SEZIONE 1: L’EMERGENZA POST-SISMA
5 N ON TUTTO IL MALE VIEN PER NUOCERE …
5.2 Chi trova un “danno” trova un tesoro
È ormai comunemente riconosciuto (almeno sul piano teorico, non sempre su quello pratico) che la conoscenza dell’oggetto su cui si interviene rappresenta un passaggio indispensabile per poter operare con adeguata consapevolezza sul patrimonio architettonico danneggiato dal sisma con l’obiettivo di arrivare alla definizione di interventi rispettosi del valore culturale ed efficaci da un punto di vista strutturale. Ciò è
118 (Grifoni, 2014, p. 50-55)
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stato confermato dall’esperienza emiliana: di fronte alla vastità del costruito storico danneggiato dal sisma del 2012, già durante i primi sopralluoghi ci si è resi conto che reperire il maggior numero possibile di informazioni relative all’edificio e al suo stato di danno è un fattore che consente di ottimizzare le risorse, in termini di tempo e di costi, sia nell’immediatezza dell’intervento emergenziale, sia nell’ottica del conseguente intervento definitivo. Tuttavia, il sisma 2012 ha messo alla prova l’efficacia degli strumenti di conoscenza dello stato di danno post-sisma: le schede per il rilievo del danno all’edilizia ordinaria e ai Beni Culturali. Nel complesso le schede AeDES hanno conseguito il loro obiettivo, che però non è di analisi approfondita dell’edificato ma di individuazione delle situazioni di rischio. Le schede di rilievo del danno al patrimonio culturale hanno invece mostrato elementi di criticità o potenzialità inutilizzate. Una prima riflessione può essere condotta in merito alle tempistiche di compilazione e alla rappresentatività delle schede Chiese (Modello A-DC) e Palazzi (Modello B-DP). Se la schedatura relativa alle chiese è risultata di agevole e veloce compilazione, la scheda Palazzi ha invece presentato maggiori difficoltà. La compilazione di una scheda richiedeva tempistiche troppo lunghe, da uno a due giorni, non compatibili con la quantità di strutture da rilevare: per concludere la fase di rilievo in tempi consoni (entro marzo/aprile 2013) è stato necessario semplificare il modello, per poterlo compilare più velocemente. Inoltre, se le schede chiese e palazzi sono risultate adeguate per rappresentare i dissesti subiti da edifici semplici, non sono state altrettanto efficaci per rappresentare tutte le problematiche presenti, e la loro interconnessione, in edifici più articolati come complessi ecclesiastici o palazzi che esulano dallo schema planimetrico tradizionale delle tipologie considerate. Questo aspetto si evidenzia ancor più di fronte ad altre tipologie architettoniche con caratteristiche tipologiche specifiche: rocche, cimiteri e teatri. Queste tre tipologie architettoniche sono risultate diffuse in tutto il cratere emiliano e il rilievo del loro quadro fessurativo ha messo in crisi i rilevatori, incerti su quale scheda usare e su come rappresentare dissesti diversi da quelli delle chiese e dei palazzi. I modelli di schedatura esistenti, infatti, sono specifici per queste due tipologie architettoniche e non permettono di rappresentare adeguatamente i danni subiti dai cimiteri, con i lunghi porticati fatti di volte e colonnati, né quelli subiti dai teatri, caratterizzati dalla combinazione di grandi volumi e piccoli vani, né, tanto meno, i danni alle rocche e castelli, con le loro torri, merlature, muri di cinta e i tanti fabbricati
108 annessi nel corso dei secoli119. Alla luce di queste esigenze, è apparso utile cercare di implementare gli strumenti oggi disponibili con i meccanismi di dissesto tipici delle tipologie sopracitate. Con questo obiettivo, la Regione Emilia Romagna sta finanziando tre progetti di ricerca, nella forma di tre Borse di Dottorato, finalizzati alla definizione di schede di rilievo specifiche per castelli, cimiteri e teatri, che potranno essere utili in futuro e non solo sul territorio regionale. Un altro punto debole dell’attuale schedatura è emerso di fronte alla necessità di graduare la gravità dello stesso tipo di danno in parti diverse dell’edificio. La scheda di rilievo del danno della Chiesa del Gesù a Mirandola (MO), per citare solo un esempio, segnala l’attivazione di meccanismi di ribaltamento e di taglio nei transetti, entrambi con un livello di danno pari a 3, ma in realtà i due macroelementi presentano un quadro fessurativo ben diverso sui due lati, cui conseguono anche differenti tipologie di messa in sicurezza. Nel transetto sud prevale la rotazione verso l’esterno del muro di chiusura, denunciata da vistose lesioni verticali all’intersezione tra i muri, e bloccato con l’istallazione di una struttura di sostegno a tubi e giunti; nel transetto nord prevale invece la disgregazione della muratura, attraversata da lesioni ramificate e diffuse sull’intero paramento che denotano lievi meccanismi di taglio e rotazioni parziali, consolidati attraverso un sistema di cerchiatura con interposizione di pannelli in legno per evitare la perdita di materiale e confinare la muratura. La tempestiva identificazione delle specifiche condizioni di danno permette, dunque, di definire l’opera di pronto intervento più idonea.
