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CAPITOLO 5. ANALISI LINGUISTICA

5.4 Tratti dell’italiano popolare

In aggiunta agli elementi dialettali appena visti, i testi - poiché scritti da persone semicolte - presentano anche tratti tipici dell’italiano popolare (vedi § 4.2). In particolare, gli aspetti emersi dalle trascrizioni riguardano, oltre all’ortografia (per cui si veda § 5.2), la morfologia, la sintassi e il lessico.

5.4.1 Morfologia

Nell’ambito della morfologia, il primo fenomeno presente nei testi, e notato anche da D’Achille (2006: 221) e Cortelazzo (1972: 86), consiste nella sovraestensione (anche detta trapasso o allargamento pronominale) del clitico dativo gli, che viene utilizzato col valore di a

lei, in luogo della forma standard le:

L1) li abbiamo per gli abbiamo (a lei) L3) li copio per gli copio (a lei) L5) li dirai per gli dirai (a lei)

Un altro aspetto morfologico illustrato da D’Achille (2006: 221) è l’utilizzo del clitico dativo

ci con la funzione di gli:

L2) farci vedere per fargli vedere

Si può osservare anche l’assenza del congiuntivo, che viene sostituito dall’indicativo nelle frasi subordinate (soggettive, oggettive e finali) (cfr. Palermo, 2015: 209-210):

L4 B) facile che vengo per facile che venga L5) a ciò che passate per a ciò che passiate

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C2) spero che state per spero che stiate

Infine, una caratteristica morfologica dell’italiano popolare è riscontrabile nell’uso di voi altri al posto di voi, per la seconda persona plurale (cfr. Cortelazzo, 1972: 92):

L5) e L6) volialtri per voi altri

5.4.2 Sintassi

A livello sintattico, uno dei fenomeni più frequenti dell’italiano popolare, come hanno evidenziato D’Achille (2006: 222) e Cortelazzo (1972: 93), consiste nell’adozione del che polivalente, sia in funzione pronominale sia come congiunzione.

Nei testi analizzati in questo elaborato il che polivalente si trova in alcuni casi come congiunzione subordinante finale:

L4 B) ti portero unbel regalo che cosi anche te non ti dimenticherai delzio L5) li dirai che dia qual cosa atutti etre i nipotini che si divartano anche loro

L6) scrivetemi presto che cosi vi potro mandare unpo di moneta

In altri casi, il che polivalente si presenta nella funzione di congiunzione subordinante causale:

L3) senon fosse per le disgrazie sarebbe molto facile che anche lanno scorso mi mori 5

cavalli

L6) Omolto piacere di ricevere novita di casa cheo scritto prima manon o ricevuto

risposta, vi potro mandare unpo di moneta che ne avrete moto di bisognio

Si manifestano spesso le concordanze a senso (o logiche) all’interno delle frasi, in cui manca l’accordo di numero tra soggetto e verbo finito, come osservato da D’Achille (2006: 222) e Cortelazzo (1972: 79):

L2) migiunge lettere per mi giungono lettere L3) mi mori 5 cavalli per mi morirono 5 cavalli

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C2) ti piace questi chenguri?44 per ti piacciono questi canguri?

C4) dear Mery e famiglia come stai? per dear Mery e famiglia come state?

Infine, un fenomeno sintattico che ricorre più volte è la dislocazione, per cui un pronome in forma tonica viene anticipato all’inizio della frase e poi ripreso dal corrispettivo pronome clitico (dislocazione a sinistra), oppure il pronome in forma clitica viene anticipato e poi ripreso dalla corrispettiva forma tonica (dislocazione a destra); in entrambi i casi, notano D’Achille (2006: 222) e Cortelazzo (1972: 82), la dislocazione produce una ridondanza pronominale:

L2) a me mi giunge, ti saluto te L4 B) te non ti dimenticherai L5) il nostro desiderio di noi45 C3) ti auguro a te

5.4.3 Lessico

Sul piano lessicale si rilevano alcuni elementi ‘fàtici’, cioè espressioni tipiche della lingua parlata, specialmente nel dialogo, in cui i locutori tendono ad utilizzare espressioni convenzionali, e non prettamente comunicative, col solo fine di mantenere attiva la conversazione (cfr. Nencioni, 2000):

L1) guarda Mariuccia, ai capito

L4) guardate […] di non pensare a tante cose

Il verbo guardare perde il suo significato originario e assume quello di fare in modo, cercare, unito alla preposizione di.

