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IL «CASO CREDIT»: TRADIZIONE OPERATIVA, POLITICHE DI SPECIALIZZAZIONE CREDITIZIA, GESTIONE DEGLI ASSETTI DI CONTROLLO

in merito a questioni quali l'amnistia dei reati annonari, il fitto dei negozi e, soprattutto, il caroviveri, le cui cause, per i dirigenti dell'associazione,

2. IL «CASO CREDIT»: TRADIZIONE OPERATIVA, POLITICHE DI SPECIALIZZAZIONE CREDITIZIA, GESTIONE DEGLI ASSETTI DI CONTROLLO

2.1. Gestione normale e rischio industriale: sul lavoro bancario di «un grande

istituto di credito ordinario»

All'indomani della crisi finanziaria degli anni trenta in Italia era pressoché consolidata - non solo nelle sedi istituzionali ma anche tra gli operatori economici - la convinzione della intrinseca superiorità dei sistemi finanziari e creditizi di tipo anglosassone, imperniati cioè sul-la specializzazione degli intermediari e su un mercato dei capitali molto sviluppato.84 L'ortodossia beneduciana sintetizzata nella formula della netta separazione tra banca e industria,85 che avrebbe trovato sanzione normativa di lì a poco nella legge di riforma bancaria del 193 6,86 era ritenuta funzionale alla restaurazione di condizioni di efficienza ottima-li per il risanamento dell'apparato creditizio nazionale, così da garantire ai banchieri la possibilità di allocare le risorse in modo efficiente (ov-vero di discernere il merito di credito e offrire adeguati servizi finan-ziari) senza venire, per così dire, «distratti» da problemi di politica indu-striale.87

85 Per una efficace rivisitazione critica del «modello Beneduce» cfr. M. DE CECCO, Splen-dore e crisi del sistema Beneduce: note sulla struttura finanziaria e industriale dell'Italia dagli anni venti agli anni sessanta, in Storia del capitalismo italiano dal dopoguerra a oggi, a cura di F. Barca, Roma, Donzelli, 1997, pp. 389-404.

86 Cfr. La legge bancaria: note e contributi sulla sua «storia segreta», a cura di M. Porzio, Bologna, Il Mulino, 1981.

Testimone autorevole del processo di riconversione delle nostre banche miste fu, tra gli altri, Mario Alberti, ex direttore centrale del Credito italiano, che nel 1934 abbracciava senza esitazione la tendenza appena esposta, auspicando che alle banche ordinarie fosse costante-mente impedito, «con disciplina non impacciatrice», di mettersi diretta-mente o indirettadiretta-mente sulla via del ritorno all'esercizio del credito mo-biliare. Bisognava anzitutto, secondo Alberti, gestire in modo indipen-dente il credito mobiliare rispetto all'attività di credito ordinario e co-struire una struttura temporale della raccolta e degli impieghi più equilibrata, assicurando, per esempio, la immediata «trasformabilità» degli impieghi a breve.88

Questa presa di posizione non veniva adottata a bocce ferme, una vol-ta compiuto il giro di boa della grande crisi e del conseguente epilogo - il salvataggio per mano pubblica del sistema finanziario e creditizio - bensì rappresentava un momento di «sistemazione» di idee e convincimenti che il funzionario era venuto maturando durante il suo lavoro sul campo negli anni immediatamente precedenti. Tale posizione critica, tra le altre cose, gli avrebbe pregiudicato il successivo rapporto con l'istituto milanese in tempi certo non sospetti, sul finire del 1929. Fu Alberti per primo, infatti, a sollevare il problema della crescente commistione tra gli interessi del Credito italiano e quelli delle aziende finanziate e/o compartecipate (con particolare riferimento alla gestione della posizione Uva e al ruolo dell'ingegnere Alberto Lodolo in qualità di esperto di investimenti indu-striali), sottolineando soprattutto l'esigenza di distinguere le responsabi-lità all'interno del management della banca in tema di immobilizzi indu-striali.89 In seguito, la polemica si allargò - con toni invero aspri e che sfociarono, dopo che egli fu costretto alle dimissioni, in un noto quanto clamoroso intervento critico sulla stampa90 - all'operato dell'amministra-tore delegato Carlo Orsi, ritenuto da Alberti il maggior responsabile per aver «imbottito» di titoli la banca e aver «pasticciato» la situazione con-tabile. Ad Orsi egli imputava una eccessiva frenesia speculatrice che lo avrebbe condotto - mosso da un «furore di attitudini contro la Banca

