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Uguaglianza, immigrazione, confini

Nel documento La Possibile Italia 1 (pagine 69-72)

Per una vera politica dell’uguaglianza occorre smantellare il sistema di gestione del fenomeno migratorio fondato sulla criminalizzazione dei corpi razzializzati. Migrare non è un reato, è un fenomeno sociale e umano, e come tale va gestito riconoscendone l’intersezionalità.

Per una vera Europa della Pace, è necessario aprire gli occhi di fronte alla realtà. Dal 2015 - con la cosiddetta crisi migratoria - i confini della nostra Unione sono divenuti luoghi di morte, violenza e tortura. Siamo davanti a una crisi di diritti, soprattutto umani.

Occorre organizzare il prima possibile un’amministrazione armoniosa e regolare delle migrazioni promuovendo la nascita di un unico sistema di asilo e migrazione europeo.

È solo attraverso l’ampliamento delle vie di accesso sicure e regolari che si possono arginare i crimini transnazionali di traffico di esseri umani e smuggling, così come gli episodi di abuso di potere e violenza istituzionale messe in atto dalle autorità di pubblica sicurezza degli stati membri, come i respingimenti illegali e violenti.

Questi i punti chiave su cui agire:

● Occorre rafforzare la risposta umanitaria sulle rotte migratorie, in particolare la ricerca e soccorso nel Mediterraneo, con missioni europee;

● Il primo passo necessario per ripensare le politiche migratorie e di asilo è non rinnovare il Memorandum che regola l’accordo con la Libia e il finanziamento della cosiddetta “guardia costiera libica”, la chiusura dei centri di detenzione in Libia e la cessazione del sostegno economico e dell’invio di mezzi a chi sta compiendo la più grande violazione dei diritti umani del nostro tempo, a pochi chilometri dalle nostre coste e con la complicità dei nostri governi.

● Bisogna superare l’ipocrisia del Regolamento di Dublino, imperniato sul criterio del primo Paese di accesso, introducendo un meccanismo permanente e centralizzato di ricollocamento e responsabilità, tenendo in considerazione i legami significativi dei richiedenti in altri Stati membri;

● Bisogna creare vie legali e sicure per l’accesso all’Unione, in tutti gli Stati membri: l’unico vero modo per evitare che le persone finiscano nelle mani dei trafficanti di esseri umani;

● È necessario agire sulle cause profonde dei flussi migratori, e in particolare sui conflitti, sugli effetti dei cambiamenti climatici, e sulle diseguaglianze globali;

● È stato fatto ben poco sinora per definire giuridicamente - e in modo internazionalmente riconosciuto - lo status di rifugiato climatico. Bisogna recuperare la risoluzione 2017/2086(INI) del Parlamento europeo in cui si chiede

«che lo sfollamento indotto dal clima venga preso seriamente» in considerazione e che sia aperta «una discussione sull'adozione di una disposizione sulla

“migrazione climatica”».

Occorre inoltre, ripensare i flussi di investimento in relazione alle politiche migratorie.

Nel 2020, l'UE ha stanziato almeno il doppio dei fondi per “Internal Security Fund”

(ISF) rispetto ad “Asylum and Integration Fund” (AMIF). È fondamentale comprendere che la sicurezza si costruisce attraverso la tutela dei diritti fondamentali di tutti. Una vera gestione della migrazione che mira alla sicurezza richiede investimenti all'asilo e in vie d'ingresso legali, piuttosto che fondi eccessivi per la polizia che generano solo

ulteriore irregolarità e violazione dei diritti. Infine, visti gli orrori e le tragedie sulla rotta balcanica e sui confini meridionali dell’Unione europea, è auspicabile prevedere un meccanismo di supervisione completo e indipendente per monitorare le violazioni dei diritti umani da parte degli agenti di polizia.

Concluso il percorso di prima accoglienza, spesso migranti e richiedenti asilo si ritrovano nella rete dell’irregolarità. È fondamentale pensare a un permesso di soggiorno europeo istituendo uno status di residente europeo. Oggi il permesso di soggiorno viene utilizzato come strumento politico per subordinare migranti e rifugiati e mantenerli invisibili. Essendo legato al contratto di lavoro, al salario, al reddito o al ricongiungimento familiare, il permesso di soggiorno limita l’accesso ai diritti fondamentali. L’emergenza Covid-19 ha mostrato quanto sia urgente la sua attribuzione, che diviene indispensabile per avere accesso al sistema sanitario.

Abolite quei decreti

I decreti sicurezza vanno aboliti (D.L. 113/18 e D.L. 53/19). Hanno creato un vasto bacino di “irregolarità” e quindi insicurezza e restrizione del diritto alla protezione internazionale. Dobbiamo depenalizzare l’ingresso e il soggiorno irregolare, un reato inutile e dannoso che ingolfa senza senso i già oberati uffici giudiziari. Dobbiamo abolire la Legge n. 189/2002 - cosiddetta Bossi-Fini - , introducