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I tributi «propri» delle Regioni

Concludendo non si può parlare di federalismo fiscale intendendo per esso autonomia di entrata e di spesa, nonché responsabilizzazione di ogni livello di governo intermedio, se non si soddisfa, in primis, la regola in omaggio alla quale, - pur se una ripartizione netta delle competenze è obiettivo arduo e difficile da attuare e tipico del federalismo di tipo duale- è necessario definire le competenze344, prima ancora dal punto di vista legislativo e poi amministrativo, all’insegna dell’accordo, collaborazione e concordanza di interessi. La fissazione delle competenze, infatti, non è fine a se stessa e non serve a radicare la competenza dello Stato, della Regione o di qualsiasi ente substatale, ma deve avere sempre come scopo comune la sviluppo della persona umana.

Una potestà legislativa in materia tributaria in capo alle Regione, fondamentalmente di tipo concorrente, che frammenta la potestà legislativa, in questa delicata materia, finisce per duplicare e rallentare, in termini di costi ed energie, lo sviluppo del Paese, scongiura ogni forma di responsabilizzazione e sana e fruttuosa competizione.

Ma se la ripartizione netta e definita delle competenze è obiettivo poco desiderabile perché vede poco accordo tra centro e periferia, è auspicabile, allo stato attuale, un coordinato operare, sul piano legislativo,

dello Stato e delle Regioni al fine di evitare infruttuose sovrapposizioni.

4. I tributi «propri» delle Regioni.

L’art. 119 Cost. sancisce l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa e il conseguente potere di stabilire ed applicare «tributi ed entrate proprie in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario». Si è, pertanto, almeno formalmente, superato quanto previsto dalla vecchia formulazione dell’art. 119 Cost. in base al quale l’autonomia finanziaria degli enti territoriali era condizionata dalle forme e dai limiti stabiliti dal legislatore nazionale.

Per tali motivi, in via generale, una parte della dottrina ritiene che il nuovo Titolo V della Costituzione abbia esteso l’autonomia tributaria degli enti locali che formano la Repubblica in quanto l’utilizzo dei verbi «stabilire» ed «applicare» nell’art. 119 Cost. è sintomo di «un margine di

344 Sul punto M.P.VIVIANI, Nuove tendenze del federalismo europeo? La riforma

del federalismo elvetico. Introduzione, in Dir. pubb. comp. eur., 2008, 314-315. L’A.

evidenzia come la riforma svizzera del 2004 si ponga come obiettivo, probabilmente il più difficile da attuare, la definizione della ripartizione delle competenze tra i due livelli, con un ritorno, anche se in modo cauto e parziale, al federalismo di tipo duale. Infatti, necessariamente dovranno permanere compiti comuni, ma ridurli in numero inferiore rispetto a quanto attualmente è ancora previsto.

140 “discrezionalità”»345

e di determinazione maggiore rispetto a quello consentito precedentemente in cui figurava il verbo «attribuire». Di diverso avviso è un’altra parte della dottrina, la quale non ravvisa nella modifica lessicale apportata nel nuovo art. 119 Cost. la volontà del legislatore di riformulare in termini più ampi la potestà legislativa tributaria rispetto alla vecchia formulazione dell’art. 119 Cost. Infatti, secondo quest’ultimo orientamento, l’espressione «“stabilire”» tributi propri non significa necessariamente disciplinare in via esclusiva e, dunque, solo con atto normativo proprio tributi regionali in quanto la formula adottata è compatibile «con una parziale eterodisciplina in funzione di coordinamento»346 nel rispetto dell’unicità del sistema tributario.

Anche la giurisprudenza costituzionale si è espressa univocamente in tal senso ritenendo l’ambito della potestà legislativa residuale regionale circoscritto ai «tributi propri» delle Regioni, espressione quest’ultima, secondo la Consulta, denotativa dei soli tributi istituiti con legge regionale nel rispetto della legge di coordinamento purchè non vietati expressis verbis dalle leggi statali347.

Seguendo questa prospettiva visuale non sono tributi propri della Regione la tassa automobilistica348, l’Imposta regionale sulle attività

345 F. GALLO, Il nuovo Titolo V, op. cit., 4. L’A. evidenzia che il contenuto più rilevante dell’autonomia tributaria è quello di stabilire un tributo e non di «“deliberare”» o «“decidere”» l’applicazione di un tributo già «“stabilito”» dalla legge statale o regionale in quanto un «tributo “stabilito”» è invece un qualcosa di più e cioè un tributo determinato dallo stesso ente locale e solo abbozzato dalla legge statale regionale.

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A.FANTOZZI, Riserva di legge, op. cit., 44.

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Sulla necessità che la legge statale non debba contenere divieti espressi per le Regioni di istituire nuovi tributi Cfr. Corte cost. sent. 123 del 2010. La Corte, sempre in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune norme di una legge della Regione Campania recanti agevolazioni, sotto forma di credito d’imposta, con riguardo indistintamente a tutti i tributi all’epoca vigenti. A tale conclusione la Corte è pervenuta evidenziando che le norme regionali invadevano la competenza esclusiva statale in materia di sistema tributario dello Stato in quanto non limitavano dette agevolazioni ai tributi «propri» della Regione in senso stretto (all’epoca, peraltro, non esistenti), ma la estendevano anche ai tributi statali per i quali la legge statale non consentiva alla Regione di disporre le agevolazioni stesse. Di rilievo argomentativo Corte Cost. sent. n. 60 del 2011. In tale pronuncia, in materia di partecipazione dei lavoratori alla proprietà e alla gestione d’impresa, la Corte ha ribadito che il riferimento alla sfera di competenza regionale deve essere inteso nel senso che trattamenti agevolativi possono avere per oggetto – oltre che, ovviamente, i «tributi propri in senso stretto», e cioè i tributi istituiti e disciplinati con legge regionale ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. – soltanto quei tributi statali per i quali, indipendentemente dalla destinazione del gettito, la legge statale consente espressamente alla Regione di disporre agevolazioni, nel rigoroso rispetto dei limiti stabiliti dalla legislazione statale stessa.

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La tassa automobilistica è disciplinata dal D.P.R. 5 febbraio 1953, n. 39 «Testo unico delle leggi sulle tasse automobilistiche» ed è stata attribuita per intero alle Regioni a statuto ordinario dall'art. 23, comma 1, del D. lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 assumendo contestualmente la denominazione di tassa automobilistica regionale. L’art. 17, comma 10, della Legge 27 dicembre 1997, n. 449 ha altresì demandato alle Regioni «la riscossione,

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produttive (IRAP) in quanto istituite con legge statale nonostante la devoluzione alle stesse Regioni del gettito derivante dalle imposte. La Corte Costituzionale, infatti, si è pronunciata, nel senso del nuovo art. 119 Cost., «essendo indubbio il riferimento della norma costituzionale ai soli tributi istituiti dalle Regioni con propria legge, nel rispetto dei princìpi di coordinamento con il sistema tributario statale»349.

In special modo, con riferimento all’IRAP350

, destinata a subire cambiamenti a partire dal 2013, la Corte costituzionale recentemente ha confermato tale approccio dichiarandosi ancora una volta propensa al «congelamento»351 delle competenze legislative della Regione in attesa del tanto discusso federalismo fiscale352. Infatti, la Corte costituzionale ha affermato «A prescindere dal fatto che l’«istituzione» con legge regionale non è ancora operativa, queste disposizioni non modificano sostanzialmente la disciplina dell’IRAP, che rimane statale. Sulla qualificazione dell’IRAP

l'accertamento, il recupero, i rimborsi, l'applicazione delle sanzioni ed il contenzioso amministrativo relativo» relativamente alla suddetta tassa. L’art. 24, comma 1, del Decreto lgs. n. 504 del 1992 ha attribuito il potere alle Regioni di determinare con propria legge gli importi della tassa per gli anni successivi «nella misura compresa tra il 90 ed il 110 per cento degli stessi importi vigenti nell’anno precedente». In definitiva, alle Regioni a statuto ordinario è stato attribuito dal legislatore statale il gettito della tassa, unitamente all’attività amministrativa connessa alla sua riscossione, nonché un limitato potere di variazione dell’importo originariamente stabilito con decreto ministeriale, restando invece ferma la disciplina statale per ogni altro aspetto sostanziale della tassa stessa.

