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Le tutele nel settore del call center

Nel primo capitolo si è analizzato l’importante quadro normativo che negli anni ha cercato di regolamentare la modernizzazione del diritto del lavoro; in particolare è emerso come la novità del contesto socio economico post fordista sia un mercato caratterizzato dal fenomeno della flessibilizzazione. Scopo cruciale del percorso riformatore è mantenere un sano equilibrio tra la competitività delle aziende, la quale si manifesta nella duplice esigenza di lavoro autonomo ed esternalizzazione della produzione, e le emergenze di equità e rispetto dei diritti sociali, in un mercato del lavoro caratterizzato da precarietà e destrutturazione del lavoro.

Un ruolo principale nella regolazione della flessibilizzazione dovrebbe essere assunto dall’azione collettiva, uno dei più efficaci strumenti di regolazione virtuosa del mercato, con il potere di fondare le basi del lavoro su coesione e consenso sociale grazie a politiche di pensioni, previdenza, ammortizzatori sociali90. Anche l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) ha recentemente precisato che negli Stati in cui il dialogo tra le parti sociali è stato proficuo, si è affermato, pur con alcune criticità evidenziate dalla crisi economica europea, un mercato del lavoro maggiormente solidale, connotato, da un lato, da una reale riduzione delle disuguaglianze salariali, e dall’altro, dalla disponibilità dei lavoratori a trovare soluzioni idonee per contribuire all’aumento della produttività e della competitività delle imprese91.  

2.1 La disciplina collettiva nella regolamentazione del settore dei call center: focus sul caso Almaviva ed il conseguente regime sanzionatorio

                                                                                                                         

90 A. Perulli, C. Damiano, Il futuro del lavoro, Halley Editrice, Matelica, 2007.

91 L. Tria, Le collaborazioni organizzate dal committente tra diritto europeo e giurisprudenza di legittimità. Gli effetti del d. lgs. 15 Giugno 2015, n. 81, in “Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale”, Ediesse, Roma, 1/2016, p. 40.

Il contratto collettivo si diffuse in Italia nei primi anni del ventesimo secolo dall’esigenza di autoregolamentare gli interessi contrapposti da parte dei soggetti protagonisti del diritto del lavoro: i datori di lavoro e i lavoratori.

La contrattazione collettiva fu qualificata nel 1948 dall’art.39 della Costituzione, secondo il quale “L'organizzazione sindacale è libera” (co. 1); “Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge” (co. 2); “E` condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica” (co. 3). “I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce” (co. 4). I commi 2, 3 4 del presente articolo sono privi di attuazione. La contrattazione collettiva viene considerata una fonte del diritto odierno extra ordinem, il legislatore non ha potere di invadere il campo dell’autonomia collettiva e delle organizzazioni sindacali, ma collabora con la stessa per disciplinare il contenuto dei contratti individuali di lavoro.

Il ruolo dell’autonomia collettiva risiede storicamente nella gestione delle crisi occupazionali e nella determinazione dei principali istituti come l’inquadramento, la retribuzione e l’orario di lavoro; tramite il conflitto (l’esercizio del diritto di sciopero) e la negoziazione, ossia la trattativa con le fonti regolamentari, i lavoratori e i datori di lavoro.

Secondo Ghezzi e Romagnoli l’azione collettiva ha lo scopo di esercitare nei confronti dei datori di lavoro una funzione normativa, ossia di predeterminare l’importante contenuto dei contratti, sia riguardo il trattamento economico dei lavoratori, che tutti gli altri istituti che regolano il rapporto di lavoro. Massimo D’Antona attribuisce alla contrattazione collettiva anche la funzione

autorizzatoria92, la quale è importante per amministrare le forme di impiego flessibile, e ha il

                                                                                                                         

92 M. D’Antona, Pubblici poteri nel mercato del lavoro. Amministrazione e contrattazione collettiva nella legislazione recente, in Riv. it. dir. lav., 1987, p. 226 ss..  

compito di stabilire, “con effetti legali, percentuali le modalità di impiego della manodopera con rapporti temporanei, formativi o parziali”. Ad esempio stabilire il numero percentuale dei lavoratori che possono essere assunti a termine rispetto a quelli a tempo indeterminato.