88 Cfr. M. ALBERTI, La finanza moderna. La evoluzione e la essenza tecnica del credito mobi-liare, Milano, Giuffrè, 1934, voi. I, pp. 89 e 114.

89 Cfr. ARCHIVIO STORICO DEL CREDITO ITALIANO (AS Ci), Verbali del comitato esecutivo

(Vce), 12 settembre 1927, voi. 19, p. 195; ivi, 28 settembre 1927, voi. 19, pp. 221-222. Sulla vi-cenda si vedano le ricostruzioni in A. CONFALONIERI, Considerazioni sull'esperienza del Credito Italiano 1914-1933, in II Credito Italiano e la fondazione dell'I.R.I. cit., pp. 79-86 e in As Ci, Carte Brunetti, fase. 17, Il caso Alberti.

90 Cfr. M. ALBERTI, Tipi di «Cagliostro». Le mistificazioni dell'«homo oeconomicus», «La Vita italiana», novembre 1930, pp. 445-466.

commerciale» - a spericolate operazioni di intermediazione finanziaria (scalate e acquisti di titoli per circa 400 milioni) tali da mettere in crisi per ben due volte, nel 1927 e nel 1929, il bilancio dell'istituto.91 Una va-riazione del 10-20% nei corsi dei titoli di proprietà diretta o indiretta del Credito italiano (quote di sindacato, partecipazioni, quote delle varie hol-ding) - chiosava Alberti - avrebbe fatto correre il rischio, in una situazio-ne in cui i titoli erano stati acquistati a corsi elevati, di «inghiottire» il ca-pitale sociale dell'istituto.92

In tale contesto l'operazione di smobilizzo di parte del portafoglio in-dustriale della banca attraverso la costituzione di una apposita holding (l'A-geva, cui dovevano affiancarsi altre «scatole» finanziarie) rispondeva all'e-sigenza di eliminare ogni forma di controllo centralizzato dei conti, esauto-rando di fatto la Direzione centrale e il servizio Contabilità da compiti di sorveglianza nella gestione dei titoli industriali.93 Il giudizio sull'operazione era, se possibile, ancora più pesante:

La trovata delle holdings - scriveva Alberti - doveva por[re] riparo, [masche-randoli, agli ingenti immobilizzi industriali]. Una volta caduta buona parte del possesso azionario delle holdings, sottratte alla contabilità centrale, si sarebbero potuti ignorare nei bilanci del Credito gli effetti delle oscillazioni al ribasso nei prezzi dei valori, perché le azioni delle holdings, tenute nel portafoglio del Credi-to, non avendo mercato si sarebbero potute sempre valutare al prezzo di costo. D'altra parte, poiché la holding - [l'Ageva] - assumendo le azioni di proprietà del Credito Italiano non consegnava le azioni proprie, ma solo la metà e per il resto doveva figurare debitrice, ecco che si otteneva il duplice scopo contabile di avere in luogo dei titoli originari quotati in borsa, per metà azioni di una holding non quotata in borsa, e quindi non diminuibile nel prezzo, e per metà un credito di conto corrente verso una società. Quindi, sulla carta, grande smobilizzo! E per far bello il bilancio della holding [...] il Credito avrebbe potuto altresì esser chia-mato ad accordare il finanziamento ad un tasso di favore, diciamo il 5%, ciò che