349 Corte Cost. n. 297 del 2003.

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L’IRAP è ritenuta tributo statale in quanto istituita con legge statale (D. lgs. 446 del 1997), nonostante la base imponibile sia determinata in relazione al valore della produzione dell’attività esercitata nel territorio della Regione e sia attribuita alla stessa la facoltà di variare l’aliquota fino a un punto percentuale e di stabilire le procedure applicative di riscossione, nonché l’accertamento delle violazioni. L’IRAP è destinata a subire cambiamenti a partire dal 2013 in quanto l’art. 1, comma 43 della L. n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008) stabilisce che tale imposta assuma la natura di tributo proprio della Regione a decorrere dal 1° gennaio 2009 in quanto «istituita con legge regionale». Il termine è stato poi prorogato al primo gennaio 2010 «in attesa dell’approvazione parlamentare del disegno di legge recante delega al Governo in materia di federalismo fiscale».

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L’espressione è di A.BRANCASI, Per “congelare” la potestà impositiva delle

regioni la Corte costituzionale mette in pericolo la loro autonomia finanziaria, in Giur.cost. 2004, 2564.

352 Nel senso dell’opportunità e razionalità di limitare le potestà normative regionali per la rilevanza, in termini di gettito dell’IRAP, R. SCHIAVOLIN, Irap, federalismo e

principio di correlazione, in Federalismo fiscale, 2008, 42. L’A. afferma che la volontà del

Legislatore di delimitare le potestà normative regionali è razionale in quanto rispetto ad un prelievo di tale importanza, quale l’IRAP, non si potrebbe lasciare a ciascuna Regione la scelta di applicarla o meno, ponendo in pericolo il proprio equilibrio finanziario in modo da rendere difficile ai contribuenti la scelta del luogo di insediamento di un’attività in base al confronto sul prevedibile carico fiscale e aprendo la strada, in questo modo, a forme di concorrenza tra Regioni e di sperequazione tra categorie di contribuenti contrariamente, dunque, alla trasparenza necessaria al controllo da parte degli elettori sulle scelte operate dagli eletti, che la logica federalistica dovrebbe rafforzare.

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come tributo proprio della Regione, operata dal legislatore statale, deve prevalere la disciplina del tributo posta dallo Stato, che continua a regolare compiutamente la materia e a circoscrivere con precisione gli ambiti di intervento del legislatore regionale»353.

Le limitate ipotesi di tributi propri aventi presupposti diversi da quelli dei tributi statali sono state ricondotte dalla Corte costituzionale essenzialmente alla tassa di concessione per la raccolta del tartufo istituita dalla Regione Veneto e poi, abolita per l’esiguità dell’introito354.

Dall’esame fin qui svolto si profila un contesto tributario lasciato inalterato con la conseguenza che la potestà primaria di imposizione regionale ex art. 117, comma 4, Cost., resta limitata all’istituzione residuale di tributi propri di tipo corrispettivo e di scopo e, quindi, di tributi poco rilevanti ai fini dello svolgimento di politiche regionali e locali realmente autonome. In tale contesto vale il solo limite derivante dal divieto di procedere in senso inverso a quanto prescritto dall’art. 119 della Costituzione, così da sopprimere semplicemente, senza sostituirli, gli spazi di autonomia già riconosciuti dalle leggi statali in vigore alle Regioni e agli enti locali, o di procedere a configurare un sistema finanziario complessivo che possa contraddire i princìpi stabiliti nell’art. 119 Cost.355

Nel ristretto ambito di competenza legislativa delle Regioni assume particolare importanza la Legge delega n. 42 del 2009, la quale, in forza dell’art. 119, comma 2, Cost. stabilisce il criterio della teritorialità come misura di attribuzione delle sole compartecipazioni ai tributi erariali, assurgendo a principio di coordinamento valido per tutte le «risorse autonome» delle Regioni e degli enti locali. Infatti, l’art. 2, comma 1, lett. hh) della citata legge prevede il criterio della «territorialità dei tributi regionali e locali e riferibilità al territorio delle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali». È stato osservato, da autorevole dottrina356, che il criterio della territorialità si connota del carattere di principio in quanto risponde all’esigenza di coordinare la finanza locale con quella statale nel

353 Corte Cost. sent. n. 216 del 2009. Sul punto si veda M.NICOLINI, La disciplina

transitoria, op. cit., 911-932.

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Corte cost. sent. n. 297 del 2003. Si tratta di un’imposta istituita dall'art. 12, comma 1, della Legge regionale n. 30 del 1988 «Disciplina della raccolta, coltivazione e commercializzazione dei tartufi», in base all'autorizzazione contenuta nell'art. 17 della Legge n. 752 del 1985«Normativa quadro in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo». Nell'esercizio della propria competenza legislativa la Regione ha abolito il tributo per «l'esiguità dell'introito derivante (dal tributo stesso) rapportato ai costi di gestione amministrativa».