44 In questo caso si potrebbe trattare anche di un’interferenza dell’inglese, in cui il verbo like assume la stessa forma sia che si riferisca ad un oggetto singolare sia che si riferisca ad uno plurale (come per

chenguri, che è appunto un sostantivo plurale). L’espressione interrogativa ti piace questi chenguri?

potrebbe quindi essere un calco sintattico, derivato dalla corrispettiva domanda inglese do you like

these kangaroos?

45 In questo caso la ridondanza non riguarda il pronome personale di prima o seconda persona singolare, bensì l’aggettivo possessivo di prima persona plurale, che è ripreso dal pronome tonico. A questo proposito,CORTELAZZO (1972:85)parla di «sovrabbondanza della marca possessiva».

51 5.5 Interferenza dell’inglese

Un ulteriore aspetto che i testi hanno messo in evidenza è il ruolo della lingua del Paese ospite, l’inglese, che può manifestarsi attraverso prestiti, calchi e fenomeni di code-switching (o commutazione di codice). Questi fenomeni presuppongono una qualche familiarità dello scrivente con la lingua inglese, cioè la lingua-modello, che influenza la lingua replica, l’italiano, secondo il processo di interferenza (cfr. Gusmani, 1987: 88).

In primo luogo, si possono individuare dei prestiti dall’inglese nel caso in cui alcune espressioni straniere siano accolte nell’italiano; in questo caso l’imitazione della lingua- modello coinvolge l’aspetto esteriore, il significante, insieme alla sua accezione semantica, con o senza adattamenti alla struttura della lingua-replica (cfr. Gusmani, 1987: 121); nei testi si è riscontrato un solo prestito:

C2) chenguri da kangaroos

In particolare, si tratta di un prestito diretto, perché derivato dal contatto tra le due lingue, ma anche adattato (o integrato), in quanto la parola si assimila - seppur parzialmente - alla grafia e morfologia dell’italiano, non mantenendo quindi la forma inglese originaria (kangaroos) (cfr. Palermo, 2015: 121-122; Gusmani, 1987: 95).

Si possono rilevare parimenti alcuni calchi, che possono essere strutturali (o di traduzione) o semantici. I primi consistono in espressioni che traducono i singoli elementi della lingua modello; i secondi si ottengono invece aggiungendo un significato nuovo a una parola italiana già esistente (cfr. Palermo, 2015: 122-123; Gusmani, 1987: 106-109), e rappresentano quindi «un caso di polisemia indotta da un’altra lingua» (Gusmani, 1987: 108):

L3) o detto anche Adolfo da tell someone

L4) guardate bene da look good, stare in letto da stay in bed, il costume di loro da the

custom of them, fare regalo da make a gift

In tutti i casi sopra elencati le espressioni italiane ricalcano la struttura della lingua inglese, e sono quindi calchi strutturali, ad eccezione però di guardate bene, che è invece un calco semantico, poiché il verbo guardate assume il significato di apparite, sembrate, per effetto del verbo inglese to look. L’espressione look good, che in italiano diventa guardate bene, assume quindi il nuovo significato di avere un bell’aspetto.

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Si notano, inoltre, fenomeni di code-switching, cioè di «passaggio involontario da un codice linguistico ad un altro» (Gusmani, 1987: 89); in questo caso, si verifica il passaggio dalla lingua inglese (lingua A) alla lingua italiana (lingua B), sia all’interno della stessa frase, come nella C4, sia nel passaggio dalla prima riga d’intestazione al resto del testo, come nella C2 e C3:

C2) dear Mery end family C3) dear Mary

C4) dear Mery e famiglia

Si può notare che alcune parole o espressioni (dear, family, Mary) conservano la struttura fonologica e morfologica originaria dell’inglese, mentre altre si assimilano parzialmente alla grafia e morfologia dell’italiano, e non mantengono quindi la forma inglese (Mery, end) (cfr. Palermo, 2015: 121-122; Gusmani, 1987: 95).

Infine, l’interferenza dell’inglese si manifesta nell’utilizzo di alcuni aggettivi possessivi maschili in combinazione con sostantivi femminili; in particolare, si tratta degli aggettivi possessivi di prima e seconda persona singolare (mio e tuo), che in inglese non risultano differenziati in base al genere e restano quindi invariati (my e your):

L4 A) la tuo famiglia da your family, la tuo sposo da your spouse, mio molie da my wife

5.6 Osservazioni finali

Le lettere di Carlo ed Enrico e le cartoline di Iolanda condividono vari fenomeni linguistici, ma presentano allo stesso tempo caratteristiche divergenti.