L’esito delle trattative tuttavia negli anni sta risultando sempre più disequilibrato e caratterizzato da poteri di forza sempre meno favorevoli alla protezione dei lavoratori, Scarpelli segnala come le intese abbiano una ridotta sfera di applicabilità, rilevandone “la non facile riproducibilità in altri settori, ad esempio per le regole sulle rappresentanze nei luoghi di lavoro, fortemente connesse alle caratteristiche dell’organizzazione produttiva”93. Ecco come l’autonomia collettiva sta diventando sempre più uno strumento di contenimento del costo del lavoro.

L’anomia del sistema sindacale comporta disordine e difficoltà nell’ordinamento, resi evidenti dalla moltiplicazione di contratti collettivi nazionali di categoria, e dalla conseguente assenza di coordinamento interno al sistema contrattuale; la dottrina l’ha descritto come un fenomeno di esplosione, proliferazione, inestricante selva94. Nel 2016 i contratti collettivi nazionali del lavoro per il settore privato sono risultati essere più di 700; questo rende molto complesso per un operatore capire quali sono le regole collettive applicabili ad un settore produttivo e rende l’Italia poco attrattiva nei confronti dei capitali esteri perché chi cerca di investire non ha la certezza del contratto collettivo applicabile in determinato un settore.

Come lotta al prolificarsi di soggetti e contratti l’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015 ha precisato come “salvo diversa previsione […] si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali, o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i

                                                                                                                         

93  F.  Scarpelli,  Il  testo  unico  sulla  rappresentanza  tra  relazioni  industriali  e  diritto,  in  “Diritto  delle  Relazioni  Industriali”   n.  3,  2014.  

94  D. Gottardi, Contrattazione collettiva, destrutturazione e ri-regolazione, in “Lavoro e diritto”, Il Mulino, Bologna, n. 4/2016, p. 887.

contratti aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”95.

Al fine di ricostruire il quadro delle materie interessate dalla contrattazione collettiva, nel 2011 è stata emessa la legge n. 148, che stabilì la funzione delle relazioni sindacali del cosiddetto “dirty

work della deregolazione precarizzante”96. L’obiettivo fu quello di regolare specifiche intese volte

ad una maggiore occupazione nel mercato del lavoro, riconoscendo “un’ampia facoltà di deroga, anche peggiorativa, con lo strumento della contrattazione di prossimità, rispetto a molti profili non regolati non solo dalla contrattazione collettiva di livello nazionale, ma anche dallo stesso legislatore”97. Il rischio di tale novella, definita in dottrina “norma ustionante”98 fu però quello di produrre “un potente virus destrutturante nelle fonti del diritto del lavoro, provocando aspre critiche nella dottrina maggioritaria e aperto formalmente il processo di ‘decentramento contrattuale disorganizzato’”99. Franco Carinci comparò la norma a “una sorta di cambiale in bianco rilasciata alla contrattazione collettiva aziendale […] con un conseguente impatto destabilizzante sul sistema contrattuale articolato in essere, di cui si sovverte qualunque criterio ordinatorio essenziale al suo funzionamento, cioè sia quello relativo alla primazia del livello nazionale, che legittima e regola il livello aziendale, sia quello della coordinazione fra sindacati territoriali e rappresentanze sindacali aziendali”100.

Nel settore dei call center, e più in generale del lavoro parasubordinato, vigono dei tassi bassissimi di sindacalizzazione, la cui iniziativa nelle soluzioni contrattuali sconta di una difficoltà ormai tradizionale.