355 Corte cost. sent. n. 37 del 2004.

356 G.RAGUCCI, La legge delega, op. cit. 747. L’ A. afferma che il criterio della territorialità ha il fine «di assicurare l’effettivo coordinamento orizzontale dei sistemi tributari sub-statali a livello regionale e locale, e prepara un assetto normativo che non potrà contraddire i princìpi costituzionali che presiedono alla disciplina dei tributi, e tra di essi i princìpi di solidarietà (art. 2 Cost.), e di eguaglianza (art. 3 Cost. ), che in parte lo ridimensionano».

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rispetto dei princìpi di solidarietà ed eguaglianza. Con riferimento alla finanza regionale, tale vincolo si concretizza con il prevedere, in base all’art. 7, comma 1 lett. d), le modalità di attribuzione alle Regioni del gettito dei tributi regionali, istituiti con legge dello Stato, e delle compartecipazioni ai tributi erariali, definite in conformità al principio di territorialità di cui all’articolo 119 Cost., al luogo di consumo, per i tributi aventi quale presupposto i consumi, al luogo in cui si trova il bene, per i tributi patrimoniali, al luogo di prestazione del lavoro, per i tributi basati sulla produzione, al luogo di residenza, per i tributi riferiti ai redditi delle persone fisiche.

Per i tributi regionali propri, ossia istituiti con legge regionale, sono affermati i princìpi, ex art. 2, comma 2, lett. p), della «tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e amministrativa; continenza e responsabilità nell'imposizione di tributi propri» e della necessità, ai sensi dell’art. 2, comma 2, lett. q) che la legge regionale istituisca tributi regionali e locali e determini le variazioni delle aliquote o le agevolazioni con riferimento ai tributi locali purchè riguardanti «presupposti non assoggettati ad imposizione da parte dello Stato».

Il criterio della territorialità ha dato origine a posizioni discordanti. Infatti, da un lato, è stato osservato che esso assolve la necessità di evitare la cosiddetta «esportazione dei tributi»357 in modo da non colpire fattispecie impositive collocate al di fuori del territorio in cui sono prodotte; dall’altro lato, è stato rilevato che l’obiettivo politico che si vuole perseguire con l’attuazione del federalismo è quello di trattenere le risorse da parte dei territori economicamente più efficienti a scapito di quelli economicamente più poveri creando evidenti sperequazioni in contrasto con il principio di eguaglianza358.

In attesa dell’attuazione dell’art. 119 Cost., allo stato attuale della riforma, è evidente come il breve tempo trascorso dall’entrata in vigore dei primi decreti legislativi di attuazione, la necessità dell’intervento degli ulteriori provvedimenti normativi, l’importanza di un’equa e concreta attuazione del fondo perequativo, vero punto cruciale dell’intero federalismo fiscale, sposta in avanti la risoluzione dei dubbi e delle perplessità in merito alla circostanza se il federalismo fiscale, così inteso, possa o meno accentuare le differenze economiche tra territori ricchi e territori poveri.

357 ALTA COMMISSIONE DI STUDIO PER LA DEFINIZIONE DEI MECCANISMO STRUTTURALI DEL FEDERALISMO, Relazione sull’attività svolta dall’Alta Commissione per

la definizione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale, Roma , 2005, 54.

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V.VISCO, Federalismo, come migliorare, in “Il Sole 24 Ore” del 15 febbraio 2009.

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In conformità ai criteri di territorialità, continenza e di correlazione, la legge delega n. 42 del 2009, riguardo ai tributi propri delle Regioni, considera tutte le categorie del diritto tributario in tema di entrate. L’art. 7 della legge delega prevede i tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali e il cui gettito è attribuito alle Regioni, i tributi propri, istituiti direttamente dalle Regioni e relativi a presupposti non assoggettati ad imposizione statale, l’addizionale regionale all’IRPEF per la quale, con l’attuazione del federalismo fiscale, si prevede un aumento dell’aliquota sino ad un massimo dell’1,4 per cento nel 2013 e, infine, quote di compartecipazione all’IVA. Quanto sin qui evidenziato rimarca il profilo di maggior rilievo che si vuole perseguire con l’attuazione dell’art. 119 Cost., ossia la soppressione dei trasferimenti statali alle Regioni e, in generale, agli enti locali, segnando il definitivo passaggio da una finanza derivata a una autonoma359.