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Tradurre la décroissance

Nell’ultimo decennio il dibattito sulla decrescita, molto fertile sia in Francia sia in Italia, assume un carattere transdisciplinare, data la trama di apporti eterogenei che lo nutrono, per cercare di risolvere problematiche che riguardano ambiti molto diversi – economia, sociologia, ecologia, antropologia, istituzioni, ecc. –, tutti ugualmente coinvolti nel progetto iconoclasta che persegue un nuovo modello esistenziale da contrapporre alla società consumistica. La diffusione dei principi che animano il movimento della decrescita viene affidata, oltre che alla creazione di siti internet e all’organizzazione di convegni internazionali, alla pubblicazione di una variegata messe di testi divulgativi.

L’argomentazione dialettica che si concretizza, anche per confutare le obiezioni e le forme di resistenza sorte inevitabilmente davanti alla radicalità della nuova prospettiva, è caratterizzata da un linguaggio ricco di neologismi, che rispondono alla necessità di spiegare concetti inediti e di denominare nuove realtà. Oltre a ciò, vengono messe a punto accattivanti strategie linguistiche e argomentative, che rispondono a una precisa intenzione comunicativa, nel contempo informativa e persuasiva. Al di là del linguaggio « globale » condiviso all’interno del movimento della decrescita, ogni suo portavoce si distingue per una sorta di idioletto permeato da originalità fraseologiche, neoformazioni che sconfinano nel gioco di parole, slogan icastici, traslati non lessicalizzati e originali riattivazioni di cliché. Ideale esemplificazione di ciò, nonché di una evidente autotestualità, è la prise de parole, orale e scritta, di Serge Latouche, il maggior teorico francese della decrescita ed esperto di antropologia economica.

Dato l’interesse dell’argomento, sempre a breve distanza dall’uscita in Francia, i libri di Serge Latouche vengono pubblicati in italiano per i tipi di case editrici diverse, con la conseguente differenziazione dei traduttori. Nel presente saggio intendiamo considerare se le peculiarità del linguaggio e delle strategie comunicative di Latouche vengono trasposte in maniera omogenea nei metatesti destinati al lettore italiano, siglati da più mani. Limitiamo il corpus dell’indagine a due prototesti particolarmente significativi, Le pari de la décroissance (Paris, Fayard, novembre 2006) e Petit traité de la décroissance sereine (Paris, Mille et une nuits, janvier 2008). Con il Petit traité, che è la seconda parte di un discorso iniziato in Survivre au développement (Paris, Mille et une nuits, 2004), Serge

Latouche concretizza più che altrove l’intento divulgativo, in quanto dà corpo all’« idée de produire un texte court, constituant un abrégé du corpus des analyses déjà disponibles sur la décroissance » (LATOUCHE 2008 : 8), in particolare delle principali conclusioni esposte nella pubblicazione del 2006. Le due traduzioni italiane, La scommessa della decrescita (Milano, Feltrinelli, maggio 2007) e Breve trattato della decrescita serena (Torino, Bollati Boringhieri, febbraio 2008), sono siglate rispettivamente da Matteo Schianchi e da Fabrizio Grillenzoni.

Partendo dal titolo, si osserva che nei due libri di Latouche esso si conferma quale luogo paratestuale strategico, in cui la funzione di indicatore tematico del contenuto argomentativo si coniuga con il codice retorico, incrementando la potenzialità del richiamo rivolto al lettore. Nel primo il termine « décroissance » comporta un prefisso privativo che contrasta con la volontà di scommettere sul risultato aleatorio di tale fenomeno. L’ossimoro della « décroissance sereine », presente nell’altro, si presta a reazioni diverse, a seconda che in esso si veda la formula di un idealismo utopico disgiunto da una possibile realizzazione pratica oppure l’espressione di una critica vivace, rivolta a situazioni non più sostenibili e di un orientamento ideologico che va quanto meno dibattuto.