                                                                                                                         

95  Art. 51 del D. Lgs. n. 81/2015.

96 R. Nanin, Game Over o rilancio? La contrattazione della flessibilità dopo il Jobs Act, in “Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale”, Ediesse, Roma, n.2/2016, pag. 373.

97 Ibidem.

98 U. Romagnoli, La crisi economica ed i fondamenti del diritto del lavoro, Giuffrè, Bologna, 2013. 99 D. Gottardi, Contrattazione collettiva, destrutturazione e ri-regolazione, cit., p. 887.

Nonostante questo la disciplina collettiva ha assunto un ruolo cruciale nella regolamentazione del settore, in risposta alla questione della qualificazione del lavoro degli operatori di call center101. Ci furono vari tentativi da parte dei sindacati di stipulare accordi con lo scopo di garantire una tutela degli operatori di call center a fronte dei frequenti cambiamenti normativi102.

Importante fu l’intervento da parte della disciplina collettiva il primo Agosto del 2013 che si occupò di firmare un accordo in attuazione del comma 7 art. 24 bis del decreto legge n. 83 del 2012, al fine

di definire il corrispettivo e fissare i minimi retributivi per i lavoratori adibiti in modalità outbound.

Tale occasione riunì Assocontact, Asstel, SLC-CGIL, FISTel-CISL e UIL-COM UIL103.

Più in generale, il ruolo della contrattazione collettiva nazionale di definire valori economici, come i trattamenti minimi salariali, viene considerato dalla normativa italiana un vincolo rigido dal quale non sono ammesse giustificazioni. Anche se la dottrina ritiene che “non può bastare la garanzia del trattamento economico minimo previsto dai Ccnl stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative, garanzia importante per la vita o la sopravvivenza delle persone, ma che rischia di attestarsi sulla soglia minima del ‘lavoro decente’ anziché su quella del lavoro dignitoso”104. Il 14 Giugno del 2016 la AIO (Associazione Italiana Outbound), Felsa Cisl e Nldil Cgil sottoscrissero un accordo unico per tutti i settori, Accordo Quadro Nazionale “per la regolamentazione dell’attività di collaborazione coordinata e continuativa svolta dagli operatori                                                                                                                          

101 A. Perulli, Le riforme del lavoro, dalla Legge Finanziaria del 2007 al Protocollo sul Welfare, p.146 ss..  

102   Esempi sono il Protocollo d’Intesa che venne stipulato il 3 Dicembre 2012 da parte di Unirec102, Fisascat Cisl, Filcams Cgil e Uiltucs102 e che riconobbe l’utilizzo delle collaborazioni coordinate e continuative a progetto per disciplinare il rapporto di lavoro degli operatori di call center outbound nel settore del recupero stragiudiziale dei crediti102. Il 22 Giugno 2013 Assocall (Associazione Nazionale dei Contact Center Outsouring) e Ugl terziario nazionale (sindacato Unione Generale del lavoro) stipularono il “Contratto Collettivo Nazionale di riferimento per i collaboratori di call center”, riguardante il settore delle attività di vendita di beni e servizi.  

103  Accordo aggiornato il 5 Novembre 2015 in seguito al superamento dei co.co.pro. previsto dal Jobs Act ed oggetto di discussione da parte della dottrina, come analizzato nel paragrafo precedente.

telefonici dei call center addetti alla vendita diretta di beni e servizi, all’attività di recupero crediti e attività ad esse correlate in modalità outbound”, ai sensi del d.lgs. 81/2015.

Secondo le statistiche il contratto di riferimento per circa il 90% degli addetti di call center è il contratto delle telecomunicazioni, mentre il restante 10% si rifà a contratti equivalenti, del settore del commercio e delle cooperative.

