• Non ci sono risultati.

“Nec plus ultra.”

“Da nord e da est, la sua cima svetta oltre

il mare delle pinete, torre d’osservazione sul paesaggio marittimo del litorale e del suo entroterra più prossimo, oltre quella Colonna vi è l’infinito incognito del mare. Da sud e da ovest, l’immagine richiama il fusto di una colonna scanalata, dove i chiaroscuri degli intagli si ripropongono per mezzo di un teso sistema parastatico di lisce semicolonne; straordinario punto di riferimento geografico per i naviganti, inedito faro di terra.

Baluardo del pensiero moderno e dell’umano agire.”1

Alcune grandi architetture nel tempo acquisiscono significati ulteriori rispetto a ciò che furono i propri iniziali obiettivi. Al- cune di queste, una piccola parte, sono in grado di rappresentare in modo univoco il valore assoluto di talune azioni nell’ambito di una precisa epoca storica, nonostante questa sia ancora lungi dall’essere defini- tivamente inquadrata e rielaborata dalla società e dalla propria storiografia. Tutto ciò a maggior ragione ove queste opere non siano il prodotto di alcuni di quei

maestri che la critica, nonostante tutto, ha

voluto considerare e proporre alla storia. Tra queste opere vi è un bianco monolite che da generazioni segna potentemente il litorale dell’alta Toscana, nella fascia di terra compressa tra le Alpi Apuane e il Mar Tirreno, al margine di quella stan-

za paesaggistica dove già la storia ha

depositato architetture straordinarie. Da ovunque si avvicini, qualsiasi sia il per- corso scelto per raggiungere questa terra ritagliata dal mare e dai monti apuani, il

monolite presenta la propria assolutezza

icastica, manifesto di una sorta di tra- guardo definitivo dell’arte del costruire, esempio della capacità acquisita d’im-

perniare in un singolo edificio i tratti di ciò che oggi qualcuno definirebbe, con linguaggio contemporaneo, un landmark. La Torre Fiat rappresenta molto più di un

landmark, essa raffigura con la propria

immagine ed essenza architettonica una sorta di status quo, un punto di non ritorno dopo il quale si dovrebbe andare solo oltre, ma dal quale invece, forse, si è solo tornati indietro.

Una questione di forma, la spirale

La torre cava rappresenta un’invenzione in grado di assecondare, attraverso l’ampio volume interno, il rispetto della necessità normativa di garantire il volume minimo di 25 mc d’aria per ciascun ospite. L’esca-

motage genera, come già sperimentato

dal Bonadé a Sestriere, l’interessante formulazione di un alzato potentemente

tecnico, formalmente compiuto e vicino a

certe correnti futuriste/costruttiviste che in quegli anni moltiplicavano la propria pre- senza in tutti i campi delle arti. Qui sembra apparire tutta l’influenza che prodotti cinematografici come Metropolis e archi- tetture come il Chrysler Building e tutti i coetanei o ancor prima il Monumento alla

Terza Internazionale di Tatlin, produssero

nel mondo intellettuale, proponendo im- magini ricorrenti di un modo diverso d’in- cedere lungo i percorsi dell’architettura. La considerazione di un mondo dove la tecnica avrebbe permesso ogni soluzio- ne, un mondo svincolato dalla gravità e dalle rigidezze dei materiali costruttivi. Forme aeronautiche, simili alle carlinghe di quei velivoli, per dirli d’annunzianamen- te, che l’epoca poneva come massima espressione dell’evoluzione umana, strut- ture crudamente messe in mostra come estetica di un nuovo modo di pensare e agire. Sono certamente da considerare

1

La Torre d’Eracle vista da occidente foto Federici, Archivio Verve S.p.A.

2

Ombre della moderna colonna foto di Michelangelo Pivetta 1

102 103

3

anche altri riferimenti, altre architetture a noi e al Bonadé Bottino più vicine, in cui tipologicamente il tema della rampa eli- coidale è stato ampiamente sviluppato e forse anche a questi il progettista guardò nell’atto di concepire tale soluzione: tra molti meritano senza dubbio essere ricor- dati il Cisternone cinquecentesco di Torino di cui il Bonadé era certamente a cono- scenza e il simile Pozzo di San Patrizio d’Antonio da Sangallo. In un intervista l’ar- chitetto ingegnere torinese affermò anche come l’idea originaria avesse avuto origine da una conversazione con lo stesso Gio- vanni Agnelli ma non è mai stato chiarito a fondo l’equilibrio raggiunto tra necessità funzionale, invenzione e riferimento.

