Uno degli aspetti forse più evidenti del neo-managerialismo è proprio l’alto livello di burocratizzazione che caratterizza sempre più i Servizi Sociali e l’amministrazione pubblica in
toto. Benché l’obiettivo del management all’interno dei servizi sia proprio quello di alleggerire
e velocizzare i procedimenti e la realizzazione degli interventi, l’effetto riscontrato è decisamente distante da questo intento sicuramente apprezzabile.
La componente burocratica, che sembra esser diventata parte integrante della professione dell’Assistente Sociale, in particolare nei piccoli contesti, è considerata sotto due visioni differenti, una più apprezzata e l’altra maggiormente criticata. Spesso, questa ambivalenza si realizza in contemporanea, portando l’assistente sociale ad apprezzare alcuni aspetti mentre, allo stesso tempo, risente comunque degli impatti più negativi e pesanti. Quello che emerge con forza, in particolare da parte degli Assistenti Sociali che lavorano nei
piccoli Comuni del Veneto, è che la burocratizzazione incide notevolmente sul carico di lavoro che spesso è già faticosamente gestibile.
Da queste affermazioni si evince quanto possa pesare la componente burocratico- amministrativa sul professionista che si vede parte del suo già limitato tempo fagocitato da attività che non sente come proprie, in quanto estranee a quelle che la sua professione prevede. Sembra emergere, almeno negli enti locali, quasi una maggiore incisività e rilevanza di competenze amministrativo-contabili rispetto a quelle tecnico-professionali. Viene sottolineato da qualche professionista dipendente degli enti locali quanto anche nei concorsi di accesso al lavoro, i quesiti vertono significativamente sulle competenze amministrative. Redigere un atto amministrativo o leggere il bilancio sono competenze necessarie per lavorare in un Comune, tanto da apparire quasi più importanti di quelle conoscenze prettamente professionali e afferenti alle metodologie del Servizio Sociale.
L’importanza della componente amministrativa è perfettamente riassunta dall’affermazione di uno degli intervistati, operante proprio all’interno di un Ente locale.
“È tanta la parte amministrativa e burocratica che purtroppo porta via tempo, appesantisce il lavoro e lo stato d’animo degli assistenti sociali”. (Ass. sociale territoriale - Veneto)
“(Il tempo) sarebbe sufficiente se potessimo fare solo le assistenti sociali. [...] La parte amministrativa ci impiega un buon 40% del tempo, purtroppo”. (Ass. sociale territoriale - Veneto)
“L’aiuto transita attraverso gli atti amministrativi, per questo è necessario che gli assistenti sociali che operano all’interno degli enti locali conoscano la normativa di riferimento; che la conoscano, la comprendano e siano anche in grado di redigere gli atti amministrativi che portano poi ad aiutare le persone”. (Ass. sociale responsabile - Veneto)
La burocratizzazione che implica anche una certa standardizzazione degli interventi e delle procedure sembra invece essere un po’ più apprezzata in quanto rappresenta un manuale delle istruzioni preciso che rende difficile commettere errori; in questo senso, quindi, si è protetti sia nei confronti dell’organizzazione per cui si lavora, sia di fronte alle richieste degli utenti. La regolarizzazione e la possibilità, che ne consegue, di creare un maggiore senso di sicurezza ed equilibrio all’interno di quella complessità che da sempre caratterizza il lavoro dell’assistente sociale, costituiscono un appiglio su cui il Servizio Sociale si vuole ancorare per tentare di dare un ordine al caos e alla variabilità che lo caratterizzano.
Il vantaggio e il supporto offerti dal neo-managerialismo in questo caso è innegabile e, pertanto, tendenzialmente apprezzato dagli assistenti sociali che in questo modo si sentono più tutelati, anche rispetto alle richieste degli utenti.
Non bisogna dimenticare però che la standardizzazione, anche se può velocizzare il lavoro e garantirgli maggiore “equità”, essa non è particolarmente in linea con il metodo del Servizio Sociale che prevede un’accurata e attenta valutazione del caso nel suo complesso, attuando man mano tutti gli accorgimenti necessari e dovuti a causa del continuo mutare delle condizioni.
Infine, c’è la considerazione che la gestione manageriale e la burocratizzazione/standardizzazione che comporta sia una necessità, anche se in parte subìta. È necessario di fronte all’utenza sempre più ampia e varia, con cui è sempre più difficile rapportarsi; è necessario per tutelare gli operatori e gli stessi utenti in merito alle prestazioni che il Servizio eroga; è necessario perché limita (in parte) la discrezionalità degli assistenti
“Il management e le nuove normative si sono portati dietro tantissima standardizzazione. La standardizzazione è difficilmente conciliabile con questa professione che prevede un confronto continuo con un mondo che cambia”. (Ass. sociale P.O. – Friuli Venezia Giulia)
“Spesso ci si rifugia nella parte amministrativa che diventa una protezione. È una gabbia in cui ci stai male, ma in qualche modo ci si adagia. Stare all’interno di schemi è rassicurante, ma poi impedisce al Servizio Sociale e agli stessi professionisti di evolvere” .
sociali, che altrimenti rischiano di essere troppo soggettivi nelle valutazioni e nelle azioni che conducono.
Questo tipo di affermazione potrebbe risultare inaspettata, soprattutto perché una delle maggiori accuse mosse contro il neo-managerialismo è proprio quella di aver causato un’erosione dell’autonomia professionale e della sua discrezionalità.
Ma è possibile vederla anche sotto un altro punto di vista. Una discrezionalità eccessiva, troppo soggettiva, rischia di mettere il professionista in situazioni di grande difficoltà in primis con l’utenza, la quale esige (anche giustamente) di essere trattata secondo i principi di equità ed uguaglianza. Inoltre, regole e norme permettono di arginare quegli errori tipicamente umani che non hanno a che fare solo con gli aspetti procedurali, ma di più sottile natura, come il pregiudizio.
4.1 Quale spazio alla creatività?
Molti degli intervistati hanno posto l’accento sulla creatività che l’assistente sociale mette in campo quotidianamente per superare o meglio fronteggiare alcuni limiti e criticità che riscontrano e che rischiano di ridurre l’impatto positivo dei progetti e delle azioni messe in atto. La creatività trova spazio e sviluppo proprio all’interno di quella regolamentazione e linea direttiva costruita per garantire maggiore stabilità e conformità alle prestazioni sociali. Quando il “manuale operativo” non permette di intervenire lì dove si dovrebbe, quando le risorse sono scarse e quando la complessità burocratica si rivela d’intralcio, l’assistente sociale deve sviluppare abilità alternative per riuscire a predisporre soluzioni fantasiose, capaci di aggirare le regole pur rispettandole.
“La burocratizzazione e la standardizzazione hanno sicuramente penalizzato una certa filosofia del nostro lavoro, ma erano anche necessarie. Perché la non burocratizzazione espone l’operatore ad una discrezionalità pericolosissima”. (Ass. sociale P.O. Friuli Venezia Giulia)
Queste affermazioni dimostrano una grande capacità adattiva, oltre che creativa, degli assistenti sociali, i quali tentano di mantenere attive quelle caratteristiche proprie della professione, anche rimanendo dentro la rigidità tipicamente manageriale.
A volte, essere creativi, è una necessità lavorativa per riuscire a dare delle risposte più congrue ai bisogni degli utenti.