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17 «Ma come non fermarsi sull’intreccio imprescindibile di memoria e identità? Memini

allo scrittore che differire sine die la salute, pago d’aver cavato dall’avven- tura qualche momentanea lusinga ad amare l’inverosimile vita…18

Anche qui, memoria bufaliniana e memoria proustiana prendono le distanze: se in Diceria la memoria indagava nelle oscure cavità dell’incon- scio, qui essa ricostruisce una parentesi di vita felice non con l’obiettivo di fare un’affidabile cronaca, ma solo per distrarre narratore e lettore con un piacevole racconto.

Luoghi e personaggi vengono trasfigurati dalla memoria, sono appena afferrabili: tutto sfugge ai tentacoli del pensiero mnemonico, ogni perce- zione sensoriale risveglia ricordi di cui a mala pena si afferra una malinco- nica eco. Il protagonista, che ha lo stesso nome dell’autore, in quell’estate del ’51 era innamorato di Maria Venera, ma il narratore rievoca anche altre fanciulle, i cui nomi rimandano a personaggi letterari:

Venera, Assunta, Isolina: frotte rosee, capolinea del batticuore! Chissà dove siete, chissà dove sono le belle d’antan, Flora la bella romana, e Tai- de, e la cassiera Adalgisa del cinema Splendor, sdegnosa, chissà dov’è, quanti figli ha […] Eheu, fugaces, Postume, Postume licealmente mi lagno, e accanto a Postumo mi viene in mente Marcel19.

La memoria che sogna, quindi, sogna soprattutto letteratura, si alimen- ta delle proprie suggestioni libresche per distorcere i ricordi e trasformarli in creazioni fantastiche: non stupisce, allora, che il protagonista letterario della citazione, in cui il protagonista si identifica, sia proprio il Marcel proustiano, eroe di un’epopea in cui il ricordo diventa letteratura.

Come succede per la Recherche, anche qui tra autore del libro e prota- gonista si potrebbe proporre una discutibile identificazione; ma tra Mar- cel e Dino c’è la frattura epistemologica ed esistenziale di un secolo che ha iniettato nella scrittura il veleno della sua crisi, e quindi la nostra è una piccola Recherche dell’inganno, dei sogni, che non propone alcuna veri- tà esistenziale, ma solo un palliativo per curare l’esistenza. Ecco perché tanta teatralità nelle opere di Bufalino: perché ogni personaggio è più o meno consciamente consapevole di questa crisi, di questa mancanza di

18 G. bufalino, Argo il cieco ovvero i sogni della memoria, Milano, Bompiani, 1994, p. 5. 19 Ivi, p. 14.

confini e certezze che vanifica la propria identità e quella del mondo. Tut- to diventa estremo e caricaturale: al sanatorio della Rocca era la disperata condizione della malattia a rendere così teatrali i personaggi; in Argo il

cieco sono gli stessi racconti a diventare letteratura e teatro, segno di infe-

deltà biografica e allo stesso tempo unica e necessaria via rappresentativa: Così si spiega perché in tutti gli accidenti, anche mediocri, di quella notte io mi sforzassi d’inseguire una possibilità romanzesca e tuttora me li ri- goda, scrivendone, con una sorta di sedentario entusiasmo, se così posso chiamare l’impasto di passione e distanza di cui si compone il mio senti- mento. Che se poi s’aggiunga il piacere di muovermi in un intreccio poco o molto falsificato, in un vizio e ironia di parole, […]; il piacere, cioè, di apparire pupo e puparo insieme in una delle tante Opre di Pupi dell’o- diosamabile vita…20

In questo modo il lettore viene progressivamente avvertito: ha di fronte parole ingannatrici, in cui non deve cogliere alcuna veridicità.

Non ho più amici né favole, solo compongo cabale e cabalette di parole, beffe e baruffe di parole per ingannare la morte. Scrivo a te, desocupado

lector, viso afono e cieco, nebbia bianca davanti alla mia portatile, ma in

verità non ti amo, non vorrei nessuno a spiarmi mentre dimeno sempre più straccamente le gambe nel mio ballo di Sfessania21.