Nei due casi, perché il titolo sia intelligibile al lettore italiano, chi traduce non ha la necessità di ricorrere a variazioni per adattarsi al nuovo codice linguistico e può conservare l’intenzione autoriale, senza che insorgano problemi di decifrazione nel contesto pragmatico ricevente. Dall’inizio degli anni 2000 in Italia è attivo il Movimento per la Decrescita Felice e ai lettori sono note pubblicazioni nella cui intitolazione si osserva la strategia retorica dell’ossimoro (Maurizio Pallante, La decrescita felice. La qualità della vita non dipende dal Pil, Roma, Editori Riuniti, 2005), come anche l’intento esortativo associato a un fenomeno di segno negativo (Mauro Bonaiuti, Obiettivo decrescita, Bologna, EMI, 2004; Paolo Cacciari, Pensare la decrescita. Sostenibilità ed equità, Roma, Carta Edizioni, 2006). Non mancano, inoltre, editoriali come quello dell’ex ministro dell’Ambiente, Giorgio Ruffolo, che pone sotto il denominatore comune della negatività sia l’elevatissima impronta ecologica dei paesi ricchi sia il concetto di crescita (La crescita dei consumi che minaccia l’ambiente, « la Repubblica », 29 dicembre 2006).

Per quanto riguarda il termine « décroissance », vero e proprio mot-obus per l’effetto detonante che comporta, esso si diffonde in Francia dopo che Jacques Grinevald e Ivo Rens traducono il primo capitolo del testo di Nicholas Georgescu- Roegen, The Entropy Law and the Economic Process (1971), intitolandolo Demain la décroissance : entropie, écologie, économie (1979).

Anche se, « au niveau théorique le mot d’‘a-croissance’, serait plus approprié, indiquant un abandon du culte irrationel et quasi religieux de la croissance pour la croissance » (LATOUCHE 2006 : 152), il termine viene adottato unanimemente. Coniandolo sul modello francese mediante affissazione, la lingua

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italiana fa uso dell’equivalente « decrescita ». A ben vedere « en tant que slogan, le terme ‘décroissance’ est une trouvaille rhétorique heureuse dans les langues latines. Sa connotation n’est pas totalement négative; ainsi, la décrue d’un fleuve dévastateur est une bonne chose » (LATOUCHE 2006 : 24-25). Così non è nelle lingue germaniche, a cominciare da « declining », introdotto da Nicholas Georgescu-Roegen all’inizio degli anni Settanta1, poiché il termine non rende

esattamente il significato che dovrebbe, come neanche « decrease », nonché i neologismi « ungrowth », « degrowth » o « dedevelopment », tutti ugualmente inadeguati. Le uniche soluzioni accettabili potrebbero essere equivalenti omomorfi come, in tedesco, « Schrumpfung » (diminuzione) e, in inglese, « downshifting » (spostamento verso il basso) oppure una forma nominale come « the decreasing of growth » (cfr. LATOUCHE 2006 : 25), che ha però il difetto di essere piuttosto lunga e quindi poco adeguata alla funzione di mot clef, che richiede immediatezza e incisività.

Oltre al discorso di tipo economico contro la produzione e il consumo, nonché ecologico, dato l’inquinamento che degrada l’ambiente, il movimento della decrescita promuove un dibattito di carattere etico e persegue un progetto sociale. Latouche, che si incarica del compito di perseguire, come molti, « l’amplification de la prise de conscience d’une situation de la condition humaine sans précédent, pour l’enrichissement de l’imaginaire théorique, poétique et politique de l’après- développement »2, si adopera anche per forgiare un linguaggio empatico, adeguato

all’obiettivo. L’idea di un decalogo semplice, che viene agilmente riassunto nella règle des ‘8 R’ e che concretizza il modo di realizzare la svolta necessaria auspicata dal movimento della decrescita, è il punto di partenza. Alla surdose che avvelena il pianeta, « suractivité, surdéveloppement, surproduction, surabondance, surpompage, surpêche, surpâturage, surconsommation, suremballage, surrendements, surcommunication, surcirculation, surmédicalisation, surendettement, suréquipement » (BESSET 2005 : 182), Latouche contrappone otto mots étendards che diventano la sua divisa – « réévaluer, reconceptualiser,

1 Nel 1972, in occasione della conferenza alla Yale University, intitolata Energy and

Economic Myths, il matematico-economista Nicholas Georgescu-Roegen, fondatore della

bioeconomia, introduce il concetto di « decrescita ». Data l’ineluttabilità delle leggi della fisica, e in particolare in base al secondo principio della termodinamica, il cosiddetto principio dell’entropia, emerge l’assoluta necessità di ridurre i consumi e la produzione a livello planetario. La scienza economica deve essere ripensata in maniera radicale, tenendo conto dell’ambiente naturale che la sostiene, data l’impossibilità di una crescita infinita in un mondo dalle risorse limitate.

