I componimenti sono distribuiti all‟interno del volume in ordine sparso Non vi è una suddivisione fra componimenti in prosa ed in versi, ma essi s
2.1.3 Trascrizione di una selezione delle Poesie e prose
CAPITOLO
Conte mio caro che vi monta in testa? Voi mi credete zucca senza sale
Che distinguer non so questo da questa. Dovrebbero stimarmi da stivale
Se abbracciarei questa vostra opinione Senza pria ponderar se è bene o male. Ma fatta qualche seria riflessione, le lucciole già vedo per lanterne vendute,e vi vuò dir la mia ragione. Venghiamo al fatto:un uomo si discerne Mezzo ignudo,col capo coronato; qualche cosa di piu‟…ma non si scerne. La sua destra sostien col tergo alato Una donna che sta per coronarlo, e l‟altro braccio par che fosse alzato. Per un eroe volete interpretarlo. Fin qui va ben:ma ell‟è soperchieria Voler che tutti debban confessarlo Come venne alla vostra fantasia alla scrittura inver si oppone questo, Et sapit indirechè di Eresia.
Omnia in figura dice il sacro testo321 Parlando delle cose già passate
Contigebant illis. Io provo il resto. Infatti quando intento voi eravate A vender vino e coltivar le vigne Per un Bacco preso l‟avevate La corona che a lui la fronte cinge D‟uve spacciossi già da voi composta, e tirso quel che la sinistra stringe. Mutaste alla figura or nome aposta Forse per far placebo a un militare
E per un Vincitor l‟avete esposta. Dunque a vostro piacer potere dare Qual nome più vi aggrada alla figura: Or perché gli altri non potran ciò fare? Che import a voi,se un certo si assicura322
Esser col fuso e la conocchia Alcide? Costui pur disse ben,perché misura Tutti col palmo suo. Ben ei si avvide Questo esser proprio il suo vero ritratto; perciò la lite in suo favor decide. Conte mio caro,orsù facciamo un patto: lasciate che ognun dia la spiegazione Come gli aggrada più;ch‟io poscia adatto Alla spiega i costumi e le persone.
Nell‟anno 1761 il Sign. Conte Gaetani recitò nel palazzo Vescovile una dissertazione sopra una corniola interpretando per un vincitore la figura in essa rappresentata.
Per l‟intelligenza del Capitolo è necessario premettere l‟aneddoto seguente. Nel mese di Maggio mentre il Conte era occupato nel suo magazino alla vendita del vino venne da lui come ad un dotto antiquario il Sign. D. Luigi Caraccicolo Capitano del Regimento dell‟Aquila a presentargli una corniola per dargliene la spiegazione della figura incisa, e saperne il valore delle pietre e dell‟incisione.
Fu dal Conte creduto rappresentarsi un Bacco domatore dell‟Indie, e non osservandovi pregio alcuno dell‟arte, ne fissò il prezzo di tarì quattro.
Non contento il Capitano delle risposte del Conte si portò a consultare il Sign. Marchese di Torresena, creduto antiquario perché comprava medaglie antiche ma solamente Romane. Costui la diede per un Ercole con la sua Iole, ed invaghito della sua idea la valutò per un oncia di Sicilia. La Duchessa Vaticani moglie del Governatore di questa Piazza, che aveva regalato la Corniola al Sign. Caracciolo, informata del prezzo fissato dal Conte per non perdere la protezione della Duchessa recitò in una pubblica Accademia un discorso mostrando la rarità ed il sommo pregio della corniola, ritrattandosi di quello che prima aveva assicurato il Capitano, e con nuova idea decise esser un eroe.
ANACREONTICA
Poicchè il varco al rio nemice Serpenatico
Eva in Eden schiuso avea, ei de‟ vivi suoi colori spoglio i fiori
col veleno che spargea.
Dell‟ordito strano inganno Grave affanno
Prese il sommo Agricoltore. Orto vado su la fronte D‟alto monte
Ei piantò per man di Amore.
Non co‟i frutti all‟uom fatali Che dei mali
Seco trassero il torrente Di si nobile terreno Ornò il seno;
Perché Amore nol consente.
Altre piante de‟ colori Degli odori
Fanno pompa in quel giardino; Giacchè luogo si beato
Destinato
Ha per se l‟Amor Divino.
Per le foglie verdeggiante Fra le piante
Alto il Cedro i rami attolle: All‟odore il serpe scaccia, E minaccia
Qual del Libano sul colle.
