Corso di Laurea Magistrale
Amministrazione Finanza e Controllo.
Consulenza Amministrativa.
Tesi di Laurea
Il Diritto del Lavoro nel settore dei
Call Center.
Analisi della disciplina normativa.
Relatore
Ch. Prof. Adalberto Perulli
Laureando Laura Borghero Matricola 816232 Anno Accademico 2016 / 2017
IL DIRITTO DEL LAVORO NEL SETTORE DEI CALL CENTER
ANALISI DELLA DISCIPLINA NORMATIVA
INTRODUZIONE 5
CAPITOLO 1 La regolazione del settore dei call center in Italia: quadro normativo 7
1.1 I call center: nota introduttiva 7
1.1.1 I soggetti del rapporto di lavoro e le principali figure professionali 8
1.2 La regolazione della contrattazione in Italia 10 1.2.1 I due macrosistemi: Subordinazione e autonomia 10 1.2.2 La nascita di un tertium genus di lavoro non standard: le co.co.co. 12
1.3 Il settore dei call center ed i contratti di lavoro non standard: l’evoluzione della disciplina dal Codice di
Procedura Civile al Jobs Act 14
1.4 L’autonomia dell’operatore di call center post Jobs Act 37
1.5 Il settore dei call center e la subordinazione: il contratto part time 40
CAPITOLO 2 Le tutele nel settore del call center 43
2.1 La disciplina collettiva nella regolamentazione del settore dei call center: focus sul caso Almaviva ed il
conseguente regime sanzionatorio 43
2.2 Le tutele dei call center alla luce dell’ex art. 409, n. 3 c.p.c. 51
2.3 Il contratto 52
2.4 Diritti e obblighi del collaboratore 57
2.4.1 La sospensione e le forme di estinzione del rapporto 59 2.4.2 I profili previdenziali, assistenziali e fiscali 61
2.5 L’intervento pubblico a sostegno di imprese e collaboratori 63
CAPITOLO 3 Le scelte di esternalizzazione e delocalizzazione da parte delle imprese nel settore dei
call center 71
3.1 Delocalizzazioni produttive e dumping sociale come strategie fondate sulla ricerca del minor costo del
lavoro 71
3.1.1 Il caso Almaviva 77
3.2 Gli interventi regolativi in Italia sulle delocalizzazioni nel settore dei call center 79 3.2.1 Il fenomeno dell’appalto nel settore dei call center alla luce delle più recenti riforme 82
3.3 Il ruolo dell’autonomia collettiva nella regolazione di delocalizzazione e appalto in relazione al diritto
della comunità europea 89
CONCLUSIONE 93 BIBLIOGRAFIA 99 SITOGRAFIA 105
INTRODUZIONE
Ho scelto di affrontare il tema della tutela nel lavoro dei call center perché di recente sono stati messi in atto interventi che interessano la protezione sociale di questo delicato settore.
E’ un’attività che si è diffusa nel nuovo millennio ed ha vissuto una crescita significativa, sia in ambito produttivo che sotto il profilo occupazionale. Questa rapida evoluzione è avvenuta senza una cornice di riferimento, riscontrando alcune difficoltà legate all’individuazione dei caratteri distintivi dei contratti di collaborazione autonoma ammissibili nell’ambito dell’attività di call center.
Anche i lavoratori hanno riscontrato elementi di intrinseca fragilità: essendo gran parte addetti che operano in outsourcing, essi sono facilmente esposti alle oscillazioni della domanda di servizi e alla concorrenza da parte di altri operatori. Essendo oltretutto un settore labour intensive, sconta delle politiche di delocalizzazione ed esternalizzazione, con prezzi offerti in sede di aggiudicazione degli appalti spesso guidati dal criterio del massimo ribasso.
Il presente elaborato propone un’analisi avente ad oggetto le modalità di tutela delle condizioni dei lavoratori, e gli interessi contrapposti che ne inibiscono la protezione, sia a livello nazionale che transnazionale. Ho scelto di analizzare questa tipologia di settore perché rappresenta un mezzo diffuso per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e costituisce un importante strumento per la protezione del consumatore, che a livello europeo ha rilievo costituzionale. Ho voluto, inoltre, indagare le modalità con cui imprese, Stato e contrattazione collettiva si approcciano per trovare delle soluzioni orientate all’equilibrio, soffermandomi su aspetti favorevoli e criticità che possono insorgere con l’applicazione delle regolamentazioni in atto.
Il primo capitolo “La regolazione del settore dei call center in Italia: quadro normativo” approfondisce le tipologie di contratto maggiormente utilizzate nel settore, presentando gli aspetti peculiari dell’evoluzione normativa delle fattispecie di lavoro atipiche presenti nel nostro
ordinamento e su come l’ordinamento abbia contribuito ad individuare i caratteri distintivi dei contratti di collaborazione autonoma ammissibili nell’ambito dell’attività di call center, da ultimo il con il Jobs Act.
Il secondo capitolo “Le tutele nel settore dei call center” analizza il ruolo della contrattazione collettiva nella definizione di tutele per i lavoratori. Si tratta di un’analisi dettagliata di come il Jobs
Act abbia inciso sulle tutele della fattispecie delle collaborazioni autonome per gli addetti di call center outbound. Ho via via esaminato gli elementi dell’accordo quadro recentemente firmato dalle
associazioni sindacali, soffermandomi su tutele di tipo contrattuale, collettivo, welfaristico, ripercorrendo poi il regime sanzionatorio e di incentivazione previsto per le aziende del settore, evidenziandone aspetti favorevoli e critici per le condizioni dei lavoratori.
Il terzo capitolo “Le scelte di esternalizzazione e delocalizzazione da parte delle imprese nel settore
dei call center” chiarisce come la crisi di capacità produttiva del settore sia determinata dalla
concorrenza di paesi europei ed extraeuropei che fanno gioco forza sul costo del lavoro più basso. Ho delineato il fenomeno delle delocalizzazioni e degli appalti, ripercorrendo in sintesi l’impatto delle recenti modifiche normative del d.lgs. n. 50 del 18 Aprile 2016, noto come Nuovo codice degli appalti, ed il limitato ruolo dell’autonomia collettiva in merito. Viene inoltre esaminato l’elevato carico fiscale e contributivo che fa pressione su questo settore labour intensive.
CAPITOLO 1 La regolazione del settore dei call center in Italia: quadro normativo
1.1 I call center: nota introduttiva
Il fenomeno dei call center inizia ad assumere una dimensione economica significativa all’inizio del nuovo millennio. Nonostante la crisi del 2007 che influenza l’intero contesto economico, nel 2011 la presenza degli operatori supera le oltre 1.400 unità, con un fatturato annuo di circa 2,3 miliardi di
euro e un valore aggiunto di circa 1,3 miliardi di euro. Il settore registra un aumento del fatturato tra
il 2013 e il 2014 pari al 5,6%.