Innanzitutto, gli errori non sistematici (vedi § 5.1) compaiono più frequentemente nelle lettere rispetto alle cartoline, dove sono emersi solo pochi casi di omissioni di lettere.

Dal punto di vista ortografico (vedi § 5.2), tutti gli scriventi mostrano una scarsa abilità nell’uso delle maiuscole e delle minuscole, così come degli accenti e degli apostrofi; e un altro aspetto che accomuna tutti e tre è l’omissione o utilizzo improprio della punteggiatura. La sostituzione della ‹q› con la ‹c› si riscontra invece solo nelle lettere, dove gli scriventi manifestano anche una certa difficoltà nell’uso dei digrammi ‹gl› e ‹gn› e del segno diacritico ‹h›, che nelle cartoline è invece omesso solo in un caso. Anche la mancanza di percezione dei confini di parola, con la conseguente frequenza di univerbazioni, risulta più frequente nelle lettere rispetto alle cartoline, dove è emerso al contrario un solo caso di univerbazione.

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Per quanto riguarda le interferenze dialettali (vedi § 5.3), queste sono presenti in tutti i testi, anche se nelle cartoline compaiono solo alcuni tratti tipici dei dialetti toscani, e non emergono aspetti del pisano-livornese, mentre nelle lettere si manifestano sia gli aspetti tipici dei dialetti toscani sia quelli caratteristici del garfagnino settentrionale. Nelle lettere si riscontrano quindi i seguenti fenomeni tipicamente toscani: il raddoppiamento morfologico della consonante iniziale di parola, l’apocope, l’uso del pronome te con funzione di soggetto, l’articolo determinativo davanti ai nomi propri maschili e ai nomi di parentela preceduti dall’aggettivo possessivo, l’uso del si seguito dalla terza persona singolare del verbo per la prima persona plurale, il livellamento analogico in -ano per la terza persona plurale del presente, l’assimilazione del nesso consonantico -rl- in -ll-, e l’utilizzo della forma verbale

rivare in luogo di arrivare; gli aspetti del dialetto garfagnino settentrionale sono invece: lo

scempiamento delle consonanti doppie intervocaliche, col conseguente raddoppiamento improprio di alcune consonanti scempie per natura, e l’utilizzo della vocale schwa in fine di parola nel pronome atono in funzione dativale e nell’articolo determinativo femminile singolare. Nelle cartoline, invece, si riscontrano solamente l’uso del pronome te con funzione di soggetto e del si seguito dalla terza persona per indicare la prima persona plurale.

Per quanto riguarda i tratti tipici dell’italiano popolare (§ 5.4), nelle lettere se ne riscontrano molti, mentre nelle cartoline è possibile notare una maggior aderenza all’italiano standard. Nelle lettere è evidente quindi la sovraestensione del pronomi clitico gli con la funzione di a lei, e del clitico ci con la funzione di a lui, ma si osserva anche l’assenza del congiuntivo, l’uso di voialtri per il pronome voi, la presenza del che polivalente e di concordanze a senso, varie dislocazioni a destra e sinistra, e infine alcuni elementi fàtici. Nelle cartoline, invece, si riscontrano solo un caso di omissione del congiuntivo, alcune concordanze a senso e una dislocazione a destra.

Infine, nell’ambito delle interferenze dall’inglese (vedi § 5.5), nelle lettere si osservano diversi calchi strutturali e un caso di calco semantico, oltre all’utilizzo invariato degli aggettivi possessivi maschili; nelle cartoline, invece, si trova un prestito diretto e integrato, oltre a fenomeni di code-switching.

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CAPITOLO 6

CONCLUSIONE

Le similarità e le differenze riscontrate nell’analisi dei testi (vedi § 5.6) sono senz’altro riconducibili al diverso spazio a disposizione dei tre scriventi, per cui le lettere contengono inevitabilmente un maggior numero di fenomeni linguistici rispetto alle cartoline. Tuttavia, la diversa fisionomia dei testi non è il solo fattore rilevante nel delinearne le caratteristiche linguistiche: le diverse età dei tre scriventi, e quindi le diverse esperienze migratorie, sono fattori altrettanto importanti, in quanto le differenze generazionali tra gli emigranti implicano differenze anche sul piano linguistico, come è stato illustrato al capitolo 2.

Carlo ed Enrico, infatti, erano partiti nel primo dopoguerra - intorno agli anni Venti - quindi rientrano nella prima ondata migratoria e appartengono alla prima generazione di emigrati. Come tutti gli emigrati della prima ondata (vedi § 2.2), i due scriventi possedevano un elevato grado di analfabetismo, una bassa scolarizzazione e una prevalente dialettofonia. Il repertorio linguistico dei due scriventi comprendeva quindi principalmente il dialetto garfagnino settentrionale, mentre l’italiano rappresentava per loro solo un ideale di lingua, un’immagine di lingua come era stata presentata negli anni di scuola, ma di fatto una lingua sconosciuta. L’inglese, infine, era limitato agli scambi interazionali con gli australiani, che erano comunque meno frequenti rispetto a quelli con i connazionali, dato che gli scriventi vivevano in località piuttosto isolate e probabilmente insieme ad altri italiani, come succedeva spesso nelle catene migratorie della prima ondata.

Iolanda, invece, essendo emigrata a metà degli anni Cinquanta - quindi trent’anni dopo Enrico e Carlo e nella seconda ondata migratoria - appartiene alla cosiddetta generazione di mezzo. Come tutti gli emigrati di questa seconda ondata (vedi § 2.4), il suo livello di istruzione era pur sempre elementare, non diversamente quindi dai due emigrati garfagnini, ma il suo dialetto era entrato in contatto con modelli di uso vivo dell’italiano, che era ormai una lingua familiare, e non più solo scritta o letteraria. Inoltre, la scrivente era probabilmente tornata in Italia più volte rispetto a Carlo ed Enrico, data la maggior facilità di spostamenti, e questo permetteva di entrare frequentemente in contatto con la lingua italiana nella sua evoluzione. Pertanto, lo spazio linguistico della scrivente comprendeva non solo il dialetto pisano, ma anche l’italiano, se pur in modo parziale e in una varietà regionale-popolare. A

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proposito dell’inglese, Iolanda aveva probabilmente una maggior possibilità di interazioni con gli australiani, dato che viveva in un contesto urbano.

A questo punto, è possibile interpretare i risultati ottenuti dall’analisi linguistica sulla base delle osservazioni appena riportate.

Gli errori non sistematici e quelli ortografici, ma anche i tratti dell’italiano popolare e le interferenze dialettali, potrebbero risultare più frequenti nelle lettere rispetto alle cartoline in quanto Carlo ed Enrico rientrano nella generazione di emigrati che erano partiti con una bassa scolarizzazione e alfabetizzazione; le loro lettere rifletterebbero dunque la scarsa competenza nell’uso dell’italiano, presente solamente nella varietà popolare-regionale e limitato ai pochi anni di scuola, e la conseguente maggior inclinazione all’utilizzo del dialetto. Le cartoline di Iolanda, invece, mostrerebbero una più ampia competenza nell’uso dell’italiano e una conseguente maggior capacità di controllo del proprio dialetto.

Nello specifico, gli scriventi mostrano tendenzialmente la stessa insicurezza nell’ortografia, soprattutto per quanto riguarda gli errori dovuti alla modesta scolarizzazione e alla scarsa alfabetizzazione, che caratterizzavano tutti gli emigrati; mentre gli errori ortografici dovuti all’influsso della pronuncia risultano più di frequente nelle lettere, in cui appaiono spesso anche gli errori non sistematici causati dalla poca familiarità con la scrittura, le interferenze dialettali e gli aspetti dell’italiano popolare.

Per quanto riguarda l’inglese, le interferenze sono visibili sia nelle lettere (di Enrico) sia nelle cartoline, ma si tratta di calchi nel primo caso, e di prestiti o commutazioni di codice nel secondo. Di conseguenza, nonostante la competenza di Enrico nella lingua inglese fosse modesta, era comunque sufficiente ad attivare un processo di interferenza come il calco, che richiede la capacità di cogliere, oltre al significato, anche la struttura della lingua modello, per poi riformularla adeguatamente nella propria lingua. Al contrario, nel caso dei prestiti è necessario un grado modesto di bilinguismo, e talvolta anche solo la conoscenza approssimativa di una parola o espressione straniera (cfr. Gusmani, 1987: 90); per cui si spiega facilmente la comparsa di prestiti o fenomeni di code-switching nelle cartoline di Iolanda, che vivendo in una grande città aveva sicuramente molte più occasioni, rispetto a Carlo ed Enrico, per entrare in contatto con la lingua inglese.

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