La costruzione, alcune note

La realizzazione della Torre in calcestruz- zo armato radica le proprie origini nella ri- cerca effettuata dal Bonadé Bottino nella veste di assistente calcolatore al Diretto- re Lavori del Lingotto e negli influssi che al tempo filtravano dalla Francia dove le straordinarie opere di Auguste Perret avevano già trovato la giusta consacra- zione critica soprattutto dopo la grande Esposizione di Torino del 1911. L’utilizzo del noto sistema Hennebique, sorta di precompressione ante litteram, garantiva la rapida realizzazione di grandi strutture caratterizzate da flessibilità progettuale, resistenza al fuoco e una durabilità che, al tempo, era ritenuta pressoché infinita. La realizzazione dell’intera struttura avven- ne in soli cento giorni, allo stesso modo delle già concluse Torri del Sestriere, per la quale lo stesso Bonadé vinse 500 Lire dell’epoca da una scommessa con Gio- vanni Agnelli, il quale sostenne sarebbe stato impossibile realizzare l’edificio in soli quattro mesi.

Considerando anche solo le quattordici spire che formano la rampa continua che in sezione rappresenta lo sviluppo ver- ticale dell’opera, basterebbe per render conto quale sia il suo valore in un pe- riodo in cui casseri e impalcature erano realizzate in legno e la maggior parte dei carichi era elevata al piano a braccia. Le camerate seguono lo sviluppo della rampa in origine illuminata zenitalmente da una copertura in vetrocemento e il mobilio che le arreda, indifferente all’inclinazione del piano, compone gli spazi in modo tale che ogni ospite ne abbia a disposizione una porzione ben definita pur all’interno della promiscuità propria di questo tipo di strutture, dove lo scopo educativo/ ricreativo era assecondato, quand’anche sviluppato, dall’architettura stessa. Le fondazioni dell’edificio dimostrano

la maestria del Bonadé nell’utilizzo del materiale secondo le proprie caratteristi- che. La distribuzione dei carichi verticali dal perimetro verso il centro, attraverso l’uso di puntoni in cemento armato, ha permesso un migliore assetto di fonda- zione, definendo minori sezioni dei plinti e soprattutto una quota d’imposta, e quindi di scavo, più alta. L’intera struttura poggia su semplice sabbia compattata, probabilmente precedentemente me- scolata con cemento al fine di aumentar- ne la resistenza a compressione.

La modernità

Gli anni Trenta sono l’età della maturità del pensiero architettonico in Italia ma nel mondo occidentale nel suo com- plesso. Il consolidamento delle nuove conoscenze tecniche, l’affermarsi di un’inedita influenza mediatica dell’arte all’interno del vasto comparto culturale della società, sono stati lo stimolo per il quale opere come Torre Fiat hanno avuto modo di essere edificate.

Il corso degli eventi che ha permesso tutto ciò sembra da tempo annichilito all’interno di un recinto apparentemente insuperabile e costituito da miopi considerazioni nel campo di un’idealistica tutela del paesag- gio, da necessità normative nazionali e, ove non bastassero, anche sovranazionali oltre che da un esponenziale impoveri- mento culturale della società contempo- ranea e del suo sapere tecnico. Tali simboli della modernità vivono ormai la propria esistenza come musealizzazio- ne, in una sorta di condanna dell’icona, una dannazione lungi dal riflettere altro che non la tautologia stessa della propria presenza, posta quasi al limite dell’esse- re fine a sé stessa, quand’anche ingom- bro spesso insormontabile.

Triste pensare che oggi anche vi fossero committenti abbienti e illuminati, anche fossero superati i problemi tecnici e nor- mativi, anche fosse possibile travalicare qualsiasi impedimento amministrativo, Torre Fiat in quel luogo, in quel modo, non si realizzerebbe.

Agli architetti di oggi, sorta di figli di un

dio minore, non resta che guardare a

Torre Fiat come una contemporanea Co-

lonna d’Eracle e, al pari dei naviganti del

mondo classico, ritenere che oltre essa nulla di tale oggi può essere.

Ringrazio Francesco Ferraro direttore della Colo- nia per la gentile collaborazione

1 Dagli appunti di viaggio del maggio 2009, il primo

incontro con la Torre.

3

Bimbe della colonia lungo la rampa (foto anni ’50 Archivio Verve S.p.A.)

104

4

106 107 7 9 8 13 10 11 Pagine precedenti: 4 - 5

La rampa vista dall’alto e dal basso foto Federici, Archivio Verve S.p.A.

6

Piano interrato, piano rialzato, piano tipo torre disegni Archivio Verve S.p.A.

7 - 8

Finestre sul mare

9 - 10

La cavità della Torre

11

La stanza del convivio

12

La stanza segreta: fondazioni e sabbia fotografie di Michelangelo Pivetta

13

La Torre: pianta del tetto terrazza e sezione disegni Archivio Verve S.p.A.

108 109

Andrea Volpe

Il mare in una stanza