Infine, con la loro rigida impostazione, fatta di punteggi e abachi, talvolta le schede non hanno permesso di tradurre efficacemente alcune peculiarità dell’edificio e del danno. Ad esempio, le modalità costruttive emiliane (in particolare relativamente alle caratteristiche della muratura), che si è visto essere causa principale dei numerosi collassi nelle fabbriche antiche, non hanno trovato espressione negli strumenti a disposizione degli schedatori. Allo stesso modo, le schede non tengono conto né dell’evoluzione storica della costruzione e delle trasformazioni subite nel corso del tempo, che potrebbero averne modificato il comportamento strutturale, né dell’eventuale stato di danno pregresso, magari dovuto ad un evento sismico precedentemente subito o a scarsa manutenzione: tutti fattori molto influenti nel determinare la risposta sismica di un edificio. Anche il fenomeno della liquefazione che si è manifestato in alcune aree del ferrarese, non viene mai preso in considerazione. Nella scheda Palazzi esiste il
119 (Coisson & Ferrari, 2019)
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meccanismo M22 (cedimento fondale), che permette di rappresentare danni connessi a movimenti delle fondazioni senza però dichiarare esplicitamente la presenza di liquefazione del terreno. Resta quindi a discrezione del rilevatore la possibilità di segnalare la presenza di questo fenomeno nello spazio “note”, e soprattutto segnalare la correlazione con i danni subiti dall’edificio.
Figura 41: Chiesa del Gesù a Mirandola (MO). Diverse tipologie di dissesto e tecniche di messa in sicurezza nel transetto sinistro (a sinistra) e in quello destro (a destra).
Si percepiscono allora i limiti derivanti dalla soggettività intrinseca nell’attività interpretativa dei rilevatori; limiti che le schede tentano di ridurre guidando l’operatore attraverso un percorso comune ma che non possono eliminare del tutto; limiti che possono in realtà diventare punti di forza se il rilevatore ha le competenze per interpretare correttamente il meccanismo e indicarne le peculiarità utili per la gestione delle fasi successive. D’altronde non si deve pensare che le schede possano sostituire la lettura critica di una figura esperta: l’uso corretto delle schede è condizionato da una piena comprensione dei comportamenti sismici attesi da parte del rilevatore, che deve essere in grado di sviluppare una capacità di giudizio autonomo.
La fase iniziale non può dunque escludere una lettura critica e valutativa dei danni causati dall’evento. D’altro canto, però, un’analisi di questo tipo richiede figure esperte e consapevoli. Per questo, altro elemento che non può mancare per affrontare eventi
110 emergenziali è proprio la formazione degli operatori coinvolti sia per l’acquisizione critica delle informazioni durante i sopralluoghi sia per la progettazione dei primi interventi di messa in sicurezza che non devono garantire solo l’incolumità, evitando ulteriori crolli, ma possono già essere propedeutici alle fasi successive.
Compilando meccanicamente la scheda di rilievo del danno si rischia di perdere dati fondamentali e rendere parziale la lettura post sopralluogo. Spesso questi dati riemergono con la presentazione del progetto di restauro, attestato da indagini e rilievi:
se però fossero stati letti, interpretati e censiti già durante i sopralluoghi di rilievo del danno, anche se in forma parziale, avrebbero potuto indirizzare la progettazione delle prime messe in sicurezza non più sistematicamente e inevitabilmente come interventi cosiddetti “a perdere” ma nell’ottica di un loro possibile inserimento nella progettazione finale di ripristino del manufatto.
Per tale motivo appare di fondamentale importanza riconoscere all’attività di rilievo del danno il ruolo di atto propedeutico alla conoscenza e alla successiva progettazione, finalizzato a fornire una rappresentazione completa ed esauriente dello stato dell’edificio, affinché le successive azioni di intervento tengano conto di svariati elementi conoscitivi: dall’evoluzione storica del manufatto alle sue vicende tecnologico-costruttive che ne hanno determinato vulnerabilità e danni.
La fase di restauro di un territorio, colpito da eventi catastrofici quali terremoti, alluvioni e frane inizia immediatamente dopo l’evento con l’avvio dei sopralluoghi: già in questa fase è auspicabile prendere decisioni progettuali non solo rispettose delle caratteristiche dell’edificio, in modo particolare se tutelato, ma, come già detto, fruibili e implementabili nelle successive fasi di recupero e ripristino.120