91 Cfr. As BI, Direttorio Azzolini, cart. 83, fase. 1, sfasc. 6, lettera di Mario Alberti a Carlo Feltrinelli, 12 dicembre 1929, passim. Secondo Alberti le ingenti perdite (quasi 400 mi-lioni) imputabili alla «gestione immobilizzatrice industriale» avviata da Orsi nel 1927 avevano rischiato di non consentire la distribuzione del dividendo, al punto che i direttori centrali minacciarono le dimissioni in blocco, poi rientrate per l'intervento del presidente Feltrinelli. Sempre Orsi, secondo Alberti, si era reso responsabile di una disastrosa operazione in cambi e di un mancato alleggerimento di uno stock di obbligazioni Edison da destinarsi al mercato statunitense.

92 Cfr. ivi, p. 13.

93 L'allontanamento del capocontabile Pizzo, avvenuta proprio nel 1929, sarebbe da ricon-dursi a questo disegno di «normalizzazione» delle funzioni di controllo degli alti funzionari della banca. Cfr. ivi, pp. 4-6.

avrebbe fatto salire il reddito delle azioni. Perché non chiudere gli occhi e non plaudire a tanta abilità finanziaria, e volervi vedere, invece, un castello di carta,

foriero di malanni a più lontana scadenza? 9 4

Tale giudizio va certamente sfumato, oltre che per gli eccessi della polemica squisitamente personale, anche in considerazione dell'influen-za di fattori diversi: l'atteggiamento di Alberti è riconducibile alle dina-miche - non sempre facilmente leggibili - di uno scontro tutto interno al management dell'istituto apertosi subito dopo la morte del plenipo-tenziario Federico Balzarotti, avvenuta all'inizio del 1928; in tale disputa si inserivano gli interessi degli industriali che costituivano il gruppo di controllo della banca, come lascia trasparire lo stesso Alberti riferendo di scalate verso talune società (quali le Mediterranee) effettuate a prezzi elevati, e insinuando che in tali società vi fossero «coesistenti altri inte-ressi» non propriamente riconducibili al tradizionale nucleo di affari or-dinari della banca;95 vi era poi il disagio reale di una parte del gruppo dirigente del Credito - di cui Alberti era espressione e, probabilmente, «portavoce» - che faticava ad accettare il progressivo allontanamento da quel tipo di banca «ideale» incarnata da Balzarotti, un tipo intermedio tra la gestione industriale e la banca di deposito, «un tipo di banca di depositi, ma agile e diffonditrice del credito frazionatamente fra le cate-gorie produttive e commerciali, con una moderata attività finanziaria e mobiliare» in cui il lavoro ordinario doveva costituire «la base e l'ossa-tura dell'istituto».96

Fe parole di Alberti se da un lato mettono in discussione la via battuta attraverso l'apporto di partecipazioni strategiche ad holding industriali esteme al fine di indirizzare l'attività bancaria in chiave di specializzazione delle proprie funzioni, dall'altro rivelano il peso di una cultura operativa fortemente radicata nella tradizione e nella prassi bancaria dell'istituto, che con estrema difficoltà si adeguava al mutato rapporto tra banca e indu-stria instauratosi negli anni venti, e con altrettanta difficoltà cercava di of-frire alternative valide - che non fossero le ipotesi «verticistiche» di accen-tramento dei poteri di controllo sull'erogazione del credito presso l'istituto

94 Cfr. ivi, pp. 17-18.

95 «Invero - aggiungeva -, sarebbe anche bene più discutibile in tal caso la politica delle scalate a caro prezzo, tanto più che non si può addurre in loro favore il fatto che i corsi dei ri-spettivi titoli sono rimasti elevati, dappoiché la loro elevatezza in contrasto col resto del mercato dipende appunto dall'incetta effettuatane dallo scalatore». Cfr. ivi, p. 14.

96 Cfr. As BI, Direttorio Azzolini, cart. 83, fase. 1, sfasc. 6, lettera di Mario Alberti a Carlo Feltrinelli del 23 novembre 1929. Enfasi originali.

di emissione97 - per la gestione del rischio industriale, problema che a quella data non poteva più essere ignorato.

