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I trattati in materia di armi chimiche

Nel documento LE ARMI DI DISTRUZIONE DI MASSA (pagine 106-113)

Le armi chimiche possono essere la prima categoria a vantare un interessante esempio di trattato bilaterale in materia di proibizione: si tratta del trattato di Strasburgo, un documento del 1675 firmato da Francia e Germania che proibiva l’uso di pallottole avvelenate. Esso è oggi considerato un’eredità storica più che un trattato internazionale vincolante: rimane comunque un interessante esempio di come questa materia fosse preoccupante già secoli fa. Le armi chimiche hanno poi trovato spazio in alcuni trattati internazionali già prima della guerra del 1915-1918, anche se, nota Croddy, <<there were numerous efforts to control the spread of chemical weapons prior to World War I, but most, as that war amply demonstrated, were ineffectual>>422. Comunque gli agenti chimici furono le prime armi di distruzione di massa a comparire sui campi di battaglia, e quindi anche le prime di cui si fosse teorizzato l’uso. Non è un caso che i primi riferimenti alle armi chimiche siano stati fatti nelle Convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907. L’idea di convocare una Conferenza all’Aja fu dello zar, il quale cercava di agire sul piano diplomatico per limitare alcuni sviluppi bellici in quanto le proprie forze armate non erano all’avanguardia. Nonostante questa visione abbastanza egoistica venisse ammantata da principi umanitari, alla Conferenza dell’Aja parteciparono comunque diverse potenze. Il suo risultato fu quello di richiamare i contenuti delle due precedenti conferenze di Bruxelles (rispettivamente del 1864 e del 1874) vietando la “diffusione di gas asfissianti o deleteri” (sic). Il divieto veniva poi ribadito nella conferenza del 1907, con l’esplicita previsione di vietare l’uso di veleni o armi velenose. Questi furono poi gli argomenti che dopo la Prima guerra mondiale vennero utilizzati per giustificare l’uso dei gas: la Conferenza trattava le armi ed i proiettili, mentre invece il gas era di norma rilasciato da bombole. Sarà comunque la prima guerra mondiale che indissolubilmente legherà a sé l’utilizzo delle armi chimiche, i famosi “gas”, di cui ne vennero rilasciate ben 124.000 tonnellate423. L’idea tedesca di applicare la chimica sui campi di battaglia era vista come un modo di scardinare la staticità che aveva caratterizzato la guerra, soprattutto ad ovest. Dopo alcuni tentativi riusciti parzialmente e con scarsi risultati, nel 1915 la Germania decise di scatenare un vasto attacco a Ypres. L’attacco raggiunse i risultati sperati: al di là dei morti (che furono comunque 5.000) nel fronte alleato si aprì una profonda breccia di alcuni chilometri. Ecco l’effetto che il gas aveva raggiunto: oltre alle vittime, aveva destabilizzato la linea difensiva nemica. Tuttavia, nonostante la favorevolissima situazione tattica, i tedeschi non avevano riserve disponibili per sfruttare il varco: questo a dimostrazione che non credevano molto nell’efficacia

417 Kelle A. ed al., Controlling biochemical weapons, Palgrave, New York, 2007, p. 37. 418 Kelle A. ed al., Controlling biochemical weapons, Palgrave, New York, 2007, p. 38.

419 Vedasi Croddy E., Chemical and biological warfare, Springer-Verlag, New York, 2002, pp. 240-245.

420 WMDC, Weapons of terror: freeing the World of nuclear, biological and chemical weapons, WMDC, Stockholm, 2006, p. 118 e Kelle A. ed al., Controlling biochemical weapons, Palgrave, New York, 2007, pp. 45-46.

421 WMDC, Weapons of terror: freeing the World of nuclear, biological and chemical weapons, WMDC, Stockholm, 2006, p. 118. 422 Croddy E., Chemical and biological warfare, Springer-Verlag, New York, 2002, p. 169.

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del gas. Gli effetti dei gas divennero immediatamente un problema per tutti gli Stati Maggiori. Occorreva riparare le truppe, capire come difenderle e, soprattutto, reagire agli attacchi con altre armi chimiche. Le nazioni alleate erano indietro da questo punto di vista: perciò vennero commissionati rilevanti programmi di armamento chimico. L’uso dei gas era riuscito a provocare un’escalation nel campo della chimica. Nel giro degli anni restati per il primo conflitto mondiale, tutte le nazioni, con maggiore o minore intensità, si dedicarono all’uso militare dei gas, con effetti diversi. Terminato il conflitto, rimaneva comunque l’orrore per questi mezzi di combattimento; per questo le armi chimiche furono un tema presente nelle trattative di pace fra i diversi stati.

La riflessione sulle armi chimiche si allargò a livello mondiale, e venne deciso di regolamentare questi strumenti vietandone l’uso bellico.

2.7.1 Il Protocollo di Ginevra

Il Protocollo di Ginevra costituisce ancora oggi il pilastro ed il precedente più rilevante in materia di divieto di uso dei “gas” (ma, estensivamente, di tutte le armi chimiche) nel corso di un conflitto. I risultati della prima guerra mondiale furono i motivi che portarono le nazioni a concludere il Protocollo, che venne firmato a Ginevra il diciassette giugno 1925,ma entrò in vigore nel 1928 (per gli stati che lo ratificarono). Il <<Protocol for the Prohibition of the Use in War of Asphyxiating, Poisonous or other Gases, and of Bacteriological Methods of Warfare>> specificava all’inizio del preambolo che poichè l’uso in guerra di <<asphyxiating, poisonous or other gases, and of all analogous liquids, materials or devices>> era stato condannato <<by the general opinion of the civilised world>> e perchè la la proibizione di questo utilizzo era stata dichiarata in alcuni trattati che la maggioranza delle potenze aveva sottoscritto, il Protocollo si impegnava ad essere “universalmente” accettato come norma di diritto internazionale. Le dichiarazioni delle parti erano alquanto brevi (come lo stesso trattato), ma molto chiaramente le parti <<accettano la proibizione424>> e accettavano di essere vincolate secondo i termini del Protocollo. Le parti si impegnavo anche a far sì che altri stati sottoscrivessero il protocollo. Così, molto laconicamente, veniva vietato l’uso della armi chimiche. Il trattato, come ben noto, presentava una serie di questioni non risolte: innanzi tutto la ricerca, lo sviluppo, il trasferimento e l’immagazzinamento di armi chimiche. Mentre per le armi biologiche questi divieti, come quello dell’uso, sostanzialmente erano poco urgenti in quanto la ricerca era ancora ai primordi, per le armi chimiche la situazione era ben differente. Tutti i principali stati del mondo avevano dimostrato che in pochi anni erano riusciti ad impiantare un’industria chimica sufficientemente capace di produrre agenti: lasciare liberi settori come ricerca, sviluppo, immagazzinamento e trasferimento delle armi chimiche voleva dire indebolire di molto il successivo divieto dell’uso. Avere armi chimiche, soprattutto se efficienti ed in grandi quantità è un forte incentivo all’uso delle stesse. Pertanto il trattato fin dall’inizio si rivelava debole. Un’ulteriore mancanza furono le assenze delle ratifiche di moltissimi stati, fra i quali diverse potenze: era un chiaro segnale che, nonostante le belle parole, gli Stati Maggiori (in primis quello americano) consideravano l’ipotesi chimica come perfettamente lecita, e paragonabile agli altri mezzi di guerra. E in effetti alcune nazioni non si fecero scrupoli ad usare agenti chimici nel periodo fra le due guerre, compresa l’Italia, nonostante fosse una delle poche nazioni firmatarie. Altre nazioni, come la Germania, svilupparono una capacità chimica militare molto notevole, come dimostrò la scoperta dei gas nervini. Alla fine l’uso degli agenti chimici in combattimenti diretti fra l’Asse e gli alleati non avvenne per una serie di scelte strategiche, più che per la sottoscrizione del Protocollo di Ginevra. La fine della seconda guerra mondiale e l’inizio della Guerra fredda segnarono infatti la ripresa su vasta scala dell’armamento chimico a lato degli altri settori.

424 Le parti accettavano la dichiarazione e essi << agree to extend this prohibition to the use of bacteriological methods of warfare>>. Qui non viene ripetuto perchè già esaminato in altra sede.