2 Si fa riferimento all’editoriale del primo numero della rivista « Entropia » (novembre

restructurer, redistribuer, relocaliser, réduire, réutiliser, recycler » (P : 153 ; T : 8)3.

Il prefisso intensivo sur, indice di ogni dismisura assunta a sistema, a « lieu de colonne vertébrale sociale et de règle de vie personnelle » (BESSET 2005 : 182), diventa un evidente simbolo negativo, mentre « le préfixe ‘re’ n’exprime pas un retour en arrière, mais un changement radical de direction » (BIRAULT 2007 : 114).

La règle des ‘8 R’ può essere trasposta senza difficoltà in italiano, dato che gli equivalenti dei termini originali hanno la stessa iniziale, ed è ciò che avviene nelle due traduzioni di riferimento. Subentra, però, una differente opzione lessicale, che investe il traducente di « reconceptualiser », nonché una variazione della successione verbale. Mentre Fabrizio Grillenzoni rende la sequenza con « rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare » (G : 7)4, Schianchi opta per la stessa traduzione a eccezione

del secondo termine (reconceptualiser > ridefinire) a cui si somma una modulazione sequenziale : « rivalutare, ridefinire, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare » (S : 98). Oltre alla variazione dell’ordine dei termini – che, ricordiamo, Latouche non cambia mai, e dal quale consegue il succedersi dei capitoli esplicativi degli otto obiettivi – con « ridefinire » la resa di Schianchi si ripercuote a livello intratestuale, comportando un appauvrissement quantitatif, ossia « une déperdition lexicale » (BERMAN 1999 : 59), come si può notare nel confronto che segue.

Nel prototesto del 2006, nel capitolo intitolato Réévaluer, reconceptualiser. Comment sortir de l’imaginaire dominant ?, Latouche scrive :

Bref, réévaluer suppose recadrer et reconceptualiser en même temps que repenser l’éducation. Reconceptualiser ou redéfinir/redimensionner s’impose par exemple pour les concepts de richesse et de pauvreté, mais aussi pour le couple infernal, fondateur de l’imaginaire économique, rareté/abondance, qu’il est urgent de déconstruire. (P : 158-159)

Nel metatesto, coerente con la scelta lessicale fatta in precedenza (reconceptualiser > ridefinire), Schianchi rende il titolo del capitolo con Rivalutare, ridefinire. Come uscire dall’immaginario dominante? e traduce il passo succitato come segue :

3 Ai passi tratti dai due prototesti utili per la comparazione seguiranno, d’ora in poi, le sigle relative ai rispettivi titoli (P= Le pari de la décroissance; T= Petit traité de la

décroissance sereine) e il riferimento alle pagine tra parentesi.

4 Alle esemplificazioni tratte dai metatesti seguiranno d’ora in poi, ove necessario, le iniziali dei traduttori e il riferimento alla pagina tra parentesi.

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In sintesi, « ridefinire » significa stabilire un nuovo sistema di valori, per definire una nuova cultura, per esempio, è necessario ridefinire/ridimensionare i concetti di ricchezza e di povertà, ed è urgente decostruire il binomio infernale scarsità/ab- bondanza, su cui si fonda l’attuale immaginario economico. (103)

In primo luogo la necessità riassuntiva, avvertita dal traduttore di fronte allo svolgimento graduale dell’argomentazione autoriale, fa sì che scompaia uno dei mots clefs ; in secondo luogo viene ridotta la serie sinonimica (Reconceptualiser ou redéfinir/redimensionner > ridefinire/ridimensionare), con il conseguente appauvrissement di cui si è detto, il quale contravviene « au tissu lexical de l’œuvre, à son mode de lexicalité, le foisonnemen t» (BERMAN 1999 : 60).