Il call center è il centro di chiamata dell’azienda, sia privata che pubblica, e svolge un’ampia serie di servizi, nei più diversi settori, dall’assistenza per l’utilizzo dei mezzi informatici, al pagamento dei tributi, da una migliore fruizione del servizio sanitario, al supporto al marketing aziendale nella raccolta e distribuzione di informazioni. Informazioni orientate verso l’azienda, per conoscere i comportamenti dei consumatori, e verso la clientela per incrementare la fedeltà della stessa. Più in generale il call center è uno strumento di Customer Relationship Management, ossia di gestione della relazione con il cliente, poiché tutte le attività sono rivolte al consumatore o utente.
Le moderne tecnologie hanno dato un contributo importante all’evoluzione del settore, permettendo di abbandonare carta e penna verso un sistema integrato di strumenti di lavoro quali computer, tastiera, mouse, cuffie e microfono; ma soprattutto permettendo una cruciale interazione con la clientela. Tali tecnologie hanno inoltre favorito la diffusione del telelavoro, ossia del lavoro prestato all’interno della propria abitazione e agevolato l’evoluzione dei call center verso una nuova figura, chiamata contact center. Essa di fatto svolge la stessa attività del call center, integrando lo strumento del canale telefonico con Internet. Le possibilità di contatto con la clientela diventano, oltre alla telefonata tradizionale, gli sms, le mail, le chat line, il co browsing, la telefonata via internet.
Dal punto di vista organizzativo, il call center può essere un servizio gestito dall’azienda stessa, in
house; se la gestione dell’attività passa in mano ad un’azienda esterna, si definisce un servizio in outsourcing (la maggior parte dell’occupazione riguarda lavoratori impiegati in quest’ultima
modalità, per conto di altre imprese o pubbliche amministrazioni beneficiarie dei servizi offerti).
1.1.1 I soggetti del rapporto di lavoro e le principali figure professionali
Dal punto di vista occupazionale il settore dei call center dal 2008 ha registrato un incremento pari al 12%, nello stesso anno gli addetti hanno raggiunto le 51.000 unità e nel 2017 quasi 80.000.
Le attività svolte dal contact center sono classificate in inbound e outbound, le prime ricoprono i due terzi del settore e riguardano l’attività di ricezione di chiamate da parte della clientela per fornire assistenza (customer care); le seconde consistono in vendita di prodotti ed indagini di mercato strumentali, ossia vendite telefoniche, ricerche di mercato, sondaggi, recall e recupero crediti.
Le figure professionali ricoperte dai call center inbound sono prevalentemente attività di back office ripetitive e di tipo strutturale. Gli operatori outbound sono operatori specializzati la cui figura professionale può evolversi in operatore senior. I settori in cui operano sono prevalentemente riconducibili alla vendita di beni e servizi, recupero crediti, richieste di documentazione e attività correlate ai suddetti ambiti in modalità outbound. Essi possono essere specializzati in una duplice ramificazione di attività: telemarketing ossia la vendita telefonica di beni e servizi, dunning
connection che riguarda un primo sollecito per il pagamento di un credito riguardo un contratto di
fornitura ancora in essere, phone connection inerenti ad attività di recupero crediti per contratti di fornitura cessati, o attività che riguardano litigation ossia il recupero crediti di contratti cessati affidati dalle mandanti, Npl (Non Performing Loans) inerenti al recupero crediti di contratti cessati
e ceduti dalle mandanti, operatore senior di sala che deve aver maturato un’esperienza di 36 mesi nel settore.
Un’importante analisi dei dati condotta nel 2012 sul settore del call center1, fece emergere l’eterogeneità dei profili degli operatori. Il profilo prevalente è caratterizzato da un alto tasso di femminilizzazione lavorativa, che supera il 70%; la caratteristica della flessibilità di questo lavoro si sposa bene con alcune peculiarità tipicamente femminili2. La flessibilità e l’orario ridotto permettono di conciliare il profilo lavorativo con quello personale. Le competenze che si adattano maggiormente e danno un valore aggiunto a questo tipo di lavoro sono accoglienza, solidarietà, comprensione, particolari doti comunicative/ relazionali, precisione ed organizzazione. Lo studio conferma quindi l’alto tasso di femminilizzazione del settore3, evidenziando inoltre che circa il 58%
degli operatori ha meno di 40 anni e circa il 70% è collocata in regioni dell’Italia meridionale. Il settore dei call center è caratterizzato da un alto numero di lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa. Più in particolare, la tipologia contrattuale più diffusa nel mercato del lavoro tra gli operatori inbound è il contratto standard subordinato a tempo indeterminato, mentre tra gli operatori outbound è diffusa la fattispecie atipica di collaborazione coordinata continuativa e il contratto subordinato a tempo determinato4.
La maggior parte degli operatori sono quindi privi delle tutele previste nei contratti collettivi per i lavoratori dipendenti.
1 V. Fortunato, R. Palidda, I call center in Italia. Lavoro e organizzazione tra retoriche e realtà, Carrocci, Roma, 2012, pp. 105 e ss.
2 Studi sulle differenze di genere hanno dimostrato come le donne ricerchino lavori meno stabili nel tempo; a differenza dell’uomo che ricerca stabilità nel tipo di lavoro, per la femmina il pensiero di fare lo stesso lavoro per un lungo periodo comporta stress.
3 In linea con quanto emerso da uno studio patrocinato dalla Commissione Europea del 2000.
Agli inizi degli anni 2000 gli operatori hanno cominciato a denunciare situazioni precarie di stipendi bassi, limitazione dei diritti e pesanti turni di lavoro.
1.2 La regolazione della contrattazione in Italia
1.2.1 I due macrosistemi: Subordinazione e autonomia
Tra gli ultimi anni dell’Ottocento e i primi del ‘Novecento dalla figura dell’artigiano nacquero due figure differenti, l’imprenditore e il lavoratore dipendente.
Si individuò il lavoratore dipendente come colui che era obbligato ad una prestazione lavorativa, indipendentemente dal risultato finale,5 e che era sottoposto al coordinamento e alle direttive del datore di lavoro. Nel 1924 nacque l’art 2094 del Codice Civile che definì il lavoratore subordinato come colui che si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore. Il concetto di subordinazione è integrato dall’art. 2104 c.c., secondo cui il lavoratore deve prestare obbligo di obbedienza e “deve osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore”. “Il collegamento del rapporto di lavoro subordinato all’impresa è sempre stato ritenuto un dato imprescindibile della fattispecie” tanto che il contratto di lavoro viene definito “contratto di organizzazione”6. La subordinazione si caratterizza per alcuni aspetti qualificanti:
continuità del rapporto, assenza del rischio per il prestatore di lavoro legato all’inutilità o scarsa produttività del lavoro, configurazione di tutele dei diritti del lavoratore, assoggettamento ai poteri del datore di lavoro. I poteri del datore di lavoro sono il potere direttivo (consente al datore di lavoro di individuare di volta in volta il contenuto dell’obbligazione e di modificare le modalità di
5 Secondo Barassi il contratto di lavoro era caratterizzato da inseparabilità del lavoro dal lavoratore. L. Barassi, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, società editrice libraria, Milano, 1901, p.468.
esecuzione della prestazione lavorativa), potere organizzativo, potere disciplinare. La nozione non scientifica di subordinazione lascia al giudice il compito della concretizzazione attraverso la valutazione di modelli di comportamento sociale7.