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2.7.2 La Convenzione sulle armi chimiche

Paradossalmente, le prime armi ad essere disciplinate a livello internazionale già ai primi del Novecento furono le ultime a vedere una organica sistemazione, che poteva concretizzarsi in un trattato solamente alla fine della Guerra fredda, ventun anni dopo la Convenzione sulle armi biologiche e ben venticinque anni dopo il Trattato di non proliferazione nucleare. Le armi chimiche furono così le ultime armi di distruzione di massa ad essere disciplinate, in quanto <<the battlefield utility of poison gas was not seriously undermined by the mutual restraint displayed by the Allies and Axis poker during the Second World War425>>. In altre parole, i programmi di armamento chimico dopo la guerra ripresero a pieno ritmo. I motivi che portarono alla Convenzione sulle armi chimiche furono quelli che determinarono anche la tardiva negoziazione. Innanzi tutto vi erano delle questioni strategiche inerenti la Guerra fredda. Sia gli Stati Uniti che l’Unione Sovietica mantenevano dei grossi complessi industriali capaci di sintetizzare grandi quantità di agenti chimici, e l’attenzione diplomatica era rivolta alle armi nucleari. Quelle chimiche restavano in secondo piano, e comunque rappresentavano un’ipotesi più accettabile di quelle biologiche. La firma della BTWC nel 1972 cominciò a far riflettere la comunità internazionale: nel corso degli anni settanta e ottanta diversi stati chiesero un trattato anche in materia di armi chimiche. Un grande ostacolo era costituito dalle possibilità di ispezioni, che ovviamente scontentavano sia gli Stati Uniti che l’Unione Sovietica. La questione rimase in una fase di stallo fintantoché il clima politico internazionale non cominciò a mutare: nel 1992 si formò l’accordo preliminare che avrebbe permesso l’apertura firma della Convenzione sulle armi chimiche il 25 gennaio del 1993. La Convenzione entrò poi in vigore sei mesi dopo la sessantacinquesima ratifica: era il 1997.

La dizione “Convenzione sulle armi chimiche” o CWC è la convenzionale abbreviazione di un trattato internazionale noto con il nome completo di “Convention on the prohibition of the development, production, stockpiling and use of chemical weapons and their destruction”. Il trattato si compone di un preambolo e di ventiquattro articoli: a questi si aggiungono una serie di annessi molto elaborati, che in definitiva rendono il trattato molto lungo426. Seguendo le previsioni della BTWC e contrariamente alle previsioni del trattato NPT, la Convenzione sulle armi chimiche non distingue fra stati che possano possederne e stati che non lo possano. Sulla base della Convenzione ogni Stato, senza eccezioni non può usare né possedere, sviluppare e via discorrendo, alcun tipo di arma chimica. In sostanza le previsioni contenute nel trattato lo rendono effettivamente capace di costituire uno strumento stringente e penetrante per quanto concerne tutto il sistema delle armi chimiche.

Il preambolo esordisce con la determinazione ad agire per raggiungere un disarmo completo e generale sotto controllo internazionale che includa <<the prohibition and elimination of all types of weapons of mass destruction>>. Prosegue citando il Protocollo di Ginevra del 1925, riaffermandone i principi e citando esplicitamente la BTWC, soprattutto l’articolo nove427, e ribadendo la determinazione <<to exclude completely the possibility of the use of chemical weapons, through the implementation of the provisions of this Convention, thereby complementing the obligations assumed under the Geneva Protocol of 1925>>. Il preambolo si chiude con un riferimento alla proibizione degli erbicidi come mezzo di guerra e con l’auspicio che la chimica viene usata solo a beneficio dell’umanità.

La CWC si apre con una serie di obblighi che, a differenza del Protocollo del 1925, abbracciano tutti i possibili usi delle armi chimiche. Nello specifico l’articolo uno, rubricato <<general obligations>>, al comma uno impegna ogni stato parte a non intraprendere in nessun caso:

a) <<To develop, produce, otherwise acquire, stockpile or retain chemical weapons, or transfer, directly or indirectly, chemical weapons to anyone;

425 Spiers E., Chemical warfare, University of Illinois Press, Urbana and Chicago, 1986, p. 89. 426 Il testo qui usato è quello del sito www.opcw.org

427 BTWC, art. 9: <<Each State Party to this Convention affirms the recognized objective of effective prohibition of chemical weapons and, to this end, undertakes to continue negotiations in good faith with a view to reaching early agreement on effective measures for the prohibition of their development, production and stockpiling and for their destruction, and on appropriate measures concerning equipment and means of delivery specifically designed for the production or use of chemical agents for weapons purposes>>.