Salvo qualche variante interpuntiva, la seconda frase del passo in questione viene ripresa da Latouche nel Traité e nel metatesto siglato da Fabrizio Grillenzoni viene conservata la varietà lessicale :

Riconcettualizzare, o ridefinire/ridimensionare, è essenziale per esempio per i concetti di ricchezza e di povertà, ma anche per il binomio infernale, fondatore dell’imma- ginario economico, rarità/abbondanza, che è necessario decostruire con la massima urgenza. (47)

L’intento didascalico di Serge Latouche è accortamente supportato da un linguaggio teso a creare un legame empatico con il pubblico, legame imprescindibile per attrarlo e convincerlo a cambiare la propria quotidianità in maniera radicale. In merito, i due prototesti in questione rivelano pienamente la consapevolezza dell’autore che « les conditions de cohérence et de véridicité ne suffisent pas en effet pour s’assurer qu’un discours ‘perce’ : si l’interlocuteur n’est nullement touché, la véridicité et la cohérence font peu de sens en lui et la communication ne le change pas » (CIGADA 2008 : 14). Se il testo ha una funzione persuasiva, la dimensione del logos deve necessariamente allearsi a quella del pathos.

La dinamica dell’argomentazione che si osserva in Serge Latouche ruota in particolare intorno al contrasto dicotomico croissance vs décroissance, potenziato da una fitta trama lessicale e retorica di caratura assiologica. Questa strategia, sempre evidente, può essere esemplificata partendo da un passo iterato senza variazioni nel primo capitolo di tutti e due i prototesti :

Notre société a lié son destin à une organisation fondée sur l’accumulation illimitée. Ce système est condamné à la croissance. Dès que la croissance se ralentit ou s’arrête, c’est la crise, voire la panique (P : 39; T : 32-33).

Latouche racchiude tra due periodi più lunghi la sua sentenza, lapidaria e senza appello (« Ce système est condamné à la croissance »), molto produttiva nel prosieguo per tutta una serie di immagini derivanti da essa, in cui viene capovolta

l’idea fondante dell’immaginario collettivo, ossia quella che indica la crescita come un fenomeno esclusivamente positivo.

Le due traduzioni differiscono : all’adesione al prototesto

La nostra società ha legato il suo destino a un’organizzazione fondata sull’ac- cumulazione illimitata. Questo sistema è condannato alla crescita. Non appena la crescita rallenta o si ferma è la crisi, il panico (G : 26),

si contrappone una riscrittura personale

La società in cui viviamo ha consegnato il proprio futuro a un sistema fondato sull’accumulazione illimitata. Non appena la crescita subisce un rallentamento o si arresta, si produce una situazione di crisi e addirittura dilaga il panico (S : 27).

Nella resa di Schianchi si osserva l’eliminazione del nucleo del passo originale (« Ce système est condamné à la croissance »), di cui abbiamo sottolineato l’importanza, nonché un allongement che investe la parte conclusiva sottraendole l’icasticità che la caratterizza. A tale riguardo sottolineiamo che la diluizione del dettato originale è, in genere, un tratto distintivo della traduzione siglata da Schianchi rispetto a quella di Fabrizio Grillenzoni.

Nei prototesti la dicotomia croissance vs décroissance acquista un particolare rilievo per il linguaggio figurato che la permea. Tale incidenza si nota in particolare nel Petit traité, che per la sua funzione di più agile portatif rispetto al Pari de la décroissance, spesso ha la necessità di riassumere in maniera incisiva ciò che nella prima pubblicazione è maggiormente argomentato. Comunque in nessuno dei due manca la metafora iniziale con la quale viene indicata la « décroissance », ossia « mot-obus » (P : 17; T : 20), che nei due metatesti trova raffigurazioni differenti (« termine esplosivo », S : 11; « parola-bomba », G : 17). Se in tutti e due i prototesti si rileva la terna aggettivale che riassume le caratteristiche della « décroissance » (« sereine, conviviale et soutenable », P : 153; T : 8), risolta letteralmente nelle traduzioni (« serena, conviviale e sostenibile », S : 99 ; G : 7), solo nel Petit traité questa qualificazione si condensa in un ossimoro iterato più volte (« utopie concrète ») e al quale Serge Latouche, sfruttando sempre la pregnanza del linguaggio figurato, contrappone il « corset de fer » della crescita. La traduzione di Fabrizio Grillenzoni rispetta la distribuzione iterativa con la resa invariata di « utopia concreta » così come il traslato, alludendo però a un indumento di costrizione un po’ differente, « camicia di forza » (26).

