐹 l’energia persa per attrito (J). Per l’applicazione di questa formula è indispensabile dotarsi della relazione tra la densità, la temperatura e la pressione

ovvero 𝜌 = 𝜌(𝑃, 𝑇) che è tipica di ogni sostanza e dipendente dall’equazione di stato utilizzata.

Nel caso di rilascio da pipeline il termine geodetico in (4.1) ovvero 𝑔 𝑧𝑓 − 𝑧𝑖 è essenzialmente nullo. Si può anche assumere che la velocità prima dell’espansione sia nulla, ovvero che la differenza di velocità con quella dopo l’espansione sia talmente grande da rendere trascurabile il termine 𝑢𝑖2. Il termine 𝐹, che considera le perdite di energia per attrito, viene spesso approssimato ricorrendo ad un termine costante detto coefficiente di efflusso e qui indicato come C. Questo coefficiente è a rigore una funzione complessa del numero di Reynolds del fluido e della geometria del foro.

Infine, se il rilascio scarica in ambiente atmosferico si può imporre 𝑃𝑓 = 𝑃𝑎𝑡𝑚.

Se il rilascio interessa un liquido, ovvero una sostanza in uno stato essenzialmente incomprimibile, la densità può essere assunta costante. Ciò vale, con buona approssimazione, anche nel caso di rilascio di una sostanza in fase supercritica dal momento che, per alcuni aspetti, è assimilabile ad una fase liquida. In questi casi, per un foro non troppo grande, la velocità di uscita è valutabile con la seguente formula:

𝑢𝑓 = 𝐶 2 𝑃𝑖𝑃𝑎𝑡𝑚

𝜌 . (4.2)

Dalla (4.2) poi, nota la sezione trasversale 𝐴 del foro, si può risalire alla portata massiva 𝑄 derivante dal rilascio:

𝑄 = 𝜌𝑢𝑓𝐴 = 𝐶𝐴 2𝑔𝜌 𝑃𝑖𝑃𝑎𝑡𝑚 . (4.3) Il rilascio di un gas, invece, non può far leva sull’assunzione di densità costante. Tuttavia, sotto l’assunzione di comportamento ideale, l’espansione attraverso un foro può essere assunta isoentropica ovvero vale la relazione:

𝑃

𝜌𝛾 = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒 (4.4)

In (4.4) con 𝛾 viene indicato il rapporto tra i calori specifici a pressione e a volume costante che nel caso della CO2 vale 1,29. In questo caso si può dimostrare che la portata massiva rilasciata è data da:

𝑄 = 𝐶𝐴𝑃𝑖 2𝑔𝑃𝑀 𝑅𝑇𝑖 𝛾 𝛾 − 1 𝑃𝑓 𝑃𝑖 2 𝛾𝑃𝑓 𝑃𝑖 𝛾+1 𝛾 . (4.5)

La situazione di un rilascio di fluido pressurizzato, ovvero stoccato o trasportato ad una pressione superiore a quella normale di saturazione, costituisce una situazione più complessa. Questo perché, a seguito della formazione del foro e della caduta di pressione, il liquido viene sottoposto a flash parziale determinando la formazione anche di una fase gassosa. Il processo di flash è talmente rapido che può essere supposto adiabatico. Il fenomeno inoltre prevede che l’eccesso di energia che compete al liquido surriscaldato venga utilizzata per vaporizzare del liquido e dunque per abbassare la temperatura al nuovo punto di ebollizione. L’energia in eccesso contenuta nel liquido surriscaldato è data da:

𝐸 = 𝑚𝑐𝑝 𝑇𝑖 − 𝑇𝑏 (4.6)

Nella relazione (4.6) con 𝑚 viene indicata la massa del liquido prima della rottura che può essere assunta pari a quella contenuta nel settore di tubazione (delimitato agli estremi dalle valvole di sezionamento) che subisce la rottura e con 𝑇𝑏 la temperatura di ebollizione del liquido a pressione ambiente.

Questa energia vaporizza parte del liquido e noto il calore di vaporizzazione del liquido ∆𝐻𝑣, la massa vaporizzata 𝑚𝑣 è pari a:

𝑚𝑣 = 𝐸

∆𝐻𝑣 (4.7)

La frazione di liquido vaporizzata 𝑓𝑣 sarà pertanto pari al rapporto tra la massa vaporizzata 𝑚𝑣 e quella iniziale di liquido 𝑚. Questa derivazione assume la costanza delle proprietà termodinamiche nel range di temperatura da 𝑇𝑖 a 𝑇𝑏 ma nel caso più generale si dimostra che la frazione di liquido vaporizzata è pari a:

𝑓𝑣 = 1 − 𝑒𝑥𝑝 −𝑐 𝑇𝑝 𝑖− 𝑇𝑏 ∆𝐻𝑣

(4.8)

Le grandezze barrate sono intese come proprietà medie nel range di temperatura 𝑇𝑖 − 𝑇𝑏. Esse ovviamente sono valutabili da dati tabulati o, con più precisione, ricorrendo ad un’opportuna equazione di stato.

Il rilascio dunque di un liquido surriscaldato che può dare flash si realizza mediante un flusso bifase. Nel caso in cui il tragitto di fuoriuscita sia corto (come ad esempio attraverso un foro nello spessore di una tubazione), sussistono condizioni di non equilibrio e pertanto il liquido non ha tempo sufficiente per dare flash entro questo tragitto. In tal caso il flash del fluido avviene all’esterno del foro ed è possibile usare le equazioni (4.2) e (4.3) per un fluido incomprimibile. Se invece il percorso è più lungo (generalmente si assume una lunghezza

limite di 10 cm) può realizzarsi una situazione di equilibrio e il liquido può dar luogo al flash ancora prima di fuoriuscire dal foro.

Nell’analisi del rischio e nella valutazione delle conseguenze di un rilascio è spesso fondamentale valutare la massima portata che può fuoriuscire da un foro. Questa condizione viene detta di choked flow e la grandezza fondamentale che la caratterizza è detta choked

pressure ovvero la massima pressione a valle del rilascio che determina il flusso massimo

attraverso l’orifizio. In particolare, un flusso di tipo choked si verifica quando sussiste la seguente relazione: ∆𝑃 =𝑃𝑖 𝑃𝑓 2 𝛾 + 1 𝛾 𝛾−1 (4.9)

Nelle situazioni che interessano la CO2 e per scarichi in ambiente atmosferico questa condizione si realizza per ∆𝑃 ≥ 0,18 𝑀𝑃𝑎.

Nella condizione di choked flow la portata massiva si ottiene da (Perry and Green, 1997):

𝑄𝑐𝑕𝑜𝑘𝑒𝑑 = 𝐶𝐴 𝛾𝜌𝑃𝑖 2 𝛾 + 1

𝛾+1 𝛾−1

(4.10)