In concomitanza alla subordinazione, si individuò la figura di lavoro autonomo, ricalcando il concetto romano di “locatio operis”8. A differenza della prestazione subordinata, l’obbligazione del conduttore si configura come obbligazione di risultato. In un periodo in cui il popolo era privo di politica e rappresentanza sindacale si definì il lavoro autonomo ai sensi dell’art. 2222 c.c.: “Si può parlare di contratto di prestazione occasionale d'opera nelle ipotesi in cui un soggetto, verso un corrispettivo, si impegna a compiere un'opera o un servizio prevalentemente attraverso il proprio lavoro e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente.” A livello giuridico si nota come la norma non delinei dei connotati identificativi della fattispecie, ma la definisca “per esclusione” affermando che lavoratore autonomo è colui che esegue una prestazione caratterizzata dall’assenza del vincolo di subordinazione, e come quindi vi è un’affermata centralità del lavoro subordinato.
Il lavoro autonomo genuino9, il contratto d’opera, non ha come oggetto l’operae, ossia la prestazione del lavoratore, ma ha come oggetto l’opus, ossia l’attività qualificata dal risultato
7 M. Ghera, Il nuovo diritto del lavoro. Subordinazione e lavoro flessibile, Giappichelli, Torino, 2006, p. 154; F. Carinci, il lavoro subordinato. Il rapporto individuale di lavoro: costituzione e svolgimento, Giappichelli, Torino, 2007; A. Perulli, subordinazione e autonomia, Giappichelli, Torino, 2007.
8 Secondo il diritto romano esistono due tipi di locatio operis: 1) I casi in cui il locatore affida al conduttore una cosa
affinché questi vi svolga un'attività. Il locatore deve consegnare la cosa al conduttore e pagargli una mercede per l'attività svolta. 2) I casi in cui si concorda l'esecuzione di una data opera secondo un determinato progetto o modello. Il locatore ha l'obbligo di pagare la mercede in corrispettivo dell'opera eseguita dal conduttore secondo le modalità prestabilite. Nel caso in cui fosse stato eseguito difettoso o comunque non corrispondente ad esso, in locatore poteva far ricorso alla probatio operis, cioè alla verifica della corrispondenza dell'opus ai requisiti convenuti. L'avvenuta verifica liberava il conduttore da ogni responsabilità.
9 A. Perulli, Trattato di diritto civile e commerciale. Il lavoro autonomo: contratto d’opera e professioni intellettuali, Giuffrè, Milano, 1996.
promesso10. Esso inoltre non è collegato funzionalmente all’organizzazione del datore di lavoro o committente11, e non è soggetto al potere direttivo o di coordinamento da parte del committente. Il
committente infatti non ha il potere di individuare il contenuto della obbligazione, né di modificarne le modalità di esecuzione; in tal senso il lavoratore indipendente ha totale autonomia nella definizione dei mezzi e modalità della prestazione e si assume il rischio del risultato del lavoro. Il contratto d’opera è inoltre caratterizzato dal principio di libera contrattazione tra le parti, e per questo il lavoratore gode della protezione economica di lavorare per più committenti. Il suo lavoro infatti è stato concepito e regolato come un rapporto di natura istantanea (o prolungata)12, non di durata (non legato in modo stabile e continuativo ad una specifica commessa).
1.2.2 La nascita di un tertium genus di lavoro non standard: le co.co.co.
Nei primi anni del ‘900, durante il periodo fordista, si conobbe un’espansione progressiva del lavoro subordinato, a discapito del lavoro “indipendente”. Importanti cambiamenti economici ed organizzativi evidenziarono infatti un ampio utilizzo del lavoratore dipendente, che rappresentava la soluzione per offrire attività coordinate e nell’interesse altrui.
Nel post fordismo ci fu un’importante inversione di tendenza del mercato del lavoro. Le imprese, di risposta ad un contesto economico avanzato, caratterizzato da internazionalizzazione, globalizzazione e nuove tecnologie, puntarono su competitività, riduzione dei costi (produttivi e di lavoro) e richiesta di una maggiore mobilità dei lavoratori, sia per quanto riguarda le tempistiche che la spazialità, con la conseguente diffusione della delocalizzazione.
10 G. Santoro Passarelli Il nuovo mercato del lavoro: commentario al D. Lgs. 10 Settembre 2003, n. 276 (Riforma Biagi), Cedam, Padova, 2007, p. 800.
11 G. Santoro Passarelli, Il lavoro parasubordinato, Franco Angeli, Milano, 1979. 12 Ibidem.
Il mercato del lavoro si allontanò dalla “vecchia” visione del lavoro che vedeva il lavoratore subordinato come unica soluzione in risposta all’interesse del mercato verso un nuovo e maggiore utilizzo del lavoro autonomo. Ecco che per rispondere a queste esigenze, sono nate figure inedite di lavoratore autonomo, il quale da artigiano, commerciante e agricoltore è passato ad esplorare nuovi confini. Emerse una duplice tipologia di lavoro autonomo: il lavoro autonomo riconducibile alle professioni intellettuali tradizionali (quali avvocato, notaio, ingegnere, architetto, ossia le professioni ordinistiche) ed i lavoratori autonomi di nuova generazione, ossia i giovani che iniziano una nuova attività come start up, freelance, attività legate alla cura delle persone, i cosiddetti “lavoratori della conoscenza”, partite Iva, giovani professionisti del terziario, i soggetti professionalizzati 13, ossia lavoratori autonomi genuini ma economicamente dipendenti e coordinati alle esigenze del committente.
Nonostante il mercato del lavoro si è evoluto verso la nuova esigenza di flessibilità, le riforme italiane si sono sempre mosse verso un processo evolutivo orientato alla “frammentazione e differenziazione regolativa del diritto del lavoro subordinato”14, ribadendo che il lavoro subordinato rimane la forma comune di lavoro. Anche la più recente riforma del governo Renzi, Jobs Act del 2015 si basa su questo principio, nonostante di fatto promuova forme di lavoro precario per incentivare l’occupazione.
