Conoscevo
edammiravo
i suoi quadri, m’ero occupato spesso di lui nelle mieriviste, avevoavutodue
suoi bei pezzi di nipoti per scolari, cisaluta-vamo
cortesamente incontrandoci per via, sapevo per sentito dire ch’era sobrio a parole e d’un na-turale raccolto,un
po’ chiuso e qualche volta rude, rifuggente dalle manifestazioni gaie e chiassose dei suoi colleghi;
ma
la soglia dello studio di luinon
avevomai
avuto occasione di oltrepassarla.Mi
vi trasseLeonardo
Bazzaro, reducedaChioggia,—
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bello e ingrassato
come
un’ochetta,malgrado
ilbrutto tempo, per le cure affettuose della sua no-vella sposa.
Bazzaro
mi
chiese : « hai visto le Batterie inmontagna
del Dell’Orto ?No
?Non
seimai
stato in via Agnello,numero
io ?Andiamo
; ti con-durrò io ».
Fu
così che il pittore Dell’orto, salutato il Baz-zaro, riconoscendomi,mutò
cera, e perdette del tutto la parola.«
Ho accompagnato
qui l’amico per vedere ilquadro..., » fece il Bazzaro colla sua voce strasci-cata,
dandomi
un’occhiatina espressiva.Dell’Orto si
muoveva
per lo studio a testa china, coll’aria inquieta e malcontenta.«
Dovevamo
andar via stamattina tutti edue
» rispose sorridendo a stento, « io e il quadro; l’im-ballatoremi
è mancato. Peccato! » fece,
guar-dandomi
di traverso e grattandosi in testa. « Eccololì... Però.., però... » disse in fretta
con uno
sforzo,« se vuol farmi
un
vero regalo, scusi sa,non
neparli. Preferisco, preferisco; parola... ».
« Perdoni,
come
è possibile?A
leinon
vorrei rifiutareun
favore, s’immagini;ma
per accontentarlei, scontento i lettori del
mio
giornale ... ».« Oh, che! se
non
sannonemmeno
ch’io sia almondo!...
Ma
guarda, quell’asino diun’imballatore,.. »Per tagliar corto, io m’ero piantato dinanzi al
quadro, e l’altro, rassegnato,
non
potendo farlo scomparire,camminava
in sù e in giù, scotendo il capo.Bazzaro s’era lasciato andare in
una
poltrona e guardava impassibile, colla faccia tosta,ma
diver-tendosiun mondo.
Di dentro -— me
lo disse poi—
ridevacome un
matto.—
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Batterie di
montagna
èuna
gran tela di tre metri peruno
e mezzo, e rappresentauna
leggiera e larga conca nell’alta montagna, a roccie accumulate, a rovine, a scoscendimenti, conun
po’ di verde sul dinanzi equa
e là delle strisce di neve; nel fondo altre vette ancora, chiare, degradanti, e delle figu-rine di artiglieri e di cavalli nel breve avvallamento che fa da strada naturale.Di
sopra il cielo con qualche nube, conun
sole forte che incendia e sidirebbe faccia fiammeggiare l’alpestre paesaggio nella sua linea grandissima.
Nella tela par proprio di sentire l’aria pura, secca dell’alta montagna.
È
dipinta con rara efficaciada
questo pittore bendegno
interprete della naturasolitaria e selvaggia, dei toni grigi dei massi, del-l’aspra poesia spirante dalle stipe montanine, dal rododentro vivace, dalla pura e lattea edeiweiss, dalle luci limpide delle eccelse cime.
Qualche
volta appena,come
seun
brusco pen-siero avesse attraversato lamente
dell’artista, ilsenso di lui si fa fin troppo aspro, e certi tratti trascurati interrompono la continuità del dipinto.
