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II. Per un’estetica alfieriana del bello

II.I Torquato Tasso magister del “meraviglioso pittorico”

Ma poi che già le nevi ebber varcate e superato il discosceso e l’erto, un bel tepido ciel di dolce state

trovaro, e ‘l pian su ‘l monte ampio ed aperto. Aure fresche mai sempre ed odorate

vi spiran con tenor stabile e certo, né i fiati lor, sí come altrove sòle sopisce o desta, ivi girando, il sole;

né, come altrove suol, ghiacci ed ardori nubi e sereni a quelle piaggie alterna, ma il ciel di candidissimi splendori

sempre s’ammanta e non s’infiamma o verna, e nudre a i prati l’erba, a l’erba i fiori, a i fior l’odor, l’ombra a le piante eterna. Siede su ‘l lago e signoreggia intorno i monti e i mari il bel palagio adorno.

I cavalier per l’alta aspra salita sentiansi alquanto affaticati e lassi, onde ne gian per quella via fiorita lenti or movendo ed or fermando i passi. Quando ecco un fonte, che a bagnar gli invita l’asciutte labbia, alto cader da’ sassi

e da una larga vena, e con ben mille zampilletti spruzzar l’erbe di stille.

45 Ma tutta insieme poi tra verdi sponde

in profondo canal l’acqua s’aduna, e sotto l’ombra di perpetue fronde mormorando se ‘n va gelida e bruna, ma trasparente sí che non asconde de l’imo letto suo vaghezza alcuna; e sovra le sue rive alta s’estolle

l’erbetta, e vi fa seggio fresco e molle68.

Nel canto XV della Liberata Carlo e Ubaldo, due cavalieri dell’esercito cristiano, vengono inviati dal generale Goffredo di Buglione a recuperare Rinaldo, che ha abbandonato il campo di battaglia. I versi qui riportati fanno parte della meravigliosa descrizione di quel luogo fantastico che è il giardino di Armida, la maga che tiene prigioniero il paladino in una sorta di Eden fiabesco. All’interno di queste quattro ottave è possibile scorgere l’abilità del Tasso di illustrare luoghi e panorami della Liberata con una maestria degna dei migliori pittori; attraverso la scrittura riesce a trasmettere realtà e situazioni che, immediatamente, si distendono nella mente del lettore quasi fossero dipinte su una tela. Leggendo i versi delle ottave 53-56 si ha come l’impressione di immergersi all’interno di un panorama idilliaco e di entrare a far parte di quella comitiva di cavalieri che si accingono a salvare Rinaldo. L’attacco inziale «ma poi che già le nevi ebber varcate / e superato il discosceso e l’erto, / un bel tepido ciel di dolce state / trovaro» è un tipico esempio di incipit descrittivo tassiano; la capacità quasi cinematografica di rendere l’apertura di una nuova scena all’interno del poema, in modo così evocativo e “pittorico”, è molto frequente all’interno della Liberata (basti pensare ai meravigliosi notturni che Tasso utilizza per aprire diversi canti). Il Tasso, tra il 1562 e il 1564, incominciò la stesura dei Discorsi dell’arte

poetica e in particolare sopra il poema eroico, una sorta di trattato teorico sulla composizione del poema

epico. L’opera segue la tripartizione retorica classica in inventio, dispositio ed elocutio: l’autore, infatti, suddivise la sua riflessione in tre discorsi, parlando prima della materia del poema, poi della sua struttura narrativa e, infine, dello stile. Nel Discorso Terzo, quello dedicato proprio allo stile, si legge:

Lo stile eroico è in mezzo quasi fra la semplice gravità del tragico e la fiorita vaghezza del lirico, ed avanza l'una e l'altra ne lo splendore d'una maravigliosa maestà; ma la maestà sua di questa è meno ornata, di quella men propria. Non è disconvenevole nondimeno al poeta epico, ch'uscendo da' termini di quella sua illustre magnificenza, talora pieghi lo stile verso la semplicità del tragico; il che fa piú sovente: talora verso le lascivie del lirico; il che fa più di rado, come dichiarando sèguito.

[…]

Può nascere la magnificenza da' concetti, da le parole e da le composizioni de le parole; e da queste tre parti risulta lo stile, e quelle tre forme, le quali dicemmo. Concetti non sono altro che imagini de le cose; le quali imagini non hanno soda e reale consistenza in sé stesse come le cose, ma ne 1'animo nostro hanno un certo loro essere imperfetto, e quivi da

46 l'imaginazione sono formate e figurate. La magnificenza de' concetti sarà, se si trattarà di cose grandi; come di Dio, del mondo, de gli eroi, di battaglie terrestri, navali e simili. Per esprimere questa grandezza accomodate saranno quelle figure di sentenze, le quali o fanno parer grandi le cose con le circostanze; come l'ampliazione e le iperboli, che alzano la cosa sopra il vero; o la reticenza, che accennando la cosa, e poi tacendola, maggiore la lascia a l'imaginazione; o la prosopopeia, che con la finzione di persone d'autorità e riverenza dà autorità e riverenza a la cosa; e altre simili, che non caggiono così di leggieri ne le menti de gli uomini ordinari, e che sono atte ad indurvi la meraviglia. Perciò che così proprio del magnifico dicitore è il commuovere e il rapire gli animi, come de l'umile l'insegnare, e del temperato il dilettare; ancora che e ne l'essere mosso e ne l'esser insegnato trovi il lettore qualche diletto. Sarà sublime l'elocuzione, se le parole saranno, non comuni, ma peregrine e da l'uso popolare lontane69.