Il drittissimo Cipresso Sorge presso
Qual di Sionne sulla cima Ei s‟innalza incorruttibile, E flessibile,
Onde cresce in pregio e stima.
Dai guerrieri vincitori A i sudori
Grato premio,onor,conforto, con suoi frutti rubicondi Con sue frondi Pur la Palma adorna l‟orto.
Di ruggiade matutine Dalle spine
Spunta apersa ancor la rosa; Ne di questa la fierezza O l‟asprezza
Men la rendono odorosa.
Quivi pure le bianche foglie Spande e scioglie
L‟arbor sol di pace e fede Ed il Platano si ombroso
Che al riposo
Dolce invita il lasso piede.
Al colore la Cannella Vaga e bella ….
Sparge odore,e cresce il Balsamo Di opobalsamo
Ed il Galbano, e il Storace Che si piace;
L‟incorrotta Mirra eletta, E del Libano l‟incenso Dell‟immenso
Mostran l‟opra più perfetta.
Ma fra varie,fra tante Vaghe piante
Qual fra spine il giglio appare; Tale in arbor per vaghezza Per bellezza
Nacque gli altri ad oscurare.
Di sue frondi, di suoi fiori, Di suoi odori,
Di suoi frutti non ancora
Ne figura,ne colore= Ne sapore, Indi a noi mostrossi fuore.
Che da quel reso immortal L‟uomo fatale,
Morte già saria sbandita: Quindi ognuno in una favella
Ben L‟appella = Pianta origine di vita
Quai misteri si profondi Or nascondi
Musa in riva al bel Giordano? Deh le tenebre disgombra Di quell‟ombra
Ch‟io svelare tento invano!
Chi le varie si tante Vaghe piante?
L‟orto chiuso chi mai fia? L‟orto è l‟alma:sono i frutti Gli altri tutti
I bei pregi di Maria.
SATIRA
Inclyta non augent nostros insignia bolos
TRADUZIONE Padre caro quei cordoni Non ingrossano i bocconi.
Nell‟anno 175 essendo io nel Collegio Carolino sotto la cura dei Padri Gesuiti in Palermo furono accordate alli Colleggiali per un Real Dispaccio del Re Carlo III le insegne di medaglie, e di lacci al Cappello, intrecciati di oro, di argento, e di sete di varij colori, che distinguevano il merito di ognuno. Il pranzo però era troppo parco con frugalità.
IOSIA
Dialogo per Musica da cantarsi nella venerabile Chiesa del glorioso Bimartire S. Sebastiano Protettore e Patrono della città di Melilli. Dedicato a Monsign. D. Sebastiano Landolina Nava Archidiacono della cattedrale di Siracusa.
Sendo Rettori
Il Rev. Sac. D. D. Niccolò Rossano Il Rev. Sac. D. Santo Rosario Bramante Il Rev. Sac. D. Santo Rizzo
Il Rev. Sac. D. Antonino Saracino In Siracusa 1766.
Nella stamp. Di D.Gioacchino Pulejo
Impress. Della Came. Vesc. e dell‟Ittmo Senato Con lic. de Sup.
Monsignore qual altra occasione possiamo aspettare più opportuna a manifestarvi la nostra alta stima e il nostro ossequioso rispetto verso la degnissima persona vostra di questa, che ci si presenta nella Festività del nostro glorioso Bimartire Protettore e Patrono e Beneficentissimo S. Sebastiano? per certo noi tenghiamo, che altro qualunque nostro dono così grato a Voi non sarebbe riuscito come l‟offerta che vi facciamo del presente Drammatico Componimento. Il quale, dedicato essendo alle glorie del letto S. Martire, per cui Voi tanta devozione nutrite, del cui nome fregiato siete, e la di cui festa in tanti modi quest‟anno vi degnate glorificare, buon grado saper vi debbe soprattutto certamente, che a Voi oltre ogni altro venga esso donato.
Gradito dunque con benigno animo, non perché nostro dono ei sia; ne perché grande da me si reputi, che tenue ogni cosa ell‟è in rapporto a i vostri sublimissimi meriti; ma sol perché conforme al nostro conpiacimento, ed alla divozion vostra verso il Santo, ed all‟amorevole bontà del vostro animo, verso di noi corrispondente.