Le posizioni di Alberti, in sostanza, non rendono il giusto merito al ten-tativo avviato dai vertici bancari di separare l'attività mobiliare da quella ordinaria attraverso il ricorso a strumenti altrove ampiamente collaudati (gli investment trusts), tentativo che, peraltro, si inscriveva nel quadro di un dibattito ormai ultradecennale sulle forme ottimali del finanziamento industriale,98 e a cui lo stesso Alberti non era del tutto estraneo visto che per conto del Credito si era pure occupato della progettazione di una società di investimenti per attirare in Italia i capitali statunitensi, sul modello dell'Italian superpower corporation ideata dalla Comit.99

L'opzione rappresentata dall'introduzione di un'innovazione di «pro-dotto» quale era l'Ageva100 - di cui si dirà ampiamente più avanti - appa-riva, al di là delle polemiche, funzionale all'esigenza di alleggerire un por-tafoglio colmo di titoli industriali il cui collocamento, a differenza del pas-sato, era ostacolato dalla rallentata attività di borsa e dalle conseguenze che ciò produceva sul bilancio della banca, visto il generale andamento cedente dei corsi azionari. Nell'ambito di un panorama finanziario domestico alla ricerca di nuovi strumenti per garantire la continuità delle risorse a favore degli investimenti fissi, una volta venuto meno il tradizionale ruolo delle banche miste in qualità di intermediari principi sul mercato dei capitali a media e lunga scadenza, gli osservatori valutavano più che buono lo spazio a disposizione delle cosiddette società «fiduciarie investimenti», da affian-carsi alla «solitaria» Bastogi.101

Le operazioni di smobilizzo che, a partire dal discusso esperimento Ageva, si intrecciarono con le vicende della crisi finanziaria e degli

inter-97 Era questo il suggerimento di Alberti per frenare le «degenerazioni azionarie e bancarie» alimentate dalT«inflazionismo» post-bellico, suggerimento contenuto in un lungo articolo-lettera indirizzato a Farinacci e pubblicato sulla «Vita italiana» nel novembre 1931, conservato in bozze in As BI, Direttorio Azzolini, cart. 83, fase. 1, sfasc. 6, Per la riforma bancaria, 5 novembre 1931.

98 Sul dibattito relativamente a natura e funzioni degli istituti di credito speciale sorto all'in-domani della crisi finanziaria del 1907 cfr. la raccolta di contributi di economisti e commentatori dell'epoca in Origini e identità del credito speciale cit. Vedi anche A. CONFALONIERI, Banca e in-dustria in Italia dalla crisi del 1907 all'agosto 1914, Milano, Banca Commerciale Italiana, 1982, pp. 493-515.

99 Cfr. M. D'ALESSANDRO, L'organizzazione delle reti estere. Comit e Credit nei centri finan-ziari intemazionali (1910-1935), «Archivi e imprese», XI, 1998, n. 18, p. 289. Questo incarico non contribuisce certo a chiarire le ambiguità che ancora permangono sulla polemica innescata nei confronti di Orsi da parte di Alberti.

100 Sul carattere innovativo degli investment trust cfr. H. E. KROOS, M. R. BLYN, A history of financial intermediaries, New York, Random House, 1971, p. 167 e sg.

venti di salvataggio pubblico a favore del sistema delle banche miste, mira-vano, quanto meno formalmente, a ripristinare il primato accordato a quel «lavoro bancario» invocato da Alberti e, paradossalmente, spesso ossessi-vamente inseguito dalla nostra banca al punto di fondare la valutazione del merito di credito su elementi distorsivi - la consistenza patrimoniale, le garanzie azionarie, ecc. - che portavano a favorire l'allacciamento di rap-porti con imprese «senza capitali e senza imprenditori».102