È impossibile non scorgere qui una somiglianza con quelli che furono gli ideali stilistici dell’Alfieri, visto che proprio il Tasso fu uno degli autori che postillò di più70. Qualcosa del Re Torrismondo non convinse però

l’astigiano che, d’accordo con la maggior parte dei letterati settecenteschi, riteneva la tragedia tassiana disarmoniosa e ancor troppo legata all’utilizzo della rima. Ma c’è un aspetto, forse più interessante, che emerge dai Discorsi e cioè il concetto di scrittura e immaginazione figurativa collegato alla percezione dell’animo umano: «concetti non sono altro che imagini de le cose; le quali imagini non hanno soda e reale consistenza in sé stesse come le cose, ma ne 1'animo nostro hanno un certo loro essere imperfetto, e quivi da l'imaginazione sono formate e figurate». Il Tasso fu indubbiamente «pittor-poeta» e il suo “stile pittorico” potrebbe aver influenzato, almeno inconsapevolmente, l’Alfieri. L’autore della Liberata poi, come l’astigiano del resto, non fu subito compreso ed elogiato dal pubblico, che preferì di gran lunga lo stile più vivace e romanzesco del

Furioso. Tra il 1589 e il 1595 Galileo Galilei nelle sue Considerazioni al Tasso

scrisse:

Uno tra gli altri difetti è molto familiare al Tasso, nato da una grande strettezza di vena e povertà di concetti; ed è, che mancandogli ben spesso la materia, è constretto andar rappezando insieme concetti spezati e senza dependenza e connessione tra loro, onde la sua narrazione ne riesce più presto una pittura intarsiata, che colorita a olio: perchè, essendo le tarsie un accozamento di legnetti di diversi colori, con i quali non possono già mai accoppiarsi e unirsi così dolcemente che non restino i lor confini taglienti e dalla diversità de' colori crudamente distinti, rendono per necessità le lor figure secche, crude, senza tondeza e rilievo; dove che nel colorito a olio, sfumandosi dolcemente i confini, si passa senza crudeza dall'una all'altra tinta, onde la pittura riesce morbida, tonda, con forza e con rilievo. Sfuma e tondeggia l'Ariosto, come quelli che è abbondantissimo di parole, frasi, locuzioni e concetti; rottamente, seccamente e crudamente conduce le sue opere il Tasso, per la povertà di tutti i requisiti al ben oprare. Andiamo adunque esaminando con qualche riscontro particolare questa verità: e questo andare empiendo, per brevità di parole, le stanze di concetti che non ànno una necessaria continuazione con le cose dette e da dirsi, l'addomanderemo intarsiare71.

69 T. Tasso, Discorsi dell’arte poetica e in particolare sopra il poema eroico, a cura di L. Poma, Bari, Laterza, 1964. 70 L’Alfieri lesse le opere del Tasso sull’edizione Tartini e Franchi, divisa in sei tomi.

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Secondo Galileo lo stile del Tasso è paragonabile alla pittura ad intarsio per la sua durezza e ruvidezza, caratteristiche del tutto assenti dallo stile ariostesco, più morbido e fluido. Accusandolo di questo, però, Galileo riconosce una componente pittorica nella scrittura tassiana. La maestria e la grande capacità del Tasso di trasformare le parole in immagini vennero finalmente riconosciute e apprezzate a partire dal Settecento. Ezio Raimondi72 ha sottolineato quanto fosse forte la presenza di questo autore non soltanto nella letteratura

dell’ultimo Seicento e del primo Settecento ma anche nelle arti figurative, a testimoniare ancora una volta la forte commistione tra arte e letteratura. L’Alfieri si trovò, dunque, al centro di quello che fu il secolo della riscoperta del Tasso e in particolar modo di quelle che furono le sue “capacità pittoriche”; si può supporre, perciò, che il Nostro fu toccato, almeno un poco, da tutte queste suggestioni.

Fig. 18, N. Poussin, Rinaldo e Armida, 1628-1630, olio su tela, Dulwich Picture Gallery, Londra.

Fig. 19, A. Bellucci, Rinaldo e Armida, 1700 ca., olio su tela, Galleria Nazionale della Slovenia, Lubiana.

72 Lo studio di Raimondi è contenuto all’interno del catalogo La pittura in Emilia e in Romagna. Il Seicento, Bologna,

48 Fig. 20, G. Tiepolo, Rinaldo e Armida, 1752 ca., olio su tela, Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Würzburg.

Se qualche piccolo spunto per delle analogie stilistiche tra il Tasso e l’Alfieri non dovesse bastare, sicuramente vale su tutte l’affinità che lega questi due autori per quanto riguarda la loro storia. Furono entrambi figli di un secolo che non seppe capirli, tormentati e lacerati da un mondo che non sentirono vicino. Da una parte un autore schiacciato e vessato dall’aristocrazia, dall’altra uno che fece della lotta alla tirannide la propria missione di vita. Se per certi aspetti l’Alfieri si soffermò e concentrò sui limiti e l’impotenza dell’uomo, sulla sua debolezza di fronte a certi soprusi, quella debolezza il Tasso la sperimentò su sé stesso. Entrambi scelsero di affidare il loro canto di rivolta e sofferenza alla letteratura.

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