• Non ci sono risultati.

Il sistema di tratta internazionale di persone è tradizionalmente denominato “trafficking

in human beings”. Si tratta di un fenomeno complesso e denso di dati di ordine sociale e criminologico

che, proprio in ragione di tale natura, rendono difficoltosa l’elaborazione di categorizzazioni nette e di processi e dinamiche rigidamente definiti. Costituisce una delle forme più drammatiche e nel contempo diffuse di violazione dei diritti umani che ha progressivamente assunto dimensioni ampie, organizzate sul piano internazionale. Il trafficking, ossia lo sfruttamento sessuale o economico in condizioni analoghe alla schiavitù delle persone vittime, si distingue dallo smuggling, ovvero l’introduzione illegale di migranti nel territorio di uno Stato sebbene in numerosi i casi i due fenomeni si sovrappongono. Il/la migrante vittima di tratta, spesso gravato dal debito contratto con chi finanzia il suo trasferimento, come nel caso della tratta indiana, subisce, in genere, forme potenzialmente illimitate di sfruttamento che il codice penale italiano sanziona con i delitti di riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù, di tratta di persone e di acquisto e alienazione di schiavi.

Le vittime della tratta degli esseri umani non necessariamente coincidono con gli immigrati irregolarmente soggiornanti, ma i due fenomeni possono essere strettamente correlati.

Le strutture organizzative dei sodalizi criminali dediti ai predetti traffici sono spesso articolate su livelli operativi integrati: le organizzazioni etniche (che pianificano e gestiscono lo spostamento dal paese di origine a quello di destinazione); le organizzazioni che, nelle zone di confine, tra i diversi paesi interessati dal viaggio, si occupano (su mandato delle prime) di fornire i documenti falsi, scegliere le rotte e le modalità di trasferimento; infine le organizzazioni criminali stabilitesi in Italia che accolgono i migranti per sistemarli definitivamente, trasferirli (verso il Nord Europa) oppure consegnarli ai soggetti finali (criminali vari, organizzazioni mafiose o imprenditori criminali) che, nel caso del “trafficking”, costituiscono coloro che beneficeranno dell’asservimento e dello sfruttamento della vittima. Le vittime, spesso sono assoggettate attraverso la persuasione, l’asservimento, la sottrazione dei documenti, la minaccia di ritorsioni e di violenze (talvolta dirette anche ai familiari) nonché pestaggi, sevizie, torture e violenze sessuali, oppure ricorrendo all’influenza psicologica dei riti magici (“voodoo” o “ju ju”), come nel caso delle donne nigeriane, al fine di terrorizzarle.

Altre condotte illecite possono riguardare il falso documentale, ossia l’approvvigionamento di documenti falsi o contraffatti, la corruzione, l’illecita intermediazione finanziaria, il riciclaggio, auto-riciclaggio e l’impiego dei relativi proventi illeciti. I mercati più remunerativi dove sfruttare le vittime di tratta (spesso anche minori di età), sono quelli dello sfruttamento sessuale, del lavoro (per lo più nel settore agricolo, edile, manifatturiero e della ristorazione), dell’accattonaggio e delle attività illegali (come lo spaccio di stupefacenti, furti e ricettazione).

Tra il 2017 e il 2019, ad esempio, sono state individuate 118 donne vittime di grave sfruttamento lavorativo, di cui 38 nell’ambito del lavoro domestico e di cura e 37 in quello agricolo. Si tratta di numeri esigui se paragonati a quelli delle donne vittime di sfruttamento sessuale (3.123 vittime nello stesso periodo), che riflettono la difficoltà di analisi approfondite su questo tema. Risulta inoltre ancora modesto il numero di procedimenti giudiziari nel corso dei quali è stato applicato l’articolo 18 T.U.

Immigrazione, che prevede l’inserimento della persona sottoposta a violenza o grave sfruttamento nei programmi di assistenza e inclusione sociale. Secondo, ad esempio, i rapporti del Laboratorio dell’Altro Diritto Centro Interuniversitario di Ricerca con la Flai-Cgil (2019), su 240 procedimenti presi in esame, solo in uno di questi è stato applicato l’articolo 18 T.U. Immigrazione. Altri tre procedimenti fanno riferimento all’art. 22 T.U.