Il 2 Marzo 2004 Assocallcenter e Cgil, Cisl e Uil siglarono un’importante intesa, la quale da una parte legittimava la possibilità di stipulare collaborazioni coordinate a progetto nei call center e dall’altra disciplinava la modalità di utilizzo dei contratti, riconoscendo ai lavoratori un’ampia serie di diritti; seguita da un ulteriore accordo il 24 maggio del 2004 tra Telecom Italia e Cgil Cisl e Uil. L’11 Aprile 2006 i sindacati iniziarono inoltre un percorso di lenta e graduale stabilizzazione occupazionale nell’impresa Atesia105 (il cosiddetto Accordo Atesia) compiuto attraverso la trasformazione di circa 900 contratti a progetto in contratti a inserimento e apprendistato106.

Iniziativa sindacale inizialmente criticata perché riservava l’assunzione a tempo indeterminato ad una quota esigua di lavoratori.

Poco dopo tale percorso sindacale fu costretto ad accelerare; motivo scatenante fu un’ispezione nell’impresa da parte degli organi amministrativi, i quali rilevarono un utilizzo illegittimo del contratto a progetto107. I sindacati Confindustria, Cgil, Cisl e Uil siglarono un accordo essenziale che ebbe una portata innovativa rispetto al passato, e che prevedeva un triplice impegno delle parti. L’impegno dell’azienda Atesia fu quello di trasformare i contratti a progetto in contratti a tempo subordinato, per perseguire il fine della stabilizzazione occupazionale degli operatori. L’importante                                                                                                                          

105 Azienda facente parte del gruppo Almaviva, una delle più importanti realtà di servizi di call center, che gestisce numerosi operatori tra cui quello di Telecom, Alitalia e Sky, che sarà frutto di indagine nel corso del 4° capitolo della presente tesi.

106 V. Bavaro, Lavoro a progetto e call center: l’inversione di tendenza concertata nell’accordo collettivo del gruppo Almaviva, www.cgil.it/tematiche/Documento.aspx?ARG=GIURIDICOTAB=0&ID=7993

107 L’emanazione della Circolare n. 17/2006 (cfr. capitolo 1 sez 5), fu l’evento scatenante, in quanto determinò i criteri che gli ispettori del lavoro avrebbero dovuto seguire nell’interpretazione dell’ex art. 61 D. Lgs 276/03.

impegno da parte dei sindacati fu quello di conciliare le trasformazioni in modo che avvenissero solamente per i contratti degli operatori in modalità inbound (coerentemente con la Circolare n.17/2006), che la distribuzione delle trasformazioni avvenisse nell’arco di un anno seguendo un calendario predefinito e che i lavoratori rinunciassero alle azioni giudiziarie per il periodo pregresso; lo scopo dell’impegno dei sindacati fu quello di attuare la stabilizzazione occupazionale in linea con le esigenze organizzative dell’azienda. L’essenziale impegno da parte della legge fu quello di riconoscere il lavoro dei sindacati e delle imprese garantendo un incentivo finanziario a sostegno della trasformazione108.

Tale accordo ebbe validità a seguito della conversione in Legge della normativa prevista dal disegno della Finanziaria 2007. La Circolare previde, tramite i commi 1202 – 1210, da un lato l’importante riconoscimento dei diritti per i lavoratori di tipo retributivo, contributivo e risarcitorio per il periodo pregresso e dall’altro lato il riconoscimento per l’azienda di vantaggi sul piano contributivo e ulteriori agevolazioni. Il comma 1205 consentì alle imprese di versare i contributi alla gestione separata INPS, prevedendo “una somma pari alla metà della quota di contribuzione a carico dei committenti per i periodi di vigenza dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto, per ciascun lavoratore interessato alla trasformazione del rapporto di lavoro”. Il comma 1204 pattuì un incentivo finanziario anche per le collaborazioni coordinate a progetto legittimamente utilizzate, ossia i collaboratori outbound. La Legge Finanziaria supportò la trasformazione della fattispecie atipiche in contratto subordinato, senza specificare che fossero a tempo indeterminato o determinato. Per quanto riguarda il secondo caso la disciplina sottolinea che per rientrare nel sistema di incentivazione, il contratto deve avere una durata minima di due anni, “I contratti di lavoro subordinato di cui al comma 1203 prevedono una durata del rapporto di lavoro non inferiore a ventiquattro mesi” (comma 1210).