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b) To use chemical weapons;

c) To engage in any military preparations to use chemical weapons;

d) To assist, encourage or induce, in any way, anyone to engage in any activity prohibited to a State Party under this Convention>>.

Rispetto alla BTWC anche l’uso degli agenti chimici è esplicitamente vietato. Il comma due impone ad ogni stato parte di distruggere le armi chimiche in suo possesso o comunque presenti nella sua giurisdizione o sotto il suo controllo, d’intesa con le previsioni della Convenzione (art.1, comma 2), il comma tre di distruggere tutte le armi chimiche abbandonate nel territorio di un altro Stato parte (art.1, comma 3), il comma quattro di distruggere ogni impianto di produzione di armi chimiche che sia situato sotto la propria giurisdizione (art. 1, comma 4), ed infine il comma cinque che impegna ogni Stato parte e non utilizzare come mezzi di guerra i <<riot control agents428>>.

Il secondo articolo, costituito da dodici commi, disciplina le definizioni ed i criteri seguiti nella Convenzione. Stante la sua precisione rispetto ai trattati analoghi, si capisce subito il perché dell’importanza di questo articolo. Al primo comma dell’articolo due viene data la definizione di armi chimiche, che comprendono:

a) <<Toxic chemicals and their precursors, except where intended for purposes not prohibited under this Convention, as long as the types and quantities are consistent with such purposes;

b) Munitions and devices, specifically designed to cause death or other harm through the toxic properties of those toxic chemicals specified in subparagraph (a), which would be released as a result of the employment of such munitions and devices;

c) Any equipment specifically designed for use directly in connection with the employment of munitions and devices specified in subparagraph (b)>>.

Il primo comma serve solo da introduzione alle definizioni che seguono. Al comma due si specifica cosa si intende per “toxic chemical”, cioè <<any chemical which through its chemical action on life processes can cause death, temporary incapacitation or permanent harm to humans or animals. This includes all such chemicals, regardless of their origin or of their method of production, and regardless of whether they are produced in facilities, in munitions or elsewhere>> (art. 1, comma 2). Il comma tre definisce i “precursor”, cioè <<any chemical reactant which takes part at any stage in the production by whatever method of a toxic chemical. This includes any key component of a binary or multicomponent chemical system>> (art. 1, comma 3). Il comma quattro definisce i “Key Component of

Binary or Multicomponent Chemical Systems”, detti anche “key component”, sostenendo che per essi si intende <<the precursor which plays the most important role in determining the toxic properties of the final product and reacts rapidly with other chemicals in the binary or multicomponent system>> (art. 1, comma 4). I successivi commi disciplinano le armi chimiche definite come “vecchie”, cioè quelle prodotte prima del 1925 o quelle prodotte fra il 1925 ed il 1946 e che si sono deteriorate in modo da non essere più usate come armi chimiche (art. 1, comma 5), le “armi chimiche abbandonate”, cioè quelle armi chimiche, comprese quelle “vecchie” abbandonate da uno stato nel territorio di un altro a partire dal primo gennaio 1925 (art.1, comma 6). Il comma sette poi indica i criteri per i “Riot Control

Agent” , indicandoli come <<any chemical not listed in a schedule, which can produce rapidly in humans sensory irritation or disabling physical effects which disappear within a short time following termination of exposure>> (art. 1, comma 7). Il successive comma otto disciplina in modo articolato la voce “Chemical Weapons Production Facility” indicando tutta una serie di criteri. Importante è il comma nove, che disciplina gli scopi che non sono proibiti dalla Convenzione. Essi integrano a contrario gli scopi vietati. Gli scopi consentiti significano (art. 1, comma 9):

428 Quelli che sarebbero traducibili come “agenti antisommossa” in italiano sono comunemente chiamati gas lacrimogeni, in quanto inducono a lacrimare e pertanto disperdono le folle. Si userà la dizione inglese perché quella di “gas lacrimogeno” appare troppo limitante al caso italiano. Un caso concreto di questo gas, usato per motivi di pubblica sicurezza, è il famoso CS, in dotazione anche alle Forze dell’Ordine italiane.