La dicotomia sulla quale Serge Latouche basa la propria argomentazione viene rappresentata dalla contrapposizione di due immagini-emblema, un « cercle vicieux » e un « cercle vertueux », le cui occorrenze nei due metatesti vengono risolte sempre con « circolo vizioso » e « circolo virtuoso ». Il primo riassume la crescita economica diventata sistema totalitario che nel Traité si connota maggiormente mediante diverse riprese metaforiche (« giron du développement »,

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23 ; « cycle infernal » e « ronde diabolique », 33) o per espansioni aggettivali come « cercle vicieux et suicidaire » (34). Il traduttore rappresenta con la sinonimia adeguata e con la stessa aggettivazione disforica i circuiti nefasti evocati da Latouche (« girone dello sviluppo », 19; « ciclo infernale », « carosello diabolico » e « circolo vizioso e suicida della crescita illimitata », 27).

Sul « cercle vicieux » la critica di Serge Latouche si abbatte con la forza di un linguaggio figurato che rinvia in particolare all’ambito semantico della tossicodipendenza e di varie patologie per lo più di tipo psicogeno. Con diverse variazioni lessicali e di registro Latouche delinea l’irrazionalità dei soggetti obnubilati dagli imperativi del sistema consumistico (« drogués du productivisme », P : 17 ; « ‘toxicodépendants’ de la croissance », T : 37; « ‘accro’ à la drogue de la croissance », P : 167; « accros de supermarchés et de grands magasins », T : 37).

Sfruttando sempre lo stesso ambito semantico, alla metafora coniata per indicare un fenomeno ormai incontenibile, « l’addiction à la croissance », come anche « l’addiction au ‘boulot’» (P : 67), che a volte affianca, con funzione esplicativa, l’anglicismo workaholism, viene contrapposto il rimedio. Per esprimerlo Serge Latouche ricorre a una sorta di binomio in cui l’espressione usata in senso proprio viene riformulata metaforicamente (« l’éducation à la décroissance ou la cure de désintoxication », P : 105). I traslati vengono riprodotti nei metatesti (« ‘drogati’ del produttivismo », S : 11; « ‘tossicodipendenti’ della crescita», G : 30 ; « cura di disintossicazione », S : 110), ma viene eliminata la variazione di registro (« dipendenti dalla droga della crescita », S : 109 ; « drogati da supermercato e da grande magazzino », G : 30 ; « dipendenza da lavoro » S : 53). Quanto a « addiction », la traduzione di un’occorrenza del termine presente nel Pari elude l’allusività che esso implica, sminuendo l’espressione esortativa di Latouche (« Il importe de prendre la pleine mesure de notre addiction à la croissance », 105 > « È necessario diventare consapevoli del nostro contributo alla crescita », 68). Nel metatesto non si coglie lo sprone a essere consapevoli della pericolosa deriva.

Attingendo sempre dalla sfera dei disturbi di tipo ossessivo-compulsivo Latouche, tirando le somme dopo aver analizzato i comportamenti indotti dal sistema consumistico, parla di « boulimie consommatrice » (T : 37). Contrapposta all’aparigraha, il non-possesso predicato da Gandhi, ossia la capacità di rinunciare ai beni materiali non strettamente necessari, la « boulimie » viene evocata da un corollario di termini caratterizzati da prefissi intensivi quali « ultraconsumérisme », « surconsommation », « hyperconsommation » fino a « turbo-consommateur » e alla metaforica « mégamachine capitaliste et marchande ». La dismisura trova adeguate soluzioni nei metatesti (« bulimia consumistica », « sovraconsumo »/ « sovra consumo », « iperconsumo », « turboconsumatore », « megamacchina capitalistica e mercantilistica »).