                                                                                                                         

108 Il governo Berlusconi III stanziò per le imprese 300 milioni di euro per il 2008 e 2009 a favore della trasformazione dei contratti.

Per quanto riguarda la scelta del tipo di contratto da parte del gruppo Almaviva, in linea con le esigenze di flessibilità aziendale, si optò per un contratto di tipo subordinato a tempo indeterminato, con una durata della prestazione di tipo part-time109.

La vicenda Almaviva generò un contenzioso giudiziario da parte degli ex co.co.co e co.co.pro che rifiutarono l’assunzione part-time e fecero ricorso per la riqualificazione del loro contratto, secondo l’art 4-bis, d.lgs. n.368/2001. Secondo la dottrina si trattava però di una norma anticostituzionale che violava l’art 3 della Costituzione. Nel 2009 intervenne la Corte Costituzionale la quale con la sentenza n. 214 dichiarò illegittimo l’articolo 4-bis e punì gli ex precari co.co.co e co.co.pro ad un trattamento fortemente deteriore rispetto a quello spettante a qualunque operatore co.co.pro che avesse ottenuto la riqualificazione del contratto110.

A tal proposito, nel 2010, in risposta ad ulteriori contestazioni da parte di ex co.co.pro il legislatore pose fine al contenzioso con una delega al regime sanzionatorio delle collaborazioni coordinate e continuative tramite l’art 50 della legge n. 183 del 2010.

La novella agisce nel caso in cui un datore di lavoro abbia offerto la stabilizzazione del contratto da co.co.co a subordinato (anche determinato per almeno 24 mesi e part-time) entro il 30 Settembre 2008, in linea con quanto disposto dalla Legge n. 296 del 2006, ed il collaboratore abbia rifiutato. In tal caso, se in sede di accertamento si riscontrassero i requisiti di natura subordinata, anche se riconducibili ad un progetto o programma di lavoro, non si opererebbe la trasformazione del contratto di collaborazione in subordinato. Secondo quanto disposto dalla novella, l’esclusione ha validità anche nel caso in cui il datore di lavoro “abbia, dopo l’entrata in vigore della presente legge, ulteriormente offerto la conversione a tempo indeterminato del contratto in corso, ovvero

                                                                                                                         

109 Ai lavoratori si sarebbe dovuto applicare il contratto collettivo del settore delle Telecomunicazioni, rinnovato nel 2005.

offerto l’assunzione a tempo indeterminato per mansioni equivalenti a quelle svolte durante il rapporto di lavoro precedentemente in essere”111.

Tuttavia il Legislatore delegò ai datori di lavoro un’indennità da versare al lavoratore, pari ad una retribuzione tra i 2,5 e 6 mesi, a seconda di criteri indicati nell’art.8 della L. 604/1966, la quale tiene conto di variabili come numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’impresa, anzianità di servizio del prestatore di lavoro, comportamento e condizioni delle parti.

2.2 Le tutele dei call center alla luce dell’ex art. 409, n. 3 c.p.c.

I rapporti di collaborazione coordinata inizialmente godevano esclusivamente di una tutela di tipo processuale, il primo importante riconoscimento avvenne nel 1959 dalla Legge Vigorelli n.741, in ragione della prestazione di natura economicamente dipendente. L’art. 1 comma 2 della presente legge disponeva che: “Nella emanazione delle norme il Governo dovrà uniformarsi a tutte le clausole dei singoli accordi economici e contratti collettivi” e tali norme “dovranno essere emanate per tutte le categorie per le quali risultino stipulati accordi economici e contratti collettivi riguardanti una o più categorie per la disciplina dei rapporti di lavoro dei rapporti [….] di collaborazione che si concretino in prestazione d’opera e continuativa”112. Nel 1973 la riforma del processo del lavoro dispose l’art. 2113 c.c. che equipara i rapporti di co.co.co. ai lavoratori subordinati, per quanto riguarda le tutele previste dai commi da 1 a 4 (disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi).

In seguito alla “rinascita” delle co.co.co con il Jobs Act si ritorna ad una situazione ante Legge Biagi, dove vengono a mancare le garanzie previste per le co.co.pro e in particolare un quadro di                                                                                                                          

111 Art. 50 della Legge n. 183 del 2010.  

112 Per ulteriori approfondimenti sul tema delle tutele per i co.co.co si rinvia M.V. Ballestrero, Diritto del lavoro cit. p. 123.  

norme che regoli la nozione di lavoro autonomo economicamente dipendente. “Non è stato previsto alcuno statuto specifico per i collaboratori autonomi”, “questi rapporti, tuttavia, stante l’abrogazione della disciplina del lavoro a progetto, subiscono un arretramento sul versante delle tutele e restano regolati da poche norme: l’art. 2113, le norme in materia previdenziale come la gestione separata e le norme antinfortunistiche e le disposizioni che prevedono un regime fiscale apposito”113. Perulli114 ritiene che tale quadro regolatore si debba orientare verso tre nuclei essenziali creando il giusto mix tra mercato e regolazione: tutele di tipo contrattuale (in termini di forma del contratto, contenuto del contratto, recesso e compenso), collettivo (riconoscimento del diritto sindacale e di sciopero) e welfaristico e di tutela sul mercato (formazione e sostegno del reddito).

2.3 Il contratto

L’autonomia collettiva ha l’importante compito di integrare la mancanza di una normativa specifica di tutela per le collaborazioni coordinate e continuative. Per gli operatori telefonici che costituiscono rapporti con le imprese di tipo autonomo, ossia di collaborazioni coordinate e continuative, e che svolgono attività di contatto con la clientela di tipo outbound, la contrattazione collettiva definisce i requisiti del contratto tramite l’Accordo Quadro Nazionale. Mentre specifica che “sono esclusi dal campo di applicazione di tale accordo quadro collettivo le figure che svolgono attività di back office in quanto attività ripetitive e di tipo strutturale e, dunque, riconducibili ai sensi di legge alla natura subordinata”.

Il presente atto specifica che il contratto deve comprendere: il soggetto che ha conferito al committente l’incarico, la durata della campagna, la tipologia di attività richiesta al collaboratore, di                                                                                                                          

113 G. Santoro Passarelli, Lavoro eterodiretto, eteroorganizzato, coordinato ex art. 409 n. 3 c.p.c., in “Rivista Giuridica del lavoro e della previdenza sociale”, Ediesse, Roma, n.1/2016, p. 97.

114 A. Perulli, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioni organizzate dal committente, WP CSDLE Massimo d’Antona.it, 2015, pp. 46 ss.

clientela/utenza da contattare e di prodotti o servizi offerti alla clientela, il risultato finale atteso, il corrispettivo, le misure adottate per la tutela della salute e sicurezza del lavoratore, i diritti del collaboratore riguardanti malattia, infortunio, maternità, le forme assicurative, le modalità di cessazione del rapporto, l’informativa sul trattamento dei dati personali.

Le condizioni contrattuali possono essere modificate solo con il consenso delle parti. “Il collaboratore è considerato autonomo esclusivamente nel caso in cui possa unilateralmente e discrezionalmente determinare, senza necessità di preventiva autorizzazione o successiva giustificazione, la quantità di prestazione da eseguire e la collocazione temporale della stessa”. Il collaboratore non può quindi essere vincolato ad un orario prestabilito (anche se il committente ha il

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