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di Tommaso Greco ENZO CLCONTE, Processo alla 'Ndrangheta,

Laterza, Roma-Bari 1996, pp. 282, Lit 20.000. Col racconto di uno dei più efferati delitti di 'Ndrangheta, avvenuto a Taurianova nel 1991, inizia questo documentato, e quanto mai opportuno, viaggio in terra calabrese. Considerata una mafia "minore", chiusa nel-la sua arcaicità e limitata alnel-la punta dello sti-vale, la 'Ndrangheta è stata finora di molto sottovalutata e, fino alle cronache recenti, ge-neralmente non inserita in un programma-vasto di repressione da parte dello Stato. Il merito di Ciconte, che già nel 1992 aveva pubblicato, presso lo stesso editore, il volume 'Ndrangheta dall'Unità ad oggi, è quello di presentare un quadro esauriente di un feno-meno che sta conoscendo limiti di diffusione che vanno ben al di là dei confini regionali.

Nel volume vengono esaminati gli elemen-ti che rendono la 'Ndrangheta diversa da Co-sa Nostra siciliana e dalla Camorra campana: l'essere incentrata sulla famiglia di sangue, il che spiega la facilità di radicamento in luoghi diversi da quello d'origine e la scarsa rilevan-za del pentitismo; le forme di reclutamento; la struttura delle 'ndrine (cosche), particolar-mente gelose della propria autonomia, ciò che ha reso impossibile la realizzazione di un vero livello di vertice; un modo più diretto di rapportarsi alla politica, che è all'origine di un'elevata infiltrazione nelle istituzioni.

Capitoli fondamentali della storia sono rappresentati dai rapporti che la 'Ndrangheta ha intrattenuto, a partire dai moti di Reggio Calabria del '70, prima con la destra eversiva e successivamente con la massoneria, tanto

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da riceverne un quadro davvero allarmante di alcuni momenti di passaggio della recente storia repubblicana. Proprio il nuovo rappor-to con la massoneria, avviarappor-to a metà degli an-ni settanta, ha avuto ripercussioan-ni sulla strut-tura interna della 'Ndrangheta, producendo un più spiccato ordinamento gerarchico.

Altro tema ricorrente e fondamentale è quello dei rapporti tra le mafie, in particolare tra 'Ndrangheta e Cosa Nostra, rapporti te-stimoniati non solo dalla duplice affiliazione di molti nomi grossi delle singole organizza-zioni ma soprattutto dalla "reciprocità di fa-vori" e dalla coincidenza di interessi fra le or-ganizzazioni stesse. A testimonianza di que-sto intreccio basti citare l'omicidio del giudi-ce Scopelliti, ucciso dalla 'Ndrangheta su commissione di Cosa Nostra. La parte finale del volume dimostra quanto sia esteso il rag-gio d'azione della 'Ndrangheta, sia nel Cen-tro-Nord sia in paesi europei ed extra-euro-pei, e quanto sia urgente, quindi, abbandona-re una visione centrata sulla mafia siciliana.

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Se non ci fosse "Belfagor", bisognerebbe inventarlo "Il Mattino" 96

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naggio molisano), al modo di agire dei politici.

Straordinario è il racconto dell'incontro a Roma nel 1981 con l'allora presidente del Consiglio, il democristiano Forlani, che sembra nello stesso tempo incredulo ma già almeno consapevole di quel che sta succedendo e si tiene per ben due mesi le liste chiuse nei cas-setti prima di essere costretto a diffonderle e a dare le dimissioni, ma in molte altre pagine si avverte l'eco e l'atmosfera di un paese e so-prattutto di una classe dirigente che non vuole fare l'esame di co-scienza necessario e perciò scanto-na, traccheggia, cerca di imbro-gliare le carte o addirittura di pren-dersela con i giudici che indagano e arrivano troppo vicini alla verità.

Ma l'amarezza più grande nel magistrato Colombo si materializ-za negli ultimi mesi dell'inchiesta sulla corruzione, nei giorni che precedono la conclusione del

li-bro. "Salvo alcune rilevanti ma sporadiche eccezioni - scrive il giudice - il mondo che conta ma-tura, con spostamenti impercetti-bili ma continui, una specie di av-versione a Mani Pulite, quasi che il continuare a mettere a nudo l'ille-galità diffusa infastidisca, disturbi, rappresenti un intralcio per la poli-tica e la gestione della cosa pubbli-ca. Non è tanto quel che viene fat-to ma quello che non si fa ad essere significativo, benché sia quanto me-no avvilente per Borrelli, D'Am-brosio, Greco, Davigo e per me, dopo decine di anni di lavoro in cui abbiamo espresso senza tentenna-menti il senso della nostra autono-mia, e siamo pertanto stati forte-mente esposti al rischio di attacchi, senza peraltro mai ricevere tutta-via nemmeno un appunto, vederci scaricare addosso a palate procedi-menti disciplinari e denunce pena-li. Tuttavia impressiona e delude la coscienza civile, prima ancora di mortificare l'impegno professiona-le, il fatto che in questi quattro an-ni non sia stata adottata una legge, un provvedimento che faciliti le in-dagini o che renda più difficile, per quanto è possibile, la corruzione". Già, proprio questo è 0 punto che dà forza alla requisitoria, pur sem-pre sobria e pacata, che Colombo conduce nella seconda parte del suo libro (la prima, assai interes-sante, è dedicata alla formazione culturale e umana dell'autore), contro la cattiva politica di cui è pieno il nostro paese. E, bisogna sottolinearlo, le risposte tardano ad arrivare in questa eterna transi-zione che non appare ancora vici-na a uvici-na sua soluzione positiva.

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