La nuova figura del lavoratore autonomo economicamente dipendente è stata considerata in modo interessante dalla legge tedesca, francese e spagnola. Quest’ultima ad esempio riconduce la fattispecie non standard di lavoro autonomo al rispetto di determinati requisiti: mantiene alcune caratteristiche del lavoratore autonomo (la prestazione dell’attività al di fuori dell’organizzazione del committente e assenza di assoggettamento al potere direttivo) e differisce dallo stesso per “personalità della prestazione, lunga durata dei rapporti contrattuali, assenza di collaboratori,
13 A. Perulli, ll falso superamento dei co.co.co. nel Jobs Act, in www.bollettinoadapt.it, 2015.
14 A. Perulli, Lavori atipici e parasubordinazione tra diritto europeo e situazione italiana, in “Rivista Giuridica del lavoro e della previdenza sociale”, 2006, n. 4, p. 734.
destinazione della prestazione a favore di un unico committente, importanza del reddito percepito dal partner dominante, mancanza di un genuino e diretto rapporto con il mercato”15.
Negli anni si sta assistendo ad un incremento dell’interesse europeo verso nuove e migliori tutele per i lavoratori che costituiscono fattispecie lavorative non standard.
In Italia tra le molteplici figure professionali che rientrano nella categoria di lavoratori economicamente dipendenti si ritrovano anche gli operatori di call center outbound. Il settore del
call center è una realtà considerata molto presente nel mondo del lavoro soprattutto per le aree
economicamente depresse del Sud Italia, in cui molte aziende hanno smesso di investire e dove la disoccupazione è accentuata.
1.3 Il settore dei call center ed i contratti di lavoro non standard: l’evoluzione della disciplina dal Codice di Procedura Civile al Jobs Act
In Italia, nel periodo tra gli anni cinquanta e settanta, avvenne un boom inaspettato di crescita economica e del mercato del lavoro, tanto che fu chiamato “il miracolo economico italiano”. A questo fenomeno contribuì non solo la crescita produttiva (l’aumento medio della produzione fu pari al 34%), ma anche il basso costo del lavoro, determinato dall’alto tasso di disoccupazione del dopoguerra e il conseguente sbilanciamento tra domanda e offerta. In concomitanza alla necessità di tipizzazione delle fattispecie di nuove figure lavorative, venne data particolare attenzione alla definizione di tutele per i lavoratori. Vennero quindi ripristinati il diritto sindacale e di sciopero, i diritti specificati per i lavoratori subordinati, istituita la legislazione anti fraudolenta per l’eliminazione dello sfruttamento, intaccata la libertà delle imprese al licenziamento (legge n. 604/1966), introdotto lo Statuto dei lavoratori (legge n. 300/1970).
Negli anni ’70 gli imprenditori furono polarizzati tra il forte aumento dei costi del lavoro indeterminato derivanti dalle garanzie raggiunte e una richiesta sempre più pressante da parte del mercato di una forza lavoro di tipo “flessibile”. Cominciò così il cosiddetto fenomeno della “fuga dal lavoro subordinato”, caratterizzato da un dilagare di comportamenti elusivi da parte degli imprenditori, volti all’utilizzo di lavoratori indipendenti (non oggetto di tutele e garanzie perché ritenuti dall’ordinamento più forti rispetto al lavoratore dipendente), ma il cui lavoro di fatto corrispondeva alle caratteristiche del rapporto di subordinazione. In questi anni infatti non si conosceva ancora il lavoro autonomo continuativo, distante dalla concezione di prestazione d’opera come contratto ad esecuzione istantanea o prolungata e non di durata16.
Questo contesto portò il legislatore nel 1973 a creare, tramite la legge n. 533, l’Art 409 del codice di procedura civile, con il duplice scopo di aumentare la semplicità di inquadramento di alcune prestazioni lavorative irrigidite nello schema lavoro subordinato o autonomo (estendendo determinate tutele oltre che a forme di lavoro subordinato anche a lavoro autonomo economicamente dipendente) ed incentivare l’emersione dei comportamenti elusivi. Nacque così una nuova fattispecie processuale, la collaborazione coordinata e continuativa (evoluta poi in fattispecie atipica e solo nel 2003 tipo legale), detta anche parasubordinazione o co.co.co., che pur rimanendo un contratto tipologicamente di lavoro autonomo, presentava attributi tali da estendere alcune tutele proprie del lavoro subordinato17. I requisiti qualificanti sono: l’oggetto del contratto, che deve essere una prestazione personale economica, e la dipendenza economica del prestatore di lavoro dal proprio committente, derivante proprio dalla continuità e coordinazione dell’opera svolta.
16 G. Santoro Passarelli, Falso lavoro autonomo e lavoro autonomo economicamente debole, in «Rivista Italiana di diritto del lavoro», 2013, n. 1, p. 103.
Questa nuova fattispecie ha un attributo in comune con la subordinazione, ossia il collegamento funzionale tra la prestazione e l’organizzazione del datore di lavoro o committente18. Il
collegamento è espresso dalla soggezione del prestatore al potere di coordinamento del committente, che presenta delle somiglianze con il potere direttivo del datore di lavoro. Questo comportò innanzitutto a privilegiare la coordinazione come requisito di identificazione delle collaborazioni coordinate e continuative, ma nello stesso tempo una difficoltà da parte dell’interprete nell’individuare dei confini chiari con la fattispecie subordinata.
Come precisato in precedenza per il lavoro subordinato, il potere direttivo del datore di lavoro (o eterodirezione), consente al datore di lavoro di individuare di volta in volta il contenuto dell’obbligazione del prestatore di lavoro e di modificare le modalità di esecuzione della prestazione stessa. Nelle co.co.co. invece il potere di coordinamento consente al committente solamente la modifica delle modalità di esecuzione della prestazione del collaboratore coordinandola con le esigenze produttive dell’organizzazione stessa. Nel rapporto di lavoro autonomo, non esiste il coordinamento da parte del committente, poiché l’opus viene gestita autonomamente dal prestatore d’opera19.
Nel prosieguo della tesi si analizzerà come il concetto di coordinamento legato alle collaborazioni coordinate e continuative è stato rivisto in luce della più recente riforma del Jobs Act del 2015 secondo un’ottica di maggiore genuinità legata alla locatio operis 20.
18 G. Santoro Passarelli, Il nuovo mercato del lavoro, cit., pp.799 ss; G. Santoro Passarelli, Il lavoro parasubordinato, cit., pp. 59-‐70 e 77 ss.; M. V. Ballestrero, L’ambigua nozione di lavoro parasubordinato, in “Lavoro e diritto”, 4, 1987, pp. 57 ss.
19D. Mezzacapo, La fattispecie lavoro a progetto, in “WP C.S.D.L.E Massimo D’Antona.IT”, 25, 2004, p. 17.