L’occupazione agricola e il relativo sistema produttivo, con la sua filiera di trasformazione e commercializzazione, la prevalente stagionalità del lavoro bracciantile immigrato, il ruolo importante della grande distribuzione organizzata e dei vari mercati ortofrutticoli aventi dimensione internazionale, rendono assai problematico ricostruire nel dettaglio l’articolazione complessiva del fenomeno dello sfruttamento lavorativo delle donne immigrate impiegate in agricoltura e il loro ruolo nella produzione di beni agricoli diffusi, mediante la relativa rete commerciale, sull’intero territorio nazionale e spesso anche internazionale. Uno sfruttamento che è prodotto, e nel contempo produce, emarginazione, ricattabilità e subordinazione, eppure risulta spesso centrale nella produzione di ortaggi, frutta, prodotti vitivinicoli e lattiero-caseari che rappresentano la qualità del made in Italy nel mondo.

Box 11

Articolo 18 del Testo Unico dell’Immigrazione (d.lgs. n. 286/1998).

L’art. 18 del T.U. prevede uno degli istituti più interessanti e importanti contro lo

sfruttamento, ossia il riconoscimento di uno speciale permesso di soggiorno per consentire al migrante, uomo, donna o minore, di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell’organizzazione criminale, italiana o straniera, e di partecipare a un progetto di assistenza e inclusione sociale quando

siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento. Il permesso di soggiorno così conseguito, negli anni, è stato esteso dalle vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale alle vittime di sfruttamento per finalità lavorative. La possibilità̀ riconosciuta per via normativa dallo Stato italiano

di un “percorso sociale”, costituisce l’aspetto più̀ significativo e peculiare della norma, perché, come riconosce anche l’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), lascia libera la persona sfruttata di non esporsi al rischio di ritorsione a seguito di denuncia e di essere accompagnato in un percorso professionale adeguato a ricostruire un’esistenza libera, civile e piena.

Questa condizione è già nota in alcune aree del Paese. Tra queste, senza alcun dubbio, l’area del ragusano, in Sicilia, nel rosarnese, in Calabria, nella Piana del Sele e nell’area di Castel Volturno e di Villa Literno, in Campania. Nel caso delle donne gravemente sfruttate e a volte anche violentate è emblematico il caso delle lavoratrici rumene impiegate nelle serre del ragusano, un fenomeno indagato e denunciato in particolare dal giornalista italiano Antonello Mangano.

Una delle storie più drammatiche riguarda una donna rumena che per nove anni ha subito un doppio sfruttamento lavorativo e sessuale da parte del suo padrone. La donna, infatti, viveva nelle serre costantemente controllata, tanto che le era impedito di uscire da sola persino per fare la spesa, vittima di pressioni continue da parte del datore di lavoro che violavano palesemente i suoi diritti umani. Al tempo stesso, a causa dei ripetuti abusi sessuali da parte dell’uomo, è rimasta incinta diverse volte. La donna, quando non riusciva ad andare in Romania, si procurava l’aborto con acqua bollente e altri espedienti. Una storia drammatica che non può essere considerata eccezionale o solo

episodica. Si tratta di un fenomeno criminale che non riguarda solo alcune aree del Paese, sistemi di impresa arretrati sul piano della produzione, tecnologico o della distribuzione o aree periferiche e marginali come quelle in cui sono allocati insediamenti informali privi dei basilari servizi di necessità (acqua, luce, gas, servizi igienici), spesso controllati da organizzazioni criminali straniere e pullulanti di imprenditori criminali e caporali italiani e immigrati. Aree di sfruttamento agricolo, ricatto e violenza sulle lavoratrici immigrate si riscontrano, infatti, anche nel Centro e nel Nord Italia. Questa è una delle conseguenze che derivano dalle politiche di precarizzazione del mercato del lavoro e di gestione della crisi economica, ambientale ed occupazionale dentro il paradigma artificiale dell’eccezionalità, dell’emergenza e dell’economia speculativa e verticistica di natura lineare, il cui fine è dato dal conseguimento del massimo profitto mediante il massimo assoggettamento e sfruttamento della manodopera più ricattabile e socialmente fragile, la corruzione, l’uso di denaro illecito, violenza, frodi di diversa natura e di aggressione e inquinamento ambientale.

I iI .

La comunità indiana