Per evidenziare la dimensione abnorme del surrégime, Serge Latouche non rinuncia al contributo di intertesti, come la serie enumerativa tratta da Jean-Paul Besset già vista in precedenza, coagulo nominale che rappresenta le fonti di problematiche che investono l’uomo e l’ambiente :

suractivité, surdéveloppement, surproduction, surabondance, surpompage, surpêche, surpâturage, surconsommation, suremballage, surrendements, surcommunication, surcirculation, surmédicalisation, surendettement, suréquipement (T : 70).

Retoricamente marcata, data l’intenzione comunicativa di Latouche tesa a incentivare il rifiuto collettivo di una condizione non più sostenibile, la sequenza trova spazio nel metatesto, a eccezione di surproduction :

sovrattività, sovrasviluppo, sovrabbondanza, sovraestrazione, sovrapesca,

sovrapascolo, sovraconsumo, sovraimballaggio, sovrarendite, sovracomunicazione, sovracircolazione, sovramedicalizzazione, sovraindebitamento, sovrattrezzatura (G : 56).

Un altro intertesto, anch’esso retoricamente marcato e particolarmente adeguato a sottolineare la duplice compulsione, all’acquisto e al consumo, è dato dalla citazione di una similitudine che accomuna ogni lavoratore a un « biodigesteur qui métabolise le salaire avec les marchandises et les marchandises avec le salaire, transitant de la fabrique à l’hypermarché et de l’hypermarché à la fabrique » (T : 33). L’originalità del termine di paragone (biodigesteur) si salda al rilievo generato dalla replica del chiasmo, evidenziando l’immagine di un automa che non ha più lineamenti antropomorfi né un comportamento raziocinante. Nel prototesto la modalità intertestuale è esplicita, data la nota che indica la fonte del passo citato (Paolo Cacciari, Pensare la decrescita. Sostenibilità ed equità, 102), e indica chiaramente al traduttore che si tratta di un passo di cui è necessario recuperare la formulazione preesistente in lingua italiana. Nella resa letterale del segmento (« organismo che metabolizza il salario con le merci e le merci con il salario, transitando dalla fabbrica all’ipermercato e dall’ipermercato alla fabbrica », G : 27) si ritrova l’intertesto originale5, ma sminuito dalla presenza

di « organismo » < « biodigesteur », che oltre a essere una resa generalizzante allude a una forma di vita non espressa dalla neoformazione « biodigestore ».

La strategia enfatica che connota l’argomentazione di Latouche si avvale anche del rinvio metaforico all’alterazione psichica mediante l’impiego del termine

5 In Paolo Cacciari si legge : « biodigestore che metabolizza il salario con le merci e le

merci con il salario, transitando dalla fabbrica all’ipermercato e dall’ipermercato alla fabbrica » (2006 : 102).

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« délire » (« le délire de la société de croissance », T : 15), impiegato in collocazioni al limite della prevedibilità (« délire quantitatif », T : 39; « délire techno-scientifique » e « délire ‘cornucopien’», P : 52). A tali occorrenze si affianca quella di « schizophrénie », che sintetizza « la frénésie des activités humaines » (T : 14), nonché di « nos ‘folies’ d’hier » (T : 56), traslato che riassume lo squilibrio comportamentale da cui deriva l’inquinamento di origine antropica che investe l’ambiente. I metatesti sono ugualmente connotati, a parte una diminutio che riguarda il sintagma nominale « délire ‘cornucopien’ », resa con « delirio dell’abbondanza » (S : 36). Il lemma « cornucopien » non è registrato nei dizionari della lingua francese, ma si rintraccia nel dibattito che vede opporsi « cornucopianisme » e « malthusianisme ». La situazione è speculare per quanto riguarda la lingua italiana per cui, a fronte di un’entrata non repertoriata nei dizionari, in letteratura non manca la dicotomia « cornucopiani » (o

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