20 “In tal caso il creditore non esercita né un potere direttivo, né un potere organizzativo, il coordinamento costituendo un veicolo per internalizzare nella struttura del contratto le condizioni programmatiche secondo le quali la prestazione soddisfa l’interesse complessivo e globale del committente. Questo interesse potrà essere anche organizzativo (nel senso del collegamento funzionale della prestazione con l’impresa), ma non potrà manifestarsi attraverso prerogative organizzative; potrà invece penetrare nella dimensione bilaterale del contratto: unico contenitore volitivo in grado di garantire la congruenza tra attività espletata dal prestatore e gli obiettivi propri del
Nella realtà non è semplice distinguere il confine di gestione in autonomia dell’attività da parte del collaboratore, l’elemento della coordinazione è così considerato il fattore di ambiguità che innescò la deriva fraudolenta21. Dagli anni ’70 vi fu infatti un abuso enorme delle co.co.co. da parte delle imprese, le quali si vedevano assicurato un utilizzo del lavoro con le modalità simili al lavoro subordinato, al netto dei consistenti costi previdenziali22 e della disciplina del licenziamento. La norma inoltre non costituì un elemento adatto a tutelare i lavoratori economicamente dipendenti23.
Le tutele di cui godono le collaborazioni coordinate e continuative saranno trattate nel secondo capitolo, un accenno riguarda le tutele di natura processuale, natura anti infortunistica (introdotta dal d. lgs 38/2000), tutela previdenziale ex l. 335/1995 e fiscale, ma che furono aggiunte sempre con il presupposto del principio della coordinazione.
Il 18 Luglio 2003, in seguito a proteste da parte dei lavoratoti di call center precari che lamentavano stipendi bassi, limitazione dei diritti e pesanti turni di lavoro, ci fu una prima proposta di regolamentazione contrattuale di questa nuova categoria di lavoratori, tramite il “Protocollo nazionale per la disciplina dei lavoratori dipendenti da call center in outsourcing”. L’ipotesi dell’accordo tra azione collettiva ed aziende nacque con il fine di definire in particolar modo i criteri di utilizzo legittimo dei contratti di collaborazione.
Esso non produsse i risultati sperati a causa della mancata adesione da parte di alcune importanti aziende.
committente”. In A. Perulli, “Le nuove frontiere del diritto del lavoro”, Rivista Giuridica del Lavoro, Ediesse, Roma, n. 1/2016 p. 33.
21 A. Perulli, ll falso superamento dei co.co.co. nel Jobs Act, cit..
22 Pari al 33% del lavoro subordinato e 10% delle co.co.co. con l’introduzione della Gestione Separata Inps (ex l. 335/1995).
23 G. Santoro Passarelli, Falso lavoro autonomo e lavoro autonomo economicamente debole, cit., p. 103.
Successivamente all’art 409 c.p.c. il mercato del lavoro si orientò sempre più verso un utilizzo dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. L’intervento del legislatore del 1973 non fu però esaustivo: tale fattispecie presentava delle inefficienze sia formali che sostanziali.
Dal punto di vista formale non era presente una tipizzazione del contratto e, in aggiunta, tale fattispecie generava “una situazione di illegalità diffusa e di massa, di difficile quantificazione, che ha creato nei fatti una fattispecie sostanziale intesa come generatrice di un rapporto funzionalmente equivalente al lavoro subordinato, ma senza costi e senza diritti”24. Rispetto al rapporto subordinato vi era infatti una ridotta contribuzione previdenziale (aliquota nettamente inferiore con un compenso non stabilito dalla contrattazione collettiva, ma dalle parti) e la non applicabilità della normativa sui licenziamenti individuali.
Negli anni ‘90 questi fattori generarono un abuso dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, che fecero emergere la necessità di un ulteriore intervento da parte del legislatore. Il 14 Febbraio 2003 Marco Biagi, tramite il Libro Bianco del mercato del lavoro, promosse la legge delega n. 30 (conosciuta come Legge Biagi), per la cui attuazione il 10 Settembre 2003 il Governo adottò il decreto legislativo n. 276. Tale atto normativo ebbe il fine, dichiarato nella lettera di accompagnamento, di aumentare le dosi di flessibilità nel mercato del lavoro, in modo da non rendere più “giustificabili” vie di fuga dal lavoro subordinato, caratterizzato da un mercato ante riforma troppo rigido.
Nei primi articoli del decreto il legislatore annunciò gli obiettivi di “realizzare un sistema efficace e coerente di strumenti intesi a garantire trasparenza ed efficienza nel mercato del lavoro” 25,
“aumentare i tassi di occupazione e a promuovere la qualità e stabilità del lavoro, anche attraverso contratti a contenuto formativo e contratti a orario modulato compatibili con le esigenze delle
24 M. Napoli, Relazione per le Giornate di Studio di Padova, 21-22 maggio 2004, organizzate dall’AIDLASS, sul tema
“Autonomia individuale e autonomia collettiva alla luce delle più recenti riforme”, pag. 21 del dattiloscritto, in
www.aidlass.org.
aziende e le aspirazioni dei lavoratori”. Importanti studi della dottrina, ritengono che l’interprete dovrebbe propendere per una triplice finalità dell’atto normativo: anti fraudolenta (diminuzione delle false cococo)26, incremento dell’occupazione e incentivo verso un mercato italiano iper flessibile27.
Una delle soluzioni proposte dal legislatore per razionalizzare questa complessa materia fu il riconoscimento e la tipizzazione di una nuova forma contrattuale28, il contratto a progetto, verso la quale furono ricondotte tutte le collaborazioni coordinate e continuative genuinamente autonome, in modo più rigoroso rispetto al passato.
Secondo l’atto normativo, i requisiti per la corretta configurazione di un rapporto di lavoro a progetto furono29:
a) La riconducibilità a progetti specifici: i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa “devono essere riconducibili ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore” (art. 61. Comma 1). Non bastava la semplice prestazione dell’attività, l’esecuzione dell’opus doveva portare al compimento di uno specifico risultato; la specificità del progetto si definiva come un progetto predeterminato, non ripetibile, non uguale a quello di un altro progetto.
b) La delimitazione nel tempo della collaborazione: il rapporto doveva essere a termine, a durata o ad esecuzione prolungata; era necessario infatti determinare un termine entro cui realizzare il risultato dedotto nel contratto anche se la normativa non prevedeva alcuna sanzione nel caso di reiterazione nel tempo del progetto.
26 D. Mezzacapo, La fattispecie lavoro a progetto, cit., p. 17.
27 Dando così il via a tipologie contrattuali non standard come lavoro a chiamata, intermittente, ripartito, accessorio, occasionale, somministrazione.
