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Tra user experience e digital reputation

Capitolo 2. Marketing di Prossimità: tutta un’altra esperienza

2.1.2 Tra user experience e digital reputation

La Rete, come delineato nel precedente paragrafo, è diventata un vero e proprio contesto esperienziale. Nel primo capitolo si è discusso di come e quanto l’utilizzo di Internet impatti sulla shopping experience, modibicandone le dinamiche e permettendo agli utenti-consumatori di accedere 24 ore su 24 ad una vastità di informazioni e contenuti. Se da un lato la Rete offre alle aziende l’opportunità di presenziare inbiniti touch-point lungo il path to purchase dei loro potenziali clienti, dall’altra trasforma questi ultimi e il loro rapporto con prodotti e aziende. L’asimmetria informativa sofferta dai consumatori non viene solamente riequilibrata ma, con la nascita di bigure quali consumattori,

spettautori, commentautori e alla bine smart shopper, viene idealmente e ironicamente

capovolta. Al proliferare degli user generated content, le aziende possono solo adeguarsi e impegnarsi a sviluppare competenze atte a dialogare con i propri clienti per conoscerli e offrire loro esperienze integrate, interattive e sociali anche sulle piattaforme on-line (Riva, 2012) dove essi si trovano o dove essi si cercheranno.

L’esperienza di marca nei canali on-line oramai riveste un ruolo di primaria importanza essendo sempre più spesso i canali prescelti per gli acquisti e, gli strumenti digitali, il primo touch-point incontrato dai consumatori, lo zero moment of truth. Viene naturale comprendere come al digital marketing siano stati attribuiti un ruolo e una responsabilità centrali nel marketing mix e verso la gestione della reputazione digitale ci

sia una sempre maggiore livello di accortezza. Quest’ultima infatti prende forma sulle dinamiche tipiche dell’informazione on-line che possono risultare più spesso un rischio che un’opportunità. Queste sono: persistenza, ovvero l’ideale possibilità di accedere a qualsiasi informazione caricata in Rete anche dopo lunghi periodi; indeperibilità e quindi la capacità di rimanere inalterata; virulenza, dovuta alla naturale predisposizione a viaggiare dell’informazione on-line; incancellabilità, dovuta alla possibilità che altri utenti abbiano salvato il contenuto su dispositivi remoti; veri9icabilità, grazie alla natura pubblica della Rete; ponderabilità, per l’afbidabilità e la reputazione di cui godono le fonti; multimedialità dovuta ai contenuti che possono essere utilizzati; frammentatrietà

di interlocutori e mezzi dovuta alla numerosità di piattaforme e utenti; sostanziale incontrollabilità dell’opinione altrui (Di Fraia, 2011). Il dover far fronte a queste qualità dell’ambiente digitale si traduce, per le aziende, nella necessità di calibrare ogni passo fatto verso il consumatore. Alcuni tra i comportamenti operativi che possono premiare il management o quantomeno permettere un approccio corretto al mondo digitale, e quindi al mercato, sono descritti nella formula delle 7 T del marketing utopico (Diegoli, 2007):

• Talk: la relazione con il cliente e l’esperienza di brand deve essere trasmessa

attraverso modalità umane. La conversazione deve avvenire tra più soggetti non più nell’ottica del broadcasting; l’opinione dei propri clienti può risultare un’informazione di valore per migliorare i servizi offerti.

• Tell: trasmettere identità e valori ai propri interlocutori è di primaria importanza per

costruire la propria immagine; anche in Rete, nonostante la vastità di informazioni presenti, il racconto e la narrazione di marca sono da sempre strumenti efbicaci.

• Test: agire è indispensabile quanto misurare, valutare e pianibicare; l’ambiente è

mutevole e l’aspettare per evitare i rischi non deve tradursi in immobilismo. Gli errori, se genuini, possono essere perdonati.

• Trust: avere biducia nell’ambiente senza temerlo è il modo più corretto per

approcciarsi ai propri clienti e interlocutori in maniera positiva. È importante non essere ingenui ne sprovveduti ma nemmeno risultare prevenuti.

• True: essere veri; dietro a comportamenti orientati alla soddisfazione del cliente e al

• Transparency: essere trasparenti è forse l’atteggiamento più importante. Le dinamiche

di rete rendono spesso inutile tentare di nascondere la verità; «le persone in Rete sanno che l’azienda è a sua volta composta da persone che commettono anche errori; ammetterli qualibica l’azienda nella relazione con i propri interlocutori» (Di Fraia, 2011).

• Try: ribadisce l’importanza del “buttarsi”. L’ambiente è popolato da individui e il modo

migliore per conoscerlo, conoscerli e raggiungere il successo è dialogarci e costruire, insieme a loro, esperienza.

Proporsi in maniera positiva e trasparente, dialogare con il pubblico raccontando la propria storia e ascoltando le opinioni altrui per migliorare il proprio servizio, porsi come obiettivo la soddisfazione del cliente prima della crescita dei fatturati. Questa sembra essere la strada corretta per avvicinarsi all’utente attraverso i canali digitali nei numerosi micro-momenti che vanno a costituire la shopping experience.

Se il fare, il presenziare, il “provarci” sono ritenuti indispensabili e premianti; anche il valutare l’efbicacia dei servizi e dei contenuti offerti è un’attività di primaria importanza. Il mondo digitale, con la sua moltitudine di piattaforme e modalità di interazione, dà accesso ad un vasto ventaglio di informazioni; conoscere e analizzare quelle più importanti per il proprio business è un modo efbicace di comprendere come ci si stia muovendo e, magari, in quali migliorarsi. Stabilire degli obiettivi e degli indicatori permette di operare scelte strategiche per correggere la direzione intrapresa anche in corso d’opera. È possibile scegliere di perseguire obiettivi non comportamentali valutare ad esempio la notorietà del proprio brand puntando ad aumentare il numero di utenti unici raggiunti in un preciso arco di tempo e quindi l’awareness; obiettivi

comportamentali come gli acquisti, la ricerca di informazioni, l’interazione, i contatti

acquisiti; ma anche obiettivi valutativi e relazionali come la brand image o la fedeltà dei propri utenti osservando il tipo di engagement, le recensioni, i tassi di ritorno, la profondità di utilizzo degli strumenti o gli acquisti ripetuti (Pastore Vernuccio, 2008). L’atteggiamento analitico non deve però tramutarsi in una sindrome da quanti9icomania (Fabris, 2008). La volontà di raggiungere degli obiettivi numerici non deve prevalere sulla qualità del servizio offerto; l’esperienza, quella digitale come quella bisica, deve risultare bluida e non frammentata da strategie push tese a convertire lo spettatore in

cliente. L’interruzione aumenta la sensazione di artibiciosità che, come osservato nel paragrafo precedente, può generare disincanto e un allontanamento dell’individuo dagli strumenti di consumo.

La necessità di una comunicazione invisibile, perfettamente contestualizzata, tesa ad arricchire l’esperienza dell’utente è più che mai sentita nell’evoluto contesto digitale; gli strumenti attraverso i quali si sviluppa la shopping experience accompagnano gli utilizzatori in ogni momento della loro vita. Posizionarsi in maniera intrusiva non è più ammissibile. Riuscire ad entrare in relazione con i propri potenziali consumatori, d’altro canto, signibica avere accesso alle informazioni chiave per soddisfare i loro bisogni e creare così quel sentimento di biducia e reciproco supporto che l’ambiente digitale sembra facilitare e che il digital marketing prima e il mobile marketing ora più che mai devono sfruttare. «Dalla persuasione si passa alla relazione, all’esperienza e alla condivisione» (Riva, 2012).