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a) <<Industrial, agricultural, research, medical, pharmaceutical or other peaceful purposes; b) Protective purposes, namely those purposes directly related to protection against toxic

chemicals and to protection against chemical weapons;

c) Military purposes not connected with the use of chemical weapons and not dependent

on the use of the toxic properties of chemicals as a method of warfare; d) Law enforcement including domestic riot control purposes>>.

Il comma dieci definisce il termine “capacità di produzione429” ed il comma dodici fornisce alcune definizioni per l’articolo sei430.

Il terzo articolo disciplina le dichiarazioni che ogni parte deve fare all’OPCW (l’organizzazione di controllo delle armi chimiche) entro trenta giorni dall’entrata in vigore del trattato. Queste dichiarazioni riguardano tanto le armi chimiche (art. 3, comma 1, lett. “a”) quanto quelle vecchie ed abbandonate (art. 3, comma 1, lett. “b”), gli impianti di produzione di armi chimiche (art. 3, comma 1, lett. “c”), gli altri impianti di produzione (art. 3, comma 1, lett “d”) ed infine i “riot control agents”. In questo modo l’OPCW può avere una visione completa delle armi chimiche, se presenti, la loro quantità, locazione, natura, entità dei trasferimenti (fatti e ricevuti) e da parte di chi, e via discorrendo. Lo stesso ragionamento vale per le armi vecchie ed abbandonate e per gli impianti, che così potranno essere oggetto di ispezione. Queste previsioni molto dettagliate sono in linea con l’impianto generale della CWC.

L’articolo quattro disciplina proprio le armi chimiche, rimandando anche ad un allegato detto “Verification annex” (art. 4, comma 2), prevedendo le ispezioni “on site” (art. 4, commi 3-5) e imponendo alle parti la distruzione di ogni arma chimica, a cominciare entro due anni dall’entrata in vigore della Convenzione per terminare non più tardi di dieci anni dopo l’entrata in vigore della Convenzione (art. 4, comma 6). Il comma dieci specifica l’importanza di tutelare la salute pubblica e l’ambiente durante i processi di trasporto, immagazzinamento e smaltimento delle sostanze, mentre gli altri commi trattano altri particolari della distruzione e della verifica delle armi chimiche.

L’articolo cinque disciplina gli impianti di produzione di armi chimiche, ovviamente imponendo la cessazione immediata della produzione (art. 5, comma 4), vietando la costruzione di nuovi impianti o la modificazione di quelli esistenti (art. 5, comma 5) e imponendo di distruggere quelli esistenti (art. 5, comma 8). In modo complementare viene richiesto che la conversione degli impianti atti alla produzione di armi chimiche sia irreversibile, e che pertanto questi impianti non siano più capaci di produrre gli agenti (art. 5, comma 14).

L’articolo sei disciplina le attività che non sono proibite dalla Convenzione, e cioè che ogni stato ha il diritto <<to develop, produce, otherwise acquire, retain, transfer and use toxic chemicals and their precursors for purposes not prohibited under this Convention>> (art. 6, comma 1). Ad ogni stato spetta quindi il compito di far sì che gli agenti chimici ed i loro precursori non siano usati per la creazione di armi chimiche (art. 6, comma 2). L’articolo sette disciplina le misure nazionali per dare attuazione alla Convenzione, e l’articolo otto disciplina la creazione dell’OPCW (Organization for the Prohibition of Chemical Weapons). Ai sensi dell’articolo otto comma uno, gli Stati parte la hanno istituita <<to achieve the object and purpose of this Convention, to ensure the implementation of its provisions, including those for international verification of compliance with it, and to provide a forum for consultation and cooperation among States Parties>>. L’OPCW è un’organizzazione

429 Art. 1, comma 10: <<“Production Capacity” means: the annual quantitative potential for manufacturing a specific chemical based on the technological process actually used or, if the process is not yet operational, planned to be used at the

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