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1. Il programma editoriale della Società storica lombarda

Non sappiamo se Porro Lambertenghi – che fu, come detto, tra i fondatori della Società storica lombarda, e dopo il primo mandato di Cesare Cantù e la breve presidenza del conte Ercole Oldofredi Tadini ne tenne la direzione per sette anni, dal 1878 sino alla morte1 – sia tornato a riflettere sull’amara

constatazione di Sclopis. Di certo le parole del giurista torinese non avrebbe- ro tardato a risultargli tristemente profetiche: alla Società storica lombarda, nata senza far troppo mistero della sua volontà di emanciparsi dalla pesante tutela sabauda2 e con il compito precipuo di «cercare le memorie del passato;

raccogliere, pubblicare, illustrare carte (…), dare elenchi e regesti di bibliote- che e di archivi pubblici e privati»3, riuscì difatti ben poco (tardi, nel primo

decennio del Novecento e comunque eccezionalmente) di ripetere non solo

1 Calvi, Porro Lambertenghi, p. 856.

2 Sebbene, in una lettera del 12 febbraio 1874 indirizzata a Sclopis, Cantù si affrettasse a rende- re alla Deputazione torinese «come una figlia alla madre (…) atto d’omaggio»: Capra, La società

storica lombarda, p. 259. Si veda anche Raponi, Il risveglio degli studi storici, p. 371.

3 Così recitava la dichiarazione programmatica del sodalizio, stesa il 21 novembre 1873 su carta intestata dell’Archivio di Stato di Milano e sottoscritta da coloro che se ne possono considerare senz’altro «gli originali promotori»: Capra, La società storica lombarda, pp. 258-259. Riprodu- zione del documento in Volti e memorie, pp. 231-232.

Fig. 1. Logo della Società storica lombarda

e non tanto un’impresa d’impegno collettivo e ampia copertura territoriale analoga a quella del Codex diplomaticus Langobardiae, ma anche e soprattutto di dar vita a una coeren- te progettazione editoriale di ampio respiro e grandi ambizioni attorno ai temi forti e alle fonti più rilevanti del medioevo regionale, come a Genova4, o perlomeno, seppure nelle

forme oggettivamente velleitarie e rivelatesi ben al di qua degli esiti desiderati (è il caso della contemporanea esperienza della Deputa- zione veneta)5, di avviare un serrato dibattito

su cosa e come pubblicare. Gli auspici – pa- rafrasando l’Odorici del 1866 – di radunare «il comizio dei lombardi collaboratori non là in Torino (cosa c’entra Torino?), ma in qualche città più a noi centrale» si erano finalmente realizzati, e in forme dotate di una struttura istituzionale che all’indomani dell’Unità si era lontani persino dal poter immaginare. Ma gli antichi municipalismi che per tanti anni, come visto, avevano intralciato la realizzazione di un cartario regionale erano tutt’altro che sopiti, e se possibili ancor maggiori – senza più il peso politico e la “copertura” di un istituto di fondazione regia – risultavano le difficoltà nel coordinare le diverse energie erudite sparse sul territorio lombardo. Davvero bisognava convincersi che «in questa specie di lavori di attiva ricerca e di severa critica, per far molto con- viene essere in pochi»?

Quanto al mancato seguito della proposta di realizzare un secondo volume di carte lombarde per i secoli XI-XIII da ospitare nei Monumenta Historiae

Patriae– formulata in seno alla Deputazione torinese pochi mesi prima della scissione e perorata con forza, come visto, dallo stesso Porro Lambertenghi e da Giovanni Finazzi6 –, le fonti non autorizzano alcuna conclusione certa.

4 Nel capoluogo ligure, difatti, pur nel persistere di una considerazione spesso del tutto stru- mentale del fatto documentario, la presenza di personalità come Desimoni e Belgrano assicura per tutta la prima fase di vita della Società ligure di storia patria (il discrimine sarà proprio la morte di Belgrano, nel 1895, con una netta involuzione delle tecniche editoriali e il largo preva- lere, specie nel Ferretto, di «quadri nebulosi e disorganici» di ricostruzioni storico-documen- tarie) una buona progettualità concentrata attorno alla storia comunale e alle glorie mercantili e coloniali, con frequenti quanto ovvi sconfinamenti oltre regione. Si veda, su tutto ciò, Mac- chiavello-Rovere, Le edizioni di fonti documentarie, pp. 16-30. Su Desimoni e i suoi poliedrici interessi storiografici si dispone ora di un’ottima raccolta di studi, curata da Stefano Gardini,

Cornelio Desimoni (1813-1899): per ciò che riguarda in particolare la sua attività di editore di

fonti scritte medievali si vedano i saggi ivi contenuti di Piergiovanni, L’avvocato Cornelio Desi-

moni, e di Calleri, Le edizioni documentarie di Cornelio Desimoni.

5 Supra, Cap. 2, testo corrispondente a nota 65. 6 Supra, Cap. 2, testo corrispondente a nota 90.

Fig. 2. Cesare Cantù (1804-1895) Fig. 3. Ercole Oldofredi Tadini (1810-1877)

Sono muti, sul punto, sia i verbali delle adunanze subalpine post 1873 sia quel- li della Società storica lombarda, e davvero impossibile risulta determinare se abbia pesato di più il risentimento dei piemontesi, che pure, dopo l’Unità, avevano opportunamente concentrato quasi ogni sforzo editoriale nei territori d’Oltre Ticino, ovvero l’impossibilità, da parte del neonato sodalizio lombardo, di reclutare uomini, mobilitare risorse e coordinare un così ambizioso lavoro (d’altronde destinato a rimanere un miraggio ancora molti anni dopo, allorché, con il supporto di Giuseppe Gallavresi e Pietro Vaccari, al progetto andava in- teressandosi Cesare Manaresi, che nel 1923 ne informava Luigi Fumi)7.

Fino all’inizio della presidenza Novati (ma in parte, si vedrà, anche oltre), e dunque per il primo venticinquennio circa di vita della Società storica lombar- da, certe difficoltà a vincere municipalismi ben radicati e spinte culturali cen- tripete appaiono evidentissime. Non le nascondeva affatto – anzi in qualche misura polemicamente le sottolineava, interloquendo neanche troppo ideal- mente con il folto gruppo di eruditi delle altre province lombarde assai impe- gnati localmente e sempre costretti a procedere sul doppio binario – il succes- sore del Cantù alla guida della Società, Ercole Oldofredi Tadini, dalle pagine introduttive della IV annata dell’«Archivio storico lombardo», del 18778.

Elogiata l’opera del celebre predecessore e rinnovato con forza l’appello a

7 La lettera autografa del 5 giugno 1923, spedita da Milano, si conserva presso l’Archivio di Stato di Orvieto, Carteggio Luigi Fumi, b. 3, fasc. 50, n. 1363: Cupello, Regesto del Carteggio

di Luigi Fumi, p. 298.

«secondare una impresa destinata a continuare in più modesta forma le tra- dizioni del grande Muratori», il sunto del primo triennio delle pubblicazioni dell’organo ufficiale della Società storica lombarda si chiudeva con il fermo proposito di prestare

cure speciali, affine di allargare le relazioni colle altre Società di Torino, di Venezia, di Modena, di Parma, di Bologna, di Firenze, di Napoli e Palermo, ove ogni giorno si rin- vengono corrispondenze diplomatiche cogli antichi reggitori de’ Municipi Lombardi e del Ducato Milanese, che servir possono mirabilmente a completarne la storia.

Allo stesso tempo, fissando lo sguardo sui colleghi della regione, Oldofre- di ribadiva fermamente che non

ci ristaremo dallo scuotere l’attività dei nostri corrispondenti e socii di Brescia, di Bergamo, Como, ecc., perché non ci sieno avari di quei tesori, che si conservano negli archivii Municipali, e nelle Biblioteche ricchissime di preziosi cimelii.

Non doveva trattarsi, del resto, di una situazione (e di una preoccupazio- ne) del tutto occasionale, specchio di un rodaggio iniziale al quale, compren- sibilmente, potevano non essere del tutto estranei motivi d’inciampo.

Ancora al tempo in cui Francesco Novati, allora docente di storia compa- rata delle letterature neolatine all’Accademia scientifico-letteraria di Milano, assunse la Presidenza della Società storica lombarda (1899)9 e, conseguente-

mente, la direzione dell’«Archivio» – un tempo, va detto, segnato da un no- tevole incremento delle adesioni al sodalizio e dal definitivo superamento di certa «storiografia risorgimentale» che aveva a lungo improntato le pubblica- zioni del suo principale organo editoriale10 – le difficoltà non mancavano di

certo. Il 5 luglio 1911 ne scriveva allo stesso Novati il segretario della Società, Emilio Motta, lamentando come «per l’archivio andiamo ancora ben adagio». Il 22 luglio, a numero pubblicato, il disagio veniva reiterato, assumendo i toni di un accorato invito al direttore – proprio a lui che aveva scritto al suo mae- stro Alessandro D’Ancona di aver accettato l’incarico presidenziale per «ve- der risorgere la Società dall’atonia in cui era caduta», desiderando, «di larva che è, ritornarla fra gli organismi viventi»11 – perché chiamasse a raccolta con

maggiore energia i contributori della rivista:

Il Fascicolo I dell’Archivio è uscito assai visibilmente smilzo. Se non quello di settem- bre, almeno quello di dicembre dovrebbe riuscire più voluminoso. Veda di chiamare a raccolta i collaboratori addormentati12.

Poco prima, negli anni dell’avvio della grande impresa novatiana del Re-

pertorio diplomatico visconteo, quella certa ritrosia delle istituzioni locali a

condividere i loro «preziosi cimelii» già paventata (se non già apertamente

9 Raponi, La Società storica lombarda, pp. 43-58. 10 Seregni, Il primo cinquantennio, pp. 43-44. 11 Carteggio D’Ancona, 10: D’Ancona-Novati, p. 153. 12 ASSL, Carte Novati, b. 4, fasc. 26.

denunciata) dall’Oldofredi, mi pare ben testimoniata dalle non poche limita- zioni e scrupolosissime cautele messe in campo dai bibliotecari della Civica «Angelo Mai» di Bergamo (peraltro diretta allora da un socio attivissimo del- la Società storica lombarda, Angelo Mazzi, contributore assiduo dell’«Archi- vio storico» e in ottimi rapporti con lo stesso Novati)13. Nella sezione Cronaca della Biblioteca (1906-1907) del suo bollettino ufficiale, una comunicazione

tanto stringata quanto assertiva informava che

si prendono disposizioni circa l’invio di codici all’Archivio di Stato in Milano per la compilazione del Codice Diplomatico Visconteo alle seguenti condizioni: a) che questo invio in niun caso debba stabilire un precedente da essere invocato, anche per oggetti di minore importanza; b) che la consegna dei codici a Milano sia fatta da persona addetta alla Civica Biblioteca; c) che i codici sieno minutamente descritti in doppio esemplare, di cui uno, colla firma dei riceventi, rimanga presso questa Biblioteca e sino alla riconsegna dei codici stessi; d) che le spese di viaggio per la consegna e la riconsegna vengano rimborsate dalla Società Storica lombarda14.

Naturalmente, è appena il caso di dirlo, non sempre si era costretti a na- vigare a vista. Gli entusiasmi suscitati in certa intellettualità dall’istituzione della Società storica sembrarono anzi aver prontamente ridestato «nei comu- ni lombardi l’amore alle antiche loro memorie, le quali è ben pensiero riunire, siccome qua e là tuttavia sparse. Un lavoro collettivo in proposito» – conti- nuava il testo di una delle tante lettere di autocandidatura spontanea inviate a Cesare Cantù nel biennio 1874-1875 da volenterosi collaboratori – «non può che riuscire di vantaggio, per l’esempio agli Italiani e pel riordinato studio della gioventù». Si trattava, in molti casi, di proposte che giungevano da sto- rici dilettanti e improvvisati editori15, ma neppure mancarono promesse di

invio di contributi («qualche lavoruccio» è l’espressione sovente impiegata) da parte di storiografi affermati (Vignati, Intra)16 o neo-laureati (il pavese Pietro

Talini)17, sino a bibliotecari e ad archivisti di professione (Isaia Ghiron, il ve-

13 De Angelis, Scriversi di storia, p. 128.

14 Cfr. il «Bollettino della Civica Biblioteca di Bergamo», 1, numero 2 (ottobre-dicembre 1907), p. 24. 15 È proprio il caso dell’autore della lettera di cui a testo si è riportato qualche stralcio. Trattasi di Stefano Boldrini, avvocato di Vigevano, che scriveva esserci nella sua città «un importante archivio ricco di pergamene relative alla Lega lombarda, e [anche di] tutti i consigli generali del comune da quei tempi in poi, e specialmente si ammirano bellissimi documenti nel lungo perio- do della dominazione spagnola sempre correlativi alla storia di Milano (…). Io, che ho pratica di tale nostro archivio, perché ebbi a lavorar[vi] sotto la guida di mio Padre, cara memoria, il quale fu Segretario per molti anni di questo comune (…) desidererei recare il mio piccolo concorso all’opera grandiosa di codesta SSL»: ASSL, Carteggio Collaboratori, C/4 1874.

16 Il primo, inviando il 14 luglio 1875 «una memoria inedita con qualche commento» (dovreb- be trattarsi di Vignati, Mainfredo della Croce e il Borgo di Rosate, pubblicato nella seconda annata dell’«Archivio storico lombardo» [1875]), promette che in seguito avrebbe potuto dare «qualche altro lavoruccio»; il secondo propone un articolo corredato di appendice documenta- ria sul progetto di matrimonio di Eleonora Gonzaga vedova di Ferdinando II (ASSL, Carteggio

Collaboratori, C/4, 1875 e 1876).

17 Il suo articolo, spedito il 20 dicembre 1876 (ASSL, Carteggio Collaboratori, C/4, 1876), sarà pubblicato sulla IV annata di «Archivio storico lombardo» (1877), col titolo Di Lanfranco Pave-

neziano Cesare Foucard)18 e accademici medievisti di prima fila (Carlo Cipolla

su tutti, contributore dell’«Archivio storico lombardo» per le annate 1881 e 1892 e nell’ottobre 1889 presentatore di un saggio del suo allievo Carlo Merkel «sulla prima epoca della spedizione di Carlo d’Angiò contro il Napoletano»)19.

Del resto, almeno con i moltissimi articoli e le innumerevoli spigolature d’archivio di tema visconteo-sforzesco – l’argomento, giova ripeterlo, di gran lunga maggioritario sulle pagine di «Archivio storico lombardo» almeno nel primo venticinquennio di vita, quando quasi nulla si pubblica sull’alto me- dioevo e pochissimo di storia comunale20 –, sembrò che non fosse destinato a

cadere completamente nel vuoto l’appello sopra ricordato di Oldofredi Tadini a coinvolgere istituzioni di ricerca e studiosi attivi fuori dalla Lombardia.

Ciò che mancava – e ciò che a lungo sarebbe ancora mancato – era un programmatico coordinamento di queste (e di altre) sparse indagini, e l’op- portuna uniformazione dei metodi e dei criteri, diversificati per tipo e livello qualitativo, con cui si poneva mano alla pubblicazione delle fonti documen- tarie: i testi saranno dati pressoché unicamente in appendice a saggi di taglio diverso e nelle forme editoriali più varie, in trascrizioni approssimative se non largamente inaffidabili, a cui non risulta – almeno fino agli inizi della direzione Novati – che sovrintendesse un approfondito controllo del comitato redazionale21.

18 Ghiron, segretario della Società negli anni 1877-1881, partecipa alle annate III e IV dell’«Ar- chivio storico lombardo», oltre che con un saggio (diviso in due parti e corredato di appendice documentaria) su La Credenza di S. Ambrogio o la lotta dei nobili e del popolo in Milano (1198-

1292), con alcune correzioni a Muratori e l’importante annuncio del rinvenimento in un codice

della Braidense (biblioteca che sarà chiamato a dirigere dal 1884) della cronaca trecentesca di Giovanni da Cermenate (la cui edizione proprio la Società milanese proporrà all’Istituto storico italiano, che ne affiderà la curatela, per il II volume delle Fonti per la storia d’Italia, a Luigi Al- berto Ferrai, fiorentino ma scolaro di Giuseppe De Leva e di Andrea Gloria nell’Ateneo padova- no). Foucard, allora direttore dell’Archivio di Stato di Modena, nel 1874 propose un articolo sul «carteggio diplomatico della Casa estense con quella di Milano», e l’anno seguente un altro sulla «mercatura dei Lombardi a Ferrara dal XIII al XV secolo»: entrambi, tuttavia, non risultano mai pervenuti in redazione.

19 ASSL, Carteggio Collaboratori, C/4, 1889. 20 Seregni, Il primo cinquantennio, pp. 18-21.

21 Nel pur ricchissimo fondo Carteggio Collaboratori dell’Archivio della Società storica lom- barda, relazioni specifiche o perlomeno appunti di una qualche ampiezza sulle bozze delle edi- zioni sono quasi del tutto assenti. Le poche indicazioni fornite dalla redazione si appuntano, con una certa insistenza e reiterazione negli anni, sullo snellimento, giudicato sempre «oppor- tuno», delle note erudite e delle citazioni bibliografiche: un esempio nella corrispondenza di Isaia Ghiron, che, rivedendo la conclusione del suo saggio sulla Credenza di S. Ambrogio sopra citato, scrisse di aver «ridotto a minori proporzioni le citazioni dal Corio. Veda Ella se ora basti» (ASSL, Carteggio Collaboratori, C/4, lettera del 5 febbraio 1877). L’impressione, d’altra parte, è che la lettura redazionale non dovesse impegnare troppo a lungo: ne abbiamo una testimonian- za indiretta in una lettera del 14 giugno 1877 con cui Carlo Brambilla domanda a Vignati se «Ella volesse mandarmi qualche suo pregevole lavoro nel mese di luglio, di modo che sia possibile fargli assegnare un posto nel fascicolo di settembre» (ASSL, Carteggio Collaboratori, C/4 1877). Diversa, ancora una volta, la situazione all’interno della Società ligure, le cui pubblicazioni di te- sti documentari, grazie all’impegno e al coordinamento di Belgrano, appaiono per tutta la prima fase improntate a uniformità e ben altrimenti si dimostrano ricettive nei confronti del modello monumentista: Macchiavello-Rovere, Le edizioni di fonti documentarie, pp. 35-37.

A voler tracciare un bilancio con atteggiamento più distaccato di quello con cui, nel 1923, si mise al lavoro il segretario Giovanni Seregni22, si vedreb-

be come la storia delle edizioni di fonti medievali ospitate sugli organi della Società storica lombarda o da essa patrocinate nel primo venticinquennio di vita sia storia di grandi potenzialità ma anche di molte occasioni perdute.

2. Le molte occasioni perdute

Appaiono davvero istruttive, per cogliere il senso dell’affermazione ap- pena formulata, le vicende che, abbandonando per una volta il campo dei do- cumenti e allargando lo sguardo alle fonti narrative, portarono al rifiuto di finanziare la pubblicazione di un’importante testimonianza letteraria dell’età comunale lombarda: il Carmen de gestis Friderici imperatoris.

Scarseggiavano i fondi – fu la giustificazione –, ma certo, fra il 1878 e il 1879, mancò la pronta sensibilità culturale da parte del neo-presidente Por- ro Lambertenghi ad accogliere la proposta dell’editore del poema, Ernesto Monaci: proposta formulata secondo il più serio e rigoroso spirito ecdotico da uno dei migliori editori del tempo, protagonista indiscusso di tutte le fasi che segnarono la nascita dell’Istituto storico italiano e fondatore, nel 1887, del Gabinetto di paleografia presso la Sapienza di Roma23.

Vale la pena riportare per esteso quanto Monaci, trovandosi ad Anzio, scrisse a Porro Lambertenghi in una lettera datata 7 luglio 187824:

Illustrissimo Signore,

Le chiedo scusa per l’indugio frapposto nel rispondere alla pregiatissima sua del pas- sato 22 giugno. Quella lettera mi giunse mentre stavo sulle mosse di lasciare Roma e quel cumulo di faccenduole che non mancano mai in simili momenti fu cagione del mio involontario ritardo. Ma eccomi finalmente a Lei. Ella mi ha fatto due domande: 1a: se sono pronto a cominciare subito la stampa del nostro poema; 2a: se sono soddi- sfatto dell’onorario propostomi.

Quanto alla prima domanda posso rispondere che sin dalla fine di maggio io avevo finita la copia del Cod. Vat. Ma in quella copia restarono moltissime lacune a cagione del pessimo stato in cui trovasi ridotto quel ms., massime nelle ultime 6 carte, e perciò desideravo, come già Le scrissi, una copia delle corrispondenti pagine del Trivulziano per vedere se col riscontro di esse si sarebbe potuto decifrare qualche cosa di più. Es- sendomi peraltro mancato questo sussidio mentre la Bibl. Vat. restò aperta, il lavoro sul codice è rimasto necessariamente incompiuto. Se nel settembre, appena tornato in Roma, potrò ottenere un permesso straordinario di tornare nella Vat. malgrado le ferie che durano fino ai 12 di novembre, mi rimetterò subito all’opera. Bisognerebbe però che allora io avessi potuto prendere sufficiente conoscenza del Cod. Trivulziano, e per questo riguardo oso dimandare se non sarebbe possibile di ottenere dall’illustre proprietario che tal codice venisse depositato per pochi giorni in una delle bibliote- che pubbliche di Roma. Ella sa bene quanto sia malagevole, per non dire impossibile,

22 Il riferimento è naturalmente a Seregni, Il primo cinquantennio, che al censimento degli articoli pubblicati sull’organo ufficiale della Società e alle iniziative editoriali da essa promosse dedica ben oltre la metà (le pp. 14-40) del suo contributo.

23 Petrucci, La paleografia latina, pp. 25-26.

tenere giusto conto di un ms. allorché chi fa il lavoro non abbia potuto esaminarlo da sé. Prima di porre mano alla stampa desidererei di sapere anche un’altra cosa, ed è se la Società Storica Lombarda consentirebbe che la edizione del poema fosse accom- pagnata da cinque o sei tavole fotolitografiche che riproducessero quelle pagine del codice Vat. che sono più guaste e dove perciò l’edizione avrà maggiori lacune. Le tavole servirebbero e a giustificare tali lacune e a provocare agli esperti ad ulteriori tentativi, e formerebbero un utile, anzi necessario, corredo alla edizione.

Riguardo al compenso propostomi, io mi rimetto alla discrezione della Società, solo limitandomi a fare osservare che per copiare il Cod. Vat. non mi bastarono 30 vedute! La Società storica tedesca, per ogni veduta nella Vat., dà ai suoi copisti 20 franchi. Ora, dato che la nostra edizione sia un vol. di 10 fogli (ma sarà meno), il compenso assegnatomi per tutto il lavoro riuscirà inferiore non di poco a quello degli amanuensi della Soc. Germanica. Ma comprendo bene che da noi si naviga in altre acque e perciò,

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