Degnatevi mantenerci sotto l‟ombra di vostra valevole protezione, e considerati sempre quali con pieno ossequio, e con profonda riverenza ne diamo l‟onore di protestarci. Di V.S. Melilli 24 Aprile 1766
Umilis.Devot.ed Oblig.m. Servì veri
Niccolò Rettore= Santo Rizzo= Rosario Bramante Rettore = Santo Rizzo Rettore = Antonino Saracino Rettore.
La scena è la Regia di Iosia in Gerosolima.
Interlocutori Iosia Re
Asaia Confidente del Re Elcia Sommo Sacerdote Safan Scrivano del Tempio.
L‟azione viene registrata al IV delli Re Cap. XXII. Ed al II delli Pralipomeni Cap. XXXIV.
Musica di D. Vincenzo Mazzarella Maestri du Cappella in Siracusa.
Coro. Serba a noi serba all‟Impero Dio di Abram quel che severo Di tua gloria difensore I tuoi torti vendicò. Di Baal le statue, i Tempi. I ministri audaci ed empi
Pien di zelo e di furore Col suo braccio sterminò. Serba a noi serba all‟Impero Dio di Abram quel severo Di tua gloria difensore I tuoi torti vendicò Ios. Basta o Popol di Giuda,
basta non più: Pur troppo il vostro amore Passa i limiti suoi. Non è dell‟opra Dovuta a me la gloria.
Fu del vostro poter tutta l‟impresa, ne più che il sol consiglio
Io dir potrei fu mio:
ma di questo l‟onor abbia sol Dio. Da tal fonte deriva
Ogni bene quaggiù. De i suoi Fedeli Ei giuida i passi per la dritta via, Ei modera gli affetti
Chi nel cuore benigno Lo perde amico: e ingrato A tal segno non sono
Che volga in lode mia ogni suo dono. Osa. Prence tu pensi a torto
Frenar quelle che rende
Il popol tuo fedele a voci e lodi Al tuo merito dovute. Esempio sono
A Vassalli i Monarchi. Lascia che ognun ammiri
In te i tuoi pregi, e l‟orme tue seguendo S‟incammini per l‟erto e faticoso Colle della Virtù. Se il Cielo arrise Benigno a voti tuoi,
Si onori pure il nome tuo fra noi. Ios. No che finora degno
Di tale onor non sono. Giust‟è ch‟io pensi prima A compir l‟opra, e poscia …. Na . . . e che più resta?
Dell‟immondo Baal le Statue infrante L‟ Are disperse, i Boschi
Dalle profonde lor radici svelti. Dei profani Ministri
Gli ossi in polve ridotti e al vento sparsi Non coronano l‟opra?
Ios. No che non sono ancora. Degno del Dio di Abramo Vuò che il tempio si renda I riscossi tributi, i doni offerti Ai vivi i ministri adunano, degli anni Servano a risarcir le ingiurie e i danni. Già d‟Aslia il figlio all‟opra
Per me destina i fabri, egli la cura. Fra i ministri divide:
E sol per me lieto sarà quel giorno Che alfin condotto a riva il mio desio Senta del suo ritorno.
Asa. E ben: compiuto or ora
Tutto vedrai. Sicure a corte sono Le vie dell‟opra; e tu non godi ancora? Di un ben che è già vicino
Dolce è l‟idea alla mente; Pur ne gioisce il cor. Sgombra così la noia Nocchier che il lido mira, gli inonda il sen la gioia; pure ne vi giunse ancor. Saf. Mio Re.
Ios. . . . . Ritorni al fine?
Ma qual ti leggo in volto Importuna mestizia?
Nel commune piacer qual mai ti assale Improviso dolor? Parla: che avvenne? Saf. Al Sommo Sacerdote i cenni tuoi Qual m‟imponesti esposi.
Ed ei . . .
Ios . . . . Forse condanna‟ Saf. Anzi approva il disegno. Seco compagno al Tempio
Mi chiama: Io corro; e mentre nel tesoro Cercando va . . .
Ios. . . . Se a riparar quall‟oro Le rovine non giova
Pronti gli Erasi miei, pronto è il Tesoro. Saf. Ma se dir non mi lasci!
Ios. Questa lentezza tua Troppo Safan mi opprime; Ma già ne viene Elcia.
Elc. Prence, non ti stupir, se così mesto E di paura stretto
Vedi ch‟io pure a te ne venga. Ognuno Uop‟è che si paventi.