Ma
dalle opere del Dell’Orto,sempre
serie, che attestano tutteuna
continua via di progresso ere-cano un’impronta aristocratica di
buon
gusto, di finezza, di abilità,non
sipuò
staccarsidopo una
breve sosta, e se ne portauna
profonda ammira-zione.Bisogna sapere che il nostro pittorepossiede
una
fantesca,
una
donnetta svelta, che è insieme il suo aiutante di campo, il suo segretario, la guardaro-biera eun
po’ anche il garzone dello studio. Forse essanon
divide in tutto le ripugnanze che quel benedettouomo ha
per le gazzette, e pensa che la—
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modestia è
una
bella cosa,ma non
casca poi ilmondo
seun
giornale ti mette là bell’e stampatoil tuo riverito
nome.
Fatto è che l’altro giorno,
mentre
se ne stava china suruna
gran cassa, tutta intentaapparente-mente
a disporreed
ordinare gli abiti , le tele, icolori, le tavolette per il viaggio del signore,
non doveva
perdereuna
sillaba dei discorsiche siface-vano
, voglio dire le esclamazioni del Bazzaro e ledomande
di cui ioandava
bellamente tempestandoil povero pittore per aver qualche dato intorno al
quadro, e a
quando
a quando, si rizzava etrottava francamente,come
chi sadove
son nascostianche
i pensieri, a por la
mano
sicura inun
canto o nel-l’altro per ritornar e presentarmiun
bozzetto,una
fotografia,
uno
studio,un
cavallo,una
montagna,un
soldato ,un
dettaglio di terreno, senza aprir bocca, lasciando che lui borbottasse nella barba e facesse delle spallucciate.Così, grazie a certe abili interrogazioni , a certi larghi giri di parola del Bazzaro,
ed
al soccorso illustrativo della brava donnetta, io riuscii a sapere che l’attuale opera del Dell’Orto è il fruttoniente-meno
che diuna
quindicina d’anni di studi inde-fessi , appassionati; èuna
composizione tagliata e ritagliata, fatta e rifatta di impressioni e di parti-colari approfonditi sulle vette dell’Albula nell’Eli*gadina, sullo Schilperio, sul Masino, e in tanti altri luoghi, che ora
non mi
sovvengono.E
bisogna ve-dere con quanta coscienza sono trattati ciascuno di quei bozzetti! Basti dire che intorno aduna spanna
di rocce lavorò
una
ventina di giorni.Lo
confessòlui, senza accorgersene, beninteso, e voi avete ormai capito se gli si
può
credere.-
6?-In queste sue preziose tavolette, chesonoaltrettanti modelli, è
una
mirabile minuziosità di raschiature,
di smalti, di velature, di sovrapposizioni, di avvici-namenti; che spiegano ilproposito ostinato di ridare
il vero nelle sue più inafferrabili estrinsecazioni.
Il Dell’Orto
ha
l’invidiabile fortuna dellaric-chezza, quindi la possibilità dei lunghi e costosi studi, delle dimore nelle sue idolatrate vette, di
una
produzioneenorme
di opere, che vende, riprende, regala,ammucchia
nel suo vasto studio, che già appartenne a Roberto Fontana, e che egliha
ancor più ampliato , fabbricando e aggiungendovi nuovilocali.
Ho
visto, tra l’altro,due
magnifici ritratti a pa-stello didue
note signore della nostra città.«
Com’è
che sono quida
lei, invece che nel salotto delle signore? » chiesiincuriosito al Dell’Orto.« Io faccio sempre il duplicato de’ miei quadri »,
rispose egli naturalmente. «
Una
copia ladò
al committente, l’altra, semi
piace, la tengo io ».
Beate le sue rendite, che gli permettono di questi lussi !
Quando
accennai a toglierli finalmente il disturbo e adandarmene, mi
pregò per la centesima volta dinon
occuparmi di lui nel giornale,come
se neanche esistesse;
ma
allora chemi
videben
fermo nelmio
proposito di disubbidirlo , e che le sue eran parole al vento,mormorò
a mo’ di sfogo :«
meno male
eh’ io oggime
nevado
! »E
certosi consolava al pensiero che dall’alto delle
montagne non
avrebbe assistito allo strazio del suonome
stampato.
«
Tante
grazie, e scusi ! » feci mettendo il piede sul primo scalino.—
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Mi
strinse lamano
cortesemente,ma non
potè ameno
didichiararmi, salutando : « Scusavo senza! »Testuale.
io aprile.