Tale disegno come si cercherà di dimostrare nelle pagine a seguire -dovette confrontarsi con una discreta varietà di ostacoli: le ambiguità di un management stretto tra le istanze di tutela degli assetti di controllo (verso cui premevano gli «amici» dell'industria), il richiamo a una prassi operativa difficilmente adattabile alle nuove condizioni dei mercati finanziari e il peso dei condizionamenti posti dalle autorità governative; l'assenza all'interno della banca di competenze e strutture preposte all'attività di holding, ovve-ro al contovve-rollo e alla gestione della massa di partecipazioni industriali; la fragilità e la ristrettezza di un mercato dei capitali che, in una fase di tran-sizione istituzionale oltre che di crisi del listino, appariva incapace di rece-pire con prontezza iniezioni di novità in termini di specializzazione delle funzioni del sistema; gli effetti, infine, sugli equilibri patrimoniali dell'isti-tuto derivanti dall'operazione di fusione con la Banca nazionale di credito prima, e dalla crisi finanziaria poi. Un quadro composito di condiziona-menti che contribuisce a spiegare i limiti ai margini di operatività tipici di un «grande istituto di credito ordinario» imposti dallo squilibrato rap-porto tra gestione normale e situazioni di rischio che si era venuto a creare soprattutto negli anni venti.103

2.2. I tentativi di specializzazione della funzione creditizia: dall'Ageva al «gruppo Elettrofinanziaria»

L'esigenza, manifestata in varie occasioni dai vertici bancari, di avviare una razionalizzazione funzionale delle maggiori interessenze azionarie pos-sedute dall'istituto e, più in generale, di rivedere la politica di collocamento

102 Su questo punto cfr. A. CONFALONIERI, Considerazioni sull'esperienza del Credito Ita-liano cit., pp. 86-89.

103 L'andamento del Credito italiano al maggio 1932 in rapporto alla sua gestione normale (costo del denaro, rendimento degli impieghi, proventi di servizi bancari diversi, ecc.) risultava posto in tensione per via della riduzione della massa di attività non richiedente impiego di capitali e, contestualmente, del ridimensionamento degli utili derivanti dalla raccolta e dall'impiego del denaro di terzi, a causa soprattutto dell'incremento di perdite sui dissesti. Cfr. As BI, Beneduce, cart. 348, Memoria sulle condizioni alle quali si svolge attualmente il comune lavoro bancario di un grande istituto di aedito ordinario, 1 maggio 1932.

dei titoli mobiliari104 venne formalizzata nel giugno 1929, allorché il consi-glio di amministrazione diede mandato alla direzione centrale di porre allo studio la possibilità di costituire una apposita holding «italiana» che si ac-collasse tale compito. L'iniziativa doveva servire anzitutto per «dotare il mercato dei titoli in Italia di forme di investimento rappresentanti il mas-simo grado di fiducia». Attraverso il frazionamento dei rischi - e il conse-guente attenuamento del rischio di capitale e di reddito derivante dall'of-ferta al pubblico di un titolo rappresentativo del prezzo del mazzo di altri titoli comprati e amministrati - si intendeva mettere sul mercato, in forma di azioni e di obbligazioni, dei titoli di «tutto riposo» che rappresentassero svariate categorie di impiego.105 In questo modo, inoltre, si voleva gettare le basi per una netta suddivisione delle funzioni del credito: quelle più pro-priamente bancarie sarebbero rimaste di competenza del Credito italiano, mentre gli affari finanziari (almeno quelli legati alle maggiori e più «sane» interessenze) sarebbero stati assegnati alla società di reinvestimento all'epo-ca in via di progettazione.

Il 28 giugno 1929 nasceva dunque l'Anonima gestione valori (Age-va).106 Oggetto della società era quello di «assumere, gestire, ed alienare titoli azionari ed obbligazionari o partecipazioni in imprese industriali, commerciali o finanziarie, di sovvenzionare tali imprese e di effettuare ope-razioni mobiliari od immobiliari tanto attive che passive».107 Tale ventaglio di compiti veniva parimenti inteso, secondo un'accezione spiccatamente estensiva, dal consiglio di amministrazione della società, per cui l'opera di graduale acquisto dei pacchi azionari doveva essere affiancata anche

104 Significativa di questa tendenza - volta a ripensare le politiche di classamento dei valori in portafoglio in funzione di una più attenta gestione degli stessi, a scopo non speculativo ma di effettivo e duraturo investimento - è l'ipotesi, avanzata in forma strettamente riservata nel luglio 1930, di costituzione, in comune con la Comit, di un istituto autonomo per «propagandare l'in-vestimento in titoli nei centri e nei ceti presso cui non arrivafva] l'azione delle Banche, cioè fra gli strati, certamente larghissimi, della popolazione estranea alla clientela delle Banche ma pur dotata di medi o piccoli patrimoni e risparmi». Cfr. As Ci, Direzione centrale, Affari Generali - Cassaforte di segreteria, fase. 22, Accordi Banca Commerciale Italiana, 21 luglio 1930. Tale ipotesi non ebbe poi concreta attuazione. Si noti, comunque, che, a distanza di qualche mese dall'esaurirsi della missione istituzionale della società finanziaria Ageva in qualità di investment trust - di cui si tratta in queste pagine - i tentativi da parte dei dirigenti del Credit di elaborare soluzioni alter-native nel campo delle forme di investimento mobiliare, pur in presenza di condizioni «anormali» dei mercati finanziari, erano tutt'altro che sopiti. Più in generale, sull'evoluzione della politica di portafoglio del Credit tra le due guerre cfr. A. CONFALONIERI, Banche miste cit., voi. I, pp. 743-781.

105 Cfr. As Ci, Verbali del consiglio di amministrazione (Vca), 21 giugno 1929, voi. 25, pp.

201-201.

106 Cfr. As Ci, Vce, 25 luglio 1929, voi. 23, p. 104.

da tutte quelle operazioni di credito che si fossero rese necessarie «per as-sicurare in via provvisoria il finanziamento delle partecipazioni fino a quan-do non [fosse stato] possibile provvedervi con l'aumento del capitale socia-le e con altre operazioni a lunga scadenza».108 Nelle intenzioni degli ideatori, l'opzione della concessione di linee di credito seppur temporanee -alle società collegate configurava una impresa «semibancaria» molto simile, per certi versi, alla Bastogi di Alberto Beneduce.109 Il profilo istituzionale che definiva l'operatività della nuova società era quello, almeno sulla carta, del credito mobiliare, finalizzato cioè a garantire il sostegno allo svilup-po delle imprese industriali ad essa legate evitando che la banca di piazza Cordusio rimanesse schiacciata dal peso del coinvolgimento nella finanza d'impresa.110

Il capitale sociale della società, subito dopo la costituzione, venne au-mentato da 5 a 200 milioni: il Credit manteneva il «pieno controllo» del-l'Ageva, conferendo ad essa molteplici partecipazioni azionarie aventi ca-rattere di «pubblica utilità», fra cui, in un primo tempo, quelle libere da vincoli: Edison, La Centrale, Cieli, Meridionali, Mediterranea, Italcable, Italpirelli e Sagacia.111 Le altre «più sicure e più stabili interessenze» cedu-te all'Ageva erano rappresentacedu-te da titoli elettrici, bancari e finanziari.112 La composizione del portafoglio titoli appena descritta, unitamente all'as-sunzione degli impegni derivanti dalla partecipazione a diversi sindacati di blocco e di garanzia (come nel caso della Centrale), facevano dell'Ageva an-che (ma non solo) una società finanziaria di partecipazioni an-che, nella

fatti-1°8 Cfr. As Ci, Ageva, Vca, 15 luglio 1929, voi. 1.

109 I caratteri ibridi della società fiorentina erano vieppiù accentuati dal mantenimento della gestione ex ferroviaria e dall'attività di merchattt banking al servizio delle maggiori imprese elet-triche dell'epoca. Su questo aspetto e, in particolare, sulle ulteriori funzioni relative soprattutto all'introduzione di nuovi strumenti per la raccolta del risparmio a favore del credito industriale