Nei capitoli metanarrativi in cui il narratore riflette sulla sua scrittura e rivela gli inganni che vi cela, è possibile cogliere l’essenza della Recherche di Bufalino. Memore della lezione del Nouveau Roman, Bufalino scardina il romanzo ottocentesco e la sua matrice realistica e introduce riflessioni metanarrative e mise en abyme, costruendo uno strumento ottico che riflet- te se stesso e sdoppia gli oggetti che osserva in caleidoscopiche parvenze. Lo scopo era scaricare su di me, controfigura e cascatore di me stesso, i debiti di me narrante liberamente giocando. E per un po’ ha funzionato. Un giorno che m’ero divertito, nel pensiero, te, voi, a travestirvi da plaudi-

20 G. bufalino, Argo il cieco, cit., pp. 30-31. 21 Ivi, p. 58.

tores m’addormentai col capo sul tavolo, non mi succedeva da quand’ero

bambino.

[…] Poiché io stesso, io che dico “io”, Ego scriptor, Ego scriba, Ego es, Ego ego, ho allevato dentro di me una turba di traditori, che complotta- vano dentro di me […]22.

Così termina la Recherche di Bufalino: non c’è stato alcun glorioso re- cupero del passato, ma un gioco di memoria e fantasia che ha alleviato il presente.

La parentela tra Proust e questo romanzo va cercata in un’altra dire- zione: Bufalino definisce Argo il cieco un romanzo di segni23. Non può

sfuggire la lettura che Gilles Deleuze fece della Recherche nel suo Marcel

Proust e i segni.

Per Deleuze la memoria non era l’asse fondamentale su cui era incar- dinato il romanzo proustiano. Essa era più che altro uno degli strumenti che permetteva al protagonista di indagare e comprendere cosa si celava dietro i numerosi segni che percepiva: segni della mondanità, dell’amore e della sensibilità. In questa ottica, la memoria serve a indagare e decodifi- care le immagini che si nascondono dietro il sapore della madeleine; serve a indagare nel passato per cogliere l’essenza metafisica di Combray e rico- struirla con l’uso della scrittura. Gli atteggiamenti, le parole e i gesti che si colgono in un salotto sono elementi di un linguaggio che rivela l’anima di quell’ambiente sociale e di quelle persone; le parole della persona amata, i suoi silenzi e le sue bugie, nascondono invece quei mondi da cui chi ama è escluso, annegando in una nevrotica gelosia che desidera la reclusione e l’annullamento del proprio oggetto del desiderio. La letteratura diventa il luogo in cui tutti i segni vengono ricomposti e i loro significati trovano espressione: è la dimensione unificante dell’arte che permette di ricostru- ire l’interezza della propria esperienza e di superare l’individualità dei segni per giungere ad un significato complessivo e metafisico24.

22 Ivi, pp. 150-151.

23 G. bufalino, Cur? Cui? Quis? Quomodo? Quid?, cit., p. 60.

24 «[…] l’oggettività può esistere solo nell’opera d’arte: non esiste più in contenuti signi-

ficativi come stati del mondo, né in significati ideali come essenze stabili, ma unicamente nella struttura formale significante dell’opera, cioè nello stile». G. Deleuze, Marcel Proust e i segni,

La Recherche è l’immensa volta in cui tutti tanti affreschi vengono con- nessi tra loro e riuniti in un’unica storia dal significato globale che li supe- ra e spiega. Il compito dell’eroe è quindi quello di portare a termine il suo percorso di apprentissage, di lettura del mondo che sfocia nella creazione dell’opera letteraria.