28 A sostegno della tesi della nascita di un nuovo schema negoziale: V. Pinto, Le collaborazioni coordinate e continuative e il lavoro a progetto, in P. Curzio (a cura di), Lavoro e diritti dopo il decreto legislativo 276/2003, Cacucci, Bari, 2003; M. Miscione, Il collaboratore a progetto, in “Lav. Giur”, n. 9/04, 2003.
c) La determinazione degli attributi da parte del committente.
d) La gestione in autonomia del collaboratore in funzione del risultato.
La disciplina avvantaggiò l’imprenditore committente consentendogli, rispetto al lavoro subordinato, di recedere ad nutum e di risparmiare sui costi previdenziali che erano molto meno onerosi.
Per le co.co.pro. vi fu un ampliamento delle tutele rispetto alle collaborazioni coordinate e continuative, anche se ritenute dalla dottrina di scarsa praticità e derogabili dalle parti30. L’art 66 prevedeva particolari tutele in caso di gravidanza, malattia o infortunio31 (il diritto alla sospensione del contratto, ma senza alcun corrispettivo)32.
Secondo una parte della dottrina nonostante le previsioni del legislatore, la disciplina del progetto fu insoddisfacente rispetto all’obiettivo prefissato, poiché non contribuì a garantire al lavoratore autonomo economicamente dipendente le tutele necessarie33.
La disciplina del lavoro a progetto non assorbì tutti i contratti di collaborazione riconducibili nell’area della parasubordinazione, né abrogò l’art 409 c.p.c e le tutele attorno alle co.co.co.. Essa precisò come lo svolgimento delle collaborazioni in forma parasubordinata tradizionale, che quindi non presentavano gli attributi sostanziali della fattispecie a progetto, fossero eliminate dall’ordinamento per quanto disposto dagli artt. 61, 69, primo comma, e 86, primo comma, del d. lgs. n. 276 del 2003 (presunzione assoluta). La loro presenza comportava quindi la trasformazione
30 Perulli A., Lavori atipici e parasubordinazione tra diritto europeo e situazione italiana, cit. pp. 741.
31 Il legislatore affermò che “salva diversa previsione del contratto individuale” la sospensione “non comporta una proroga della durata del contratto, che si estingue alla scadenza”, quindi si interpretava che in caso di malattia o infortunio, il rapporto cessasse comunque alla scadenza. Solo in caso di gravidanza vi era una proroga del contratto “per un periodo di 180 giorni, salva più favorevole disposizione del contratto individuale”. Era previsto inoltre il diritto all’indennità una tantum di fine lavoro nel caso di cessazione del rapporto (introdotta dal d.l. n 185/2008, decreto legge successivamente modificato e messo a regime nel 2012 con la legge 92).
32 D. Cannizzano, Il lavoro autonomo economicamente dipendente: profili comparativi nell’esperienza normativa italiana, tedesca e spagnola, Roma, Università La Sapienza, p. 52 ss.
in contratto subordinato, oppure la nullità della collaborazione con la conseguente mancanza di tutele34. Ad eccezione35 di diverse fattispecie di collaborazioni coordinate (che facevano parte di
particolari categorie di lavoro autonomo36 ovvero coloro che svolgevano attività con specifici datori di lavoro o in determinati contesti produttivi37 o ancora coloro che svolgevano attività con particolari modalità38) che erano destinatarie di specifica regolamentazione ed erano esonerate dall’obbligo di stipulare un contratto a progetto.
Nel settore del call center sin dall’introduzione della nuova fattispecie contrattuale emerse l’esigenza di ricondurre le attività autonome, caratterizzate da coordinazione e continuità, ad un progetto. Ecco che si rilevarono importanti incompatibilità, innanzitutto derivanti dal vincolo di temporaneità39: per questo motivo il contratto a progetto si presentava come poco consono e difficilmente adattabile alle caratteristiche organizzative dei call center.
In secondo luogo le statistiche rilevarono una scarsissima possibilità di controllo e autonomia degli operatori verso le modalità della prestazione40. Riguardo le condizioni di lavoro uno studio condotto nel 2006 da ASL Milano in collaborazione con Cgil, Cisl e Uil41 fece emergere un ambiente prevalentemente caratterizzato da stress lavorativo (in una scala da 1 a 10 il risultato è 7,9). Motivi dello stress furono riconducibili ad una scarsissima autonomia degli operatori verso le modalità della prestazione, in particolare riguardo i tempi troppo stretti per rispondere (e
34 M. Miscione, Il collaboratore a progetto, cit. pp. 822.
35 Per ulteriori approfondimenti sul tema si rimanda a: Art. 61, comma 2, del d. lgs. n. 276 del 2003; D. Mezzacapo, La fattispecie lavoro a progetto, in WP C.S.D.L.E “Massimo D’Antona”.IT 25/2004, p.19.
36 Agenti e rappresentanti di commercio, esercenti di professioni intellettuali, componenti di organi di
amministrazione e controllo delle società, coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia, o che partecipano a collegi e commissioni.
37 Associazioni e attività sportive dilettantistiche, pubblica amministrazione. 38 Prestazioni occasionali.
39 V. Pinto, Prime Chiose sulla nuova disciplina delle collaborazioni a progetto, in “WP C.S.D.L.E. Masimo d’Antona.IT”, 151/2012.
40 A. Perulli, Lavori atipici e parasubordinazione tra diritto europeo e situazione italiana, cit. pp. 741 e 41 Asl Milano, Linee Guida per il lavoro nei call center.
conseguente sensazione di pesantezza del lavoro), pressione e formazione non adeguata, controllo, mansioni ripetitive e monotone, ordini scritti e mancanza di discrezionalità. Quest’ultima in particolare secondo lo studio comportava comprovati disturbi psicologici e psichiatrici che si traducevano in ansia, depressione e scarsa soddisfazione lavorativa, derivanti più in particolare da bassissime prospettive di crescita e sensazione di valorizzazione e apprendimento. Caratteristiche che sembravano non coincidere con l’inquadramento contrattuale del lavoro autonomo e che secondo opinione comune avrebbero dovuto riportare i call center nell’alveo del lavoro subordinato (diffuso nei paesi europei, soprattutto nelle forme atipiche di lavoro a tempo determinato e interinale)42.
Nonostante il contratto di lavoro a progetto, soprattutto in ragione della sua strutturale temporaneità, si presentasse come poco consono e difficilmente adattabile alle caratteristiche organizzative dei
call center, quello dei call center fu uno dei settori che fece più importante ricorso alle
collaborazioni coordinate a progetto43. Bavaro, nell’analisi dei cambiamenti delle più importanti realtà di servizi di call center, sostenne che la fattispecie del progetto veniva associata idealmente proprio ai call center “e sappiamo anche che queste imprese rappresentano uno straordinario oggetto d’indagine per il giuslavorista perché consentono di verificare la fisiologia organizzativa di un istituto giuridico-contrattuale di lavoro non-subordinato ad un intero processo produttivo, quindi relativo a organizzazioni di lavoro basate su grandi numeri di unità lavorative”. Parlare di lavoro coordinato e continuativo nei call center “è un utile strumento conoscitivo delle trasformazioni organizzative e giuridiche dei processi organizzativi della produzione e del lavoro”.