Allor che ascolti? Di quel sacro libro Gli infallibili detti. Ios Di qual libro ragioni? Elc. Di quello istesso io dico
Ove Mosè di propria mano scrisse Quelle leggi,che il Cielo a noi prescrisse. Osa. Quello non è che occulto
Per lungo volger d‟anni Fu a nostri Padri Elc. . . . Appunto
E desso. E mentre colgo
De‟i doni offerti quelle immense some Presso l‟Arca di pace
Mi addita il Ciel qual vuol rifatto il Tempio. Il libro io vedo, in quello
Dell‟alme nostre imagin viva e vera Del Tempio del Signor,in quel ravviso
La difforme sembianza. Ios. E del perduto ben qual mal ci avanza.
Di si lieta novella Nunzio mesto ne vieni? Ah mal conviensi al volto Quella ch‟ora ti opprime Inutile tristezza.
Se di dolerti altra ragion non hai Del Cielo al dono vil compenso dai. Elc. Ma noto a te non è qual‟infelice Fine a di nostri irato il Ciel predice. Asa. Con questi dubi tuoi
Tu la Regia funesti
E nelle fauci intesse al popol tronchi. La libertà di respirar contenti. Ah mentisca il presagi. . . Ios. . . . Oh come il core
Mi palpita nel petto! Suvvia si ascolti
Qual rovina e minaccia il Ciel prepara. Saf. Senti, e al mio dir, meco a dolerti impara. Vedrem di fulmini
La destra armari Ira del Cielo E in noi firmarsi Le nostre colpe A vendicar. Chi dall‟eccidio Mai trarse fuore? Chi fia che l‟impeto Del suo forore Possa fermar? Ios. Ma infelice che ascolto! E vivo ancor? Ah vada
Lungi da me questa pomposa veste. L‟ostro,il bigo,la porpora non sanno Coprir le pene in cui quest‟alma è assorta, che al gran dolor la medicina p corta. Elc. Ove trascorri o Prence?
Deh frena il tuo dolor,tenta le vie Onde placato il cielo
Da noi lungo rivolga is suo furore. Voglia ancor la Clemenza.
Forse per noi, Se ingrati Pur vuoi figli noi siamo:il suo diletto
Popolo d‟Israello: ei Padre amante Punisce è veri;ma nel punir rammenta La sua Pietade, e tutta l‟ira e spenta. Ios. E ben dal Ciel si corra
Il soccorso a implorar. Per me pregate. Su gli avanzi di Giuda e d‟Israele
Sospenda ancor per poco il giusto sdegno. D‟Isacco le promesse
Voi dolenti narrate:
dite che il Popol suo, ne invano,spera veder su i figli suoi
quegli aiuguri felici che Giacobbe predisse. Dite che noi di Abramo
I figli siam: che ne profondi abissi Fra gli empi suoi nemici
Non s‟ode risonar quel Nome Santo.
Dite. . . Non son più dir mi opprime il pianto. Elc. Dirò che fido sei
Dirò che tu de‟i rei Con le pietose lacrime Scemi l‟errore.
Di Abramo le promesse Dirò che serbi impresse Tutte nel cuore.
Ios. Ove son! Chi dirigge i passi miei? Ah perché non troncaste inique stelle Nella cuna i miei giorni?
Perché al trono serbarmi? Oh me infelice! A questo Preparato non fui colpo funesto. Importuna grandezza io ti rifiuto; Del ciel felice dono ah tu non sei, Se disturbi la pace ai giorni miei. Chi del trono la sorte sospira Non gli affanni, o i perigli rimira Che de i Regi circondano il cor. Misero a chi ragiono!
Perché accusare de‟miei falli il trono? Io son lo scellerato,il reo son io. In me lo sdegno tuo
Volgi Signore: scaglia In me le tue saette
Drizza i fulmini tuoi: ma pensa prima Ch‟io son l‟opera tua; Tu Padre; e poi Fremi se ancor sdegnato esser tu puoi. Se ti accende un giusto sdegno, il tuo popoli diletto
deh perdona a Dio di Abramo; Si me toglio e vita e regno, Ch‟io la man rispetto ed amo Che tu adopri nel punir. Ecco corro in braccio a morte. Ne l‟aspetto di mia sorte Mi può fare impallidir.
Saf. Ogni tema dal cor deh sgombra o Prence Giunse di Abramo in seno
Il giusto tuo dolore
Ios. Dunque fia ver che in mezzo alle procelle Splendon per noi proprizie in ciel le stelle? Elc. Sulla mia fe riposa:
Di Salda per la bocca Fe palese il Signore
Che lungi l‟ira sua volge da noi A tuoi pianti placato a preghi tuoi Asa . oh di amoroso Padre
Infinita pietade! Oh cura eterna!
Isa. Figli ite or voi dolenti,
Se di Grazie i tesori aperti sono, De‟ vostri falli ad impetrar perdono. Da sincero umil dolore
Preso l‟empio,del suo errore Trova sempre in Dio pietà. Elc. Chi le colpe non abborre,
Sol chi in braccio a Dio non corre. Sue vendette proverà
a due Contro se di Dio lo sdegno Tema dunque quell‟indegno Che pentirsi ancor non sa Che seal Ciel fedele e grato Questo Popolo or sarà Contro se di sdegno armato Non mai più non lo vedrà
LICENZA
Di gente a Dio diletta
Alto Patrono del tuo gran potere Trovar alter che un ombra Oscura e fosca nel buon Re Iosia Io non torei. Le lacrime, i sopsiri Di quello volger dall‟irato Dio Ad impetrar sul popol suo perdono. Dei doppi tuoi martiri
Tu col sublime metro
Su questa tua città di grazie e beni Quanto per te si chiede ognora ottieni. Che se di lodi ebbe quel ve mercede Da‟suoi pur questa il nome tuo sovrano All‟etra innalzi o gran SEBASTIANO. Del simulacro tuo
Se per opra del Cile fece l‟acquisto; Tutto il favore non fu allor previsto. Credeva solo conservar dall‟arte Un raro pregio;ne sperò in tal sono Avere un protettore un suo Patrono. Tale Iosia mentre del Tempio intento A risarcir i danni
Il vivo tempio a riformare impara. In cento e mille modi
Il nostro eccelso Eroe E delle nostre lodi Giunga il festivo suono Fin dove sorge il dì.
SATIRA
Oh qual piacere Poligramone io provo
Nol In rivederti della (dalla) Patria in vano.
Ma in te qual prima un altro me ritrovo?
Poli. Sa mutave color cielo e terreno,
Mi univa al mio fedele Adlfazante
Benchè lontano col pensiero almeno.
Adol Grazie al tuo amor. Io quante volte e quante Per nome ti chiamava che costretto Eva a starmene vol fra tanti e tante. Poli Amico tu ben vai ch‟io parlo schietto: Hai fatto mal. Romano vivas move Dum Rome moras; tu sapevi il detto. E che? unirmi dovea con chi di onore Le leggi non conosce,e solo osserva Ciò che gli detta il suo bizzarro umori. Dunque amico fia ver che vi proterva Sia qui la gente? L‟opre sua racconta Poli. Accio il tuo dir di regola mi serva. Adol. Amico e che dirò se ognun sormonta Nel male il male isteso! Io ti ubbidisco Che ancor la lingua nel servirti ho pronta I cavalieri i primi,io dirlo ordisco Contro mia voglia,e mentre parlo,oh come Per la vergogna arrabbio, e impallidisco, Null‟han di cavalieri,oltre che il nome! Poli. E che? Non usan piu‟ fasto e contegno? Adol Anzi in vestir spendono immense somme. Ma prepotenti son senza ritegno. Opprimono la plebe;ond‟è che inganna Il lusso che sol ha del fasto segno Ma prova. Sarà chè in vil capanna Nacque, a Giudice eletto,al Re gradito Il giusto assolve,e il reo talor condanna. Verrà un nobile all‟uso, altero ardito323
Col cappello inchiodato in su la ciglia. E a fianco un lungo ferro irruginito. Entra,e sedendo il primo luogo piglia, E dopo fatto al giudice un saluto Di sua lite pendente lo consiglia. E perché contro lui divenghi muto, E in suo favor la sente in apparenza, Gli offra danaro con parlare astuto: Compera insomma a favor la sentenza;
E il povero così rimane oppresso Chiede il giudice poi la ricompensa: Il nobil non sa piu‟ cio‟ ch‟ha promesso, E sbavazzando grida:il giusto hai fatto; Pagni li dritti;e che più cerchi adesso? Oh come allor vedresti stupefatto
Quel che resta a suo danno minchionato!
Ma vuo‟ farti di un altro il bel ritratto,