Perché Argo il cieco viene definito romanzo di segni? Mi pare che la risposta sia nascosta nelle stesse frasi del romanzo, in quell’incessante gio- co di trasfigurazioni poetiche che trasformano il reale e che si rivelano al protagonista. Il paese in cui si svolge la vicenda, Modica, delizioso prese- pe barocco sui monti Iblei, è un crogiolo di percezioni filtrate dalla sensi- bilità del protagonista e trasmesse dalle parole del narratore: il corso prin- cipale, il palazzo di Maria Venera con le sue decorazioni barocche e altri luoghi non vengono descritti realisticamente, ma sono carichi di signifi- cati che il narratore svela al lettore attraverso frasi eleganti, armoniose e suadenti. Anche i gesti dei personaggi, spesso teatrali, sono un insieme di geroglifici da decodificare, per non parlare dell’amore, altro grande tema del romanzo. Maria Venera è l’oggetto di un desiderio contrastato dalla presenza di altri contendenti e da rocamboleschi imprevisti. Ogni suo ge- sto o parola sono geroglifici da decodificare per svelare il loro significato ignoto; una volta posseduto, esso schiude regioni ignote dell’amata di cui il protagonista diventa padrone assoluto, esclusivo e privilegiato. Ma tanti altri mondi rimangono al buio: è questo il tremendo tranello dell’amore proustiano che Deleuze mette in evidenza. Ci sono sempre dei segni che rimangono sospesi nel dubbio, altri sono ambigui perché rivolti non solo a chi ama ma anche ai passati e futuri pretendenti; altri magari rimango- no per sempre al buio, custodendo al loro interno terribili segreti. Ecco perché l’amante si sentirà per sempre escluso da qualcosa, nevroticamente turbato dalla possibilità di perdere chi ama. Ne consegue una gelosia os- sessiva e totalizzante che spinge a spiare l’amato, a recluderlo e possederlo come un prigioniero. Non possiamo dimenticare la reclusione di Alber- tine, prisonnière dell’eroe proustiano. Prigionia vana, visto che proprio nel momento in cui si ha la sensazione di possedere l’amata e ci si crede sicuri di non dover più temere nulla (non esistono più mondi sconosciuti che amanti antagonisti possono insidiare), una straniante sazietà spegne l’amore e vanifica qualsiasi curiosità nei confronti della prigioniera. Ge- losia, sequestro, voyeurismo e profanazione: sono i movimenti dell’amore

proustiano di cui parla Deleuze. Albertine viene imprigionata e osservata mentre dorme: solo in quel momento di quiete il protagonista la osserva senza cadere vittima di angosciosi sospetti; è grazie al sonno che diventa possibile possederla provando un appagante e muto erotismo25.

Maria Venera è tenuta prigioniera in casa dal nonno Alvise perché ha tentato la fuga con un discutibile personaggio del paese. Dino diventa suo insegnante privato e la prepara all’esame di Stato: la osserva chiusa nella sua stessa casa, immaginando di poterla fare sua. Ma la fanciulla gli sfugge e una reclusione vera e propria tra le mani del protagonista non si avvera26.

Diversamente avverrà con Cecilia, l’altra figura femminile del roman- zo, che il protagonista caricherà di molteplici personalità letterarie, dila- tando e distorcendo la sua identità, interrogandosi sulla sua vera e ignota personalità. Solo durante il sonno di Cecilia avverrà l’incontro carnale col corpo della donna, immune da qualsiasi riflessione, privo di segni su cui la fantasia del protagonista si accanirebbe:

Allora m’accostai al suo corpo, vi aderii, non c’erano fra me e lei che le falde cedevoli d’una vestaglia. Lei mormorò nel sonno, rispose vagamente al mio bacio. La districai con dolcezza dai suoi viluppi, la notte era piena, dormivano tutti.

Dormivano? Fingevano? E lei? “Dormi?” le chiesi. “Dormi” le coman- dai. E m’insinuai come un serpentello caldo dentro di lei, gemetti amore, piovvi amore dentro di lei. Non aprì gli occhi, non si mosse, volle scam- biarmi per un sogno e ci riuscì27.

25 «Questa è la legge che Swann intuisce alla fine del suo amore per Odette, che il nar-

ratore coglie già nell’amore per la madre, senza aver ancora la forza di applicarlo, e che applica infine al suo amore per Albertine. […] Sequestrare, significa anzitutto svuotare l’essere amato da tutti i mondi possibili che esso contiene, decifrare e spiegare questi mondi; […]». G. Deleuze, Marcel Proust e i segni, cit., p. 129.