42 A. Perulli, Le riforme del lavoro, dalla Legge Finanziaria del 2007 al Protocollo sul Welfare, cit. pp.146 ss.
43 V. Bavaro, Lavoro a progetto e call center, l’inversione di tendenza concentrata nell’accordo collettivo di gruppo “Almaviva”, in www.cgil.it/giuridico.
Di fatto il ricorso al lavoro a progetto da parte delle organizzazioni esercenti call center avvenne frequentemente in ragione del fatto che esso consentiva di contenere il costo del lavoro e migliorare la produttività44.
Nel 1970, con l’introduzione da parte dello statuto dei lavoratori della disciplina della reintegrazione per il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, si innescò la tendenza dell’impresa a ricercare rapporti contrattuali di lavoro temporaneo. Da ciò nacque la progressiva liberalizzazione del contratto di somministrazione a tempo indeterminato, detto più comunemente staff leasing45. Come per il contratto a progetto, anche la somministrazione venne regolata da D. Lgs n. 276 del 2003 con l’obiettivo di soddisfare l’interesse dell’imprenditore verso la flessibilità dei rapporti contrattuali; mentre nell’assetto normativo precedente la somministrazione di lavoro era consentita solo in occasioni eccezionali (ad esempio il distacco o il lavoro temporaneo)46.
L’art. 4 definì la somministrazione come “la fornitura professionale di manodopera, a tempo indeterminato o a termine, ai sensi dell’art 20” e l’art 20 delinea la somministrazione come un rapporto di lavoro che coinvolge tre tipologie di soggetti:
a) utilizzatore, può essere qualunque persona che si rivolge al somministratore e che ha l’interesse, la direzione e il controllo dei lavoratori;
b) somministratore, agenzia che si occupa della fornitura di manodopera;
c) lavoratore, che può essere assunto dal somministratore con un contratto subordinato a tempo determinato o indeterminato e che svolge la propria prestazione lavorativa presso l’utilizzatore. Nel periodo in cui ciò non avviene, i lavoratori rimangono a disposizione del somministratore.
44 Nel paragrafo 1.3.5 si analizzerà come nel 2015 il Legislatore, tramite il decreto 81 del Jobs Act, farà l’importante
scelta di abrogare la normativa sul lavoro a progetto introdotta dal d.lgs. n. 276 del 2003.
45 G. Santoro Passarelli G. in Il nuovo mercato del lavoro: commentario al D. Lgs: Riforma Biagi, cit. p.800.
46 V. Speziale, in E. Gragnoli e A. Perulli (a cura di), La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, commentario al decreto legislativo 10 Settembre 2003, n 276, Cedam, 2004, pp. 277.
La somministrazione si configura quindi per un triplice aspetto:
a) dissociazione permanente e non più solo temporanea tra il soggetto che assume il lavoratore e il soggetto che usufruisce della prestazione (tra i due attori viene stipulato un contratto di somministrazione, determinato o indeterminato);
b) alternanza delle missioni temporanee dei lavoratori presso le imprese utilizzatrici;
c) nel caso di assenza di missioni, disposizione del lavoratore verso l’impresa fornitrice, prendendo una remunerazione pari ad un’indennità di disponibilità47.
L’obiettivo di rendere flessibile il mercato da parte del legislatore si evince in particolare per il settore dei call center che fu citato48 nell’art 20 (co. 3, l. g). L’articolo specifica che la somministrazione ammette l’assunzione a tempo indeterminato “per la gestione di call center, nonché per l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali nelle aree Obiettivo 1 di cui al regolamento (Ce) n. 126/1999 del Consiglio, del 12 Giugno 1999, recante disposizioni generali sui fondi strutturali”. Il comma successivo ammette invece l’assunzione di somministrazione a tempo determinato “a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore”, specificando che “l’individuazione di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione a tempo determinato è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro”.
Nel settore dei call center il ricorso alla somministrazione a tempo indeterminato è risultato modesto49: attualmente si aggira attorno al 6% degli occupati. Questo può essere definito un fenomeno tipicamente italiano, poiché negli altri paesi europei la subordinazione rappresenta il
47 M. N
APOLI, Relazione per le Giornate di Studio di Padova, 21-22 maggio 2004, AIDLASS (a cura di), Autonomia
individuale e autonomia collettiva alla luce delle più recenti riforme, 2004, in www.aidlass.org, p. 21.
48 Assieme a biblioteche, parchi, musei, archivi, magazzini.
regime giuridico più diffuso nel settore dei call center (più precisamente nelle declinazioni non standard di contratto a tempo determinato e lavoro interinale)50.
A quattro anni dall’entrata in vigore della riforma del mercato del lavoro, nonostante la stessa avesse improntato il processo su snellezza e lotta ai comportamenti antifraudolenti, il mercato del lavoro era caratterizzato da scarse condizioni di lavoro, occupazione sommersa ed irregolare, simulazione di rapporti contrattuali autonomi (stipula dei contratti con la semplice attribuzione del
nomen iuris), e la comunemente conosciuta “trappola della precarietà” (la percentuale di assunzioni
con un contratto diverso da quello indeterminato era più alta del 50%, il tasso di conversione di contratti non standard instabili si aggirava attorno al 30%)51.
Per regolare tale situazione il Legislatore, tramite la Circolare n.17 e Legge 296 del 2006, promosse la Legge Finanziaria del 2007. Tale atto normativo ebbe il fine, dichiarato dallo stesso Ministro del Lavoro Cesare Damiano, di migliorare i punti spinosi ed irrisolti della normativa italiana sulla flessibilità. Oltre a contrastare il lavoro nero (incoraggiando le assunzioni a tempo indeterminato, comprimere l’aria di lavoro non standard, rielaborare il settore degli ammortizzatori sociali, ridefinire la questione sicurezza sul lavoro e la manutenzione del sistema previdenziale)52, il neo Ministro ammise la debolezza di quel tertium genus di lavoro, che si colloca tra subordinato e autonomo, e mise in piedi dei movimenti atti a contrastare l’uso distorto di alcuni tipi di rapporto contrattuale, ove questo non fosse possibile di aumentare le tutele del lavoratore atipico. In tal senso i percorsi di innovazione mirarono53 alla stabilizzazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che in seguito alla riforma del 2003 erano stati ricondotti al progetto senza possederne i requisiti (specificità e temporaneità del progetto) anche attraverso programmi di reinserimento
50 A. Perulli, Le riforme del lavoro, dalla Legge Finanziaria del 2007 al Protocollo sul Welfare, cit., p. 147 ss.
51 C. Damiano, in A. Perulli (a cura di), Le riforme del lavoro, dalla legge finanziaria 2007 al protocollo sul Welfare, Halley, 2007, p. 13.
52 Perulli A., Le riforme del lavoro, dalla Legge Finanziaria del 2007 al Protocollo sul Welfare, cit., pp. 137. 53 Perulli A., Le riforme del lavoro, dalla Legge Finanziaria del 2007 al Protocollo sul Welfare, cit., pp. 151 ss.
occupazionale per i co.co.pro. che persero il lavoro a causa di crisi aziendali. Il provvedimento si occupò di definire tutele ed incentivi in termini di:
a) concessione all’autonomia collettiva del potere di regolazione e garanzia di un corretto utilizzo delle tipologie di lavoro e la definizione di condizioni più favorevoli per i collaboratori;
b) aumento dei contributi, con la finalità di parificare i costi del lavoro parasubordinato con quello subordinato (aumento graduale fino al 26% dell’aliquota contributiva dei lavoratori iscritti alla gestione separata INPS);
c) definizione del corrispettivo dei lavoratori a progetto secondo il principio della congruità dei compensi, che doveva essere proporzionale al lavoro svolto e tenere conto dei compensi corrisposti (ai lavoratori subordinati) per prestazioni caratterizzate della stessa professionalità.
Per quanto riguarda il welfare, si estese l’indennità di malattia54 e le tutele di maternità55.
La dottrina aveva in precedenza fatto emergere come la scelta del legislatore del 2003 di tipizzazione della nuova fattispecie del lavoro a progetto, comportasse una duplice difficoltà, legata in primis alla definizione del concetto di progetto (non chiarita dal legislatore) e in secondo luogo dalla individuazione di un’area di rapporti più ristretta rispetto a quella coperta dalle collaborazioni. Dopo la riforma del 2003 nel settore dei call center, caratterizzato da un vasto utilizzo delle collaborazioni, emersero importanti incompatibilità. Tali oggettive difficoltà vennero a galla soprattutto per le attività che prevedevano un compito dell’operatore volto al supporto alla clientela e alla ricezione delle chiamate. L’operatore infatti non poteva in alcun modo gestire la chiamata in
54 A tutti i tipi di malattia e per un periodo non inferiore ai 20 giorni e non superiore ad un sesto della durata del rapporto contrattuale nell’arco dell’anno.
modo autonomo, indipendentemente dal tempo necessario per la prestazione stessa. Tale attività non era quindi riconducibile ai requisiti qualificanti il progetto.
Il neo Ministro del lavoro Cesare Damiano si preoccupò tra i suoi primi atti, di emettere la Circolare n. 17 relativa ai criteri valutativi per ricondurre correttamente le collaborazioni coordinate all’interno del progetto nel settore dei call center, soprattutto ai fini di orientamento dell’attività di vigilanza. Egli scelse di indirizzare la regolamentazione in funzione della suddivisione tra le campagne outbound dalle inbound, fornendo alcune indicazioni sui criteri di specificazione e individuazione del progetto, i requisiti essenziali per l’autonomia della prestazione, le forme consentite di coordinamento.
Per le campagne outbound il compito del collaboratore si configurò in “rendersi attivo nel contattare, per un arco di tempo determinato, l’utenza di un prodotto o servizio riconducibile ad un singolo committente”, fu conciliabile con il concetto di progetto e quindi con il lavoro autonomo genuino. Le attività dovevano infatti configurare un risultato “determinato nei suoi contenuti qualificanti, che l’operatore telefonico assume l’obbligo di eseguire entro un termine prestabilito e con possibilità di autodeterminare il ritmo di lavoro”. Si nota come il legislatore rispetto alla riforma del 2003 si spinse oltre, tentando di dare una definizione di progetto, nel rispetto di alcuni requisiti qualificanti propri del lavoro autonomo:
a) il progetto o programma di lavoro dovevano distinguersi dalla attività complessiva dell’impresa, costituendo un obiettivo o un tipo di attività che non si confondessero o sovrapponessero con essa; il progetto o programma doveva “essere individuato con riferimento ad una specifica e singola campagna la cui durata costituisce il necessario termine esterno di riferimento per la durata stessa del contratto di lavoro a progetto”;
b) “il collaboratore possa essere considerato autonomo alla condizione essenziale che il collaboratore stesso possa unilateralmente e discrezionalmente determinare, senza necessità di preventiva autorizzazione o successiva giustificazione, la quantità di prestazione da
eseguire e la collocazione temporale della stessa”; il risultato della prestazione il risultato doveva essere definito tra le parti “determinato nei suoi contenuti qualificanti”, essere caratterizzato dall’autonomia organizzativa e temporaneità; il lavoratore doveva essere autonomo nel determinare il ritmo di lavoro, ossia se eseguire la prestazione ed in quali giorni, a che ora iniziare e terminare quotidianamente, se e per quanto sospendere la prestazione;
c) il lavoratore doveva percepire un compenso in relazione al risultato; d) il lavoratore non era soggetto al potere disciplinare del committente56.
Le campagne inbound invece furono caratterizzate da una mancata gestione delle attività da parte del prestatore, il quale si limitava a mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie, per rispondere alle chiamate della clientela. Tali attività quindi non furono configurabili con il progetto. Perciò si stipularono accordi con i sindacati per trasformare i rapporti in contratti di tipo subordinato, di apprendistato, inserimento o somministrazione57.
La circolare, “pur essendo specificamente indirizzata al fenomeno dei call center, ha fornito indicazioni operative per le ispezioni sui contratti di collaborazione, guidando la verifica della “genuinità” e della regolarità del lavoro a progetto secondo i parametri corretti, individuando altresì ipotesi di attività non riconducibili ad un progetto o programma di lavoro”58. L’individuazione di categorie lavorative non congrue al lavoro a progetto continuò con la Circolare n. 4 del 29 Gennaio 2008, ossia di “attività che l'esperienza ispettiva, indipendentemente dai settori produttivi presi in considerazione, ha ritenuto difficilmente compatibili, nel concreto, con il regime di autonomia che
56 Perulli A., Le riforme del lavoro, dalla Legge Finanziaria del 2007 al Protocollo sul Welfare, cit., p. 140; Mezzacapo D., La fattispecie lavoro a progetto, in “WP C.S.D.L.E Massimo D’Antona.IT”, cit., p.819.
57 D. Mezzacapo, in G. Santoro Passarelli e De Luca Tamajo Raffaele, Il nuovo mercato del lavoro, commentario al D. Lgs. 10 Settembre 2003, n 276, CEDAM, 2007, pp.819.
58 Resoconto stenografico delle indagini conoscitive, “Indagine conoscitiva sui rapporti di lavoro presso i call center presenti sul territorio italiano”, Seduta n. 18 di Giovedì 11 Dicembre 2014.