• Non ci sono risultati.

INTERVISTA N.5

LEGENDA

Nella trascrizione dell’intervista, sono stati utilizzati i seguenti criteri: I = Intervistato

C = Conduttore dell’intervista

X = Nomi di persone, servizi o istituzioni

INTRODUZIONE:

C: Il seguente lavoro di tesi si situa all’interno della tematica del colloquio motivazionale, della sua applicazione con pazienti dipendenti da sostanze psicoattive ed il relativo ruolo infermieristico.

Come riportato nel Consenso Informato, l’intervista sarà registrata e la trascrizione resterà anonima. Se volessi leggere l’intervista, sarà mio interesse fartela avere quanto prima.

Se sei d’accordo, possiamo cominciare. I: Va bene.

DOMANDE:

C: Per iniziare, mi piacerebbe sapere le formazioni che hai svolto e l’esperienza lavorativa che ti caratterizza.

I: Ho fatto la formazione come infermiera a X ed ho terminato nel 1996. Ho lavorato 15 anni in X sempre in ambito psichiatrico, inizialmente in ospedale nel reparto di diagnosi e cura, e successivamente sul territorio, in un servizio psico-sociale. Qui invece, sono dal 2012. Ho iniziato in un reparto di psichiatria mista acuta e successivamente da 4-5 anni, sono a lavorare in un centro per le dipendenze, residenziale.

C: Che tipo di utenza viene accolta in questo reparto?

I: La struttura accetta pazienti volontari e pazienti con un ricovero di coatto che hanno problemi con il consumo di sostanze, spesso in comorbilità con altre diagnosi, si parla di doppia diagnosi.

I pazienti volontari stipulano il contratto. Questo prevede la scrittura degli obiettivi. Secondo me è molto utile, perché esplicitare gli obiettivi rafforza la motivazione a metterli in pratica. Si visualizza il percorso. Inoltre, trovi scritti gli obblighi e i doveri. Gli obiettivi sono decisi dall’utente, partono da loro, poi il curante può aiutare a formularli ed aiutarli nel percorso. Questo si stipula con i pazienti volontari. Con i pazienti coatti si compila, dopo averli scoattati.

C: Si elencano anche le strategie?

I: No. Solo gli obiettivi. Le strategie sono forse più gli interventi che si scrivono nella scheda progetto.

C: Parlando di motivazione, nell’ambito del colloquio motivazionale, viene applicata qui questa tecnica ed eventualmente è stata svolta qualche formazione a riguardo?

I: Io formazione non ne ho fatta. Quando sono passata dalla psichiatria acuta al reparto di dipendenze, non ho svolto formazione a riguardo. È stata più una cosa interna, ovvero i miei colleghi mi hanno dato una modulistica da guardare e consigliato alcuni libri da leggere. Infatti, ne abbiamo anche discusso insieme tra colleghi e con l’insegnante assistente, per capire cosa fare: portare avanti questa cosa ed applicare quindi la tecnica come davvero la teoria insegna, quindi fare una formazione per gli operatori, oppure essere consapevoli e continuare ad utilizzare quello che chiamiamo colloquio motivazionale, ma senza dei canoni precisi ed una struttura ben definita.

C: Ok, capisco, quindi mi stai dicendo che necessitereste di una formazione adeguata…

I: Si, attualmente non abbiamo la formazione adatta per dire che mettiamo in atto questa tecnica veramente, come la teoria insegna.

C: Posso chiederti allora cosa si intende per colloquio motivazionale nella pratica, all’interno del reparto?

I: La pianificazione no... Come cerco di farlo io… Abbiamo in carico alcuni pazienti, come infermieri di riferimento, quindi ci si concentra un po’ di più su quelli, con i quali ho più informazioni… Cerco di indagare la spinta motivazionale che sta alla base, che gli ha permesso di intraprendere un ricovero... Sto parlando dei pazienti volontari, perché con quelli coatti, è un po’ diverso… Quindi quale è stata la spinta che lo ha smosso, lo ha attivato ad intraprendere un percorso, quale è la sua progettualità, come vede il suo futuro, come si immagina l’uscita fuori, le sue prospettive. Inoltre, cerco di capire la motivazione, lo stadio… Alcuni pazienti sono determinati, e dicono che questa è la volta giusta, altri invece come quelli con un ricovero coatto sono meno convinti ed anzi ancora non riescono a fare una lista dei pro e dei contro e non sono interessati ad intraprendere un percorso. Posso anche indagare la presenza di un sostegno esterno, perché comunque il percorso qui inizia, non finisce… Di conseguenza se torni a casa, esci di qua ma poi fuori? Il contesto spesso è negativo e rimanda all’ottica del consumo. Si lavora quindi come aggancio sul territorio, la motivazione può essere sotto quel punto di vista. La volontà del paziente di continuare un percorso fuori, è importante. Durante il colloquio indago se è solo una frase momentanea l’idea di smettere il consumo o se davvero fondata, come volontà di cambiamento. La presa in carico fuori, è un obiettivo che per quanto lontano dall’astinenza, è molto grande per loro e può aiutare nel percorso.

C: Con i pazienti con un ricovero coatto, hai detto che diventa più difficile… Cosa si potrebbe fare con questo tipo di utenza per sviluppare e far emergere la motivazione al cambiamento?

I: La cosa che si riesce a fare è la riduzione del danno. Alcuni di questi hanno storie vecchie di dipendenze, in cui si mettono n situazioni di pericolo, trovati incoscienti per strada. Allora si cerca di ridurre il danno, i rischi per non mettersi in pericolo. Si lavora tanto su questo, per evitare che il consumo sia poi pericoloso per se stessi. Il supporto farmacologico, da introdurre o da stimolare sotto il punto di vista dell’aderenza terapeutica, può essere anche un obiettivo.

Prima di tutto, si cerca anche di togliere il ricovero coatto, e dal momento che diventano volontari, si stipula il contratto terapeutico, definendo un progetto terapeutico e cercando una strada da intraprendere.

C: Ci potrebbero essere delle strategie per incentivare e far uscire la motivazione al cambiamento?

I: Sì, forse fare una lista dei pro e i contro sullo stile di vita, riflettere sullo stato in cui si è trova e quello dove vorrebbe essere…

Poi dipende alcuni pazienti sono consapevoli dei pro e dei contro, soprattutto dei contro, e con questi puoi già lavorare meglio perché sono in una fase di contemplazione… Rispetto ad alcuni che ancora i contro non li riconoscono e non necessitano, secondo la loro visione, di un cambiamento, quindi ancora pre-contemplativi…

C: Quali attitudini di un curante sono importanti, secondo te, per instaurare un’alleanza terapeutica, una relazione efficace con questa tipologia di utenza?

I: Sicuramente l’atteggiamento non giudicante, è fondamentale. Non dire se l’è cercata… Inoltre, l’accoglienza è fondamentale da mettere in atto. Con l’accoglienza inizi ad instaurare una relazione che sta alla base del percorso.

Il lavoro di equipe anche è molto importante, perché avendo un comportamento a volte manipolatorio, l’unione in equipe permette di non cadere in queste triangolazioni.

Anche l’ascolto da mettere in pratica. Sia all’interno dell’equipe ma anche con il paziente, per far sì che possiamo riconoscere i loro bisogni.

Senza tutto questo, sarebbe impensabile prevedere una cura o ancora meglio dei colloqui motivazionali.

C: Quindi pensi che ci possano essere dei limiti nell’applicazione di un colloquio motivazionale?

I:. Oltre l’assenza di fiducia, causata da una relazione terapeutica inefficace, ripensando alle dinamiche di reparto, sicuramente l’intossicazione acuta non permetterebbe uno scambio ed un confronto sempre adatto. Anche il craving rende difficoltosa l’analisi di realtà, perché annebbia e diventa un ostacolo tra te e lui, causando problematiche di compliance.

C: Ok. Quali potrebbero essere altri fattori ostacolanti o facilitanti l’aderenza terapeutica?

I: Garantire la presenza ed uno scambio relazionale, per comprendere quali possano essere i bisogni del momento può essere facilitante. il problema è che spesso si è di corsa. Anche le attività occupazionali sarebbero belle da mettere in pratica, come momento meno formale per instaurare una relazione e scambiarsi un po’ alcuni pensieri, capire meglio qualche cosa del paziente. Però a volte non è sempre possibile, eppure l’utente apprezzerebbe molto la nostra presenza. Questo favorisce l’accoglienza ed una relazione di fiducia.

C: Come viene gestita la ricaduta? Il colloquio motivazionale la considera?

I: Accoglienza ed atteggiamento non giudicante sono comunque i presupposti per trattare la ricaduta. Essendo che qui i pazienti stipulano il contratto terapeutico, un momento di ricaduta fa simbolicamente rompere il contratto. Questo vuol dire ridefinire gli obiettivi. Si cerca insieme di abbassare l’asticella, magari l’obiettivo era troppo alto. Partendo da questa ricaduta si concorda insieme cosa si può fare e dove si vuole arrivare.

C: Ok va bene. Tu vorresti aggiungere qualcos’altro?

I: No, ti ho detto tutto.

C: Perfetto, io ti ringrazio ancora una volta per il tempo dedicatomi e la disponibilità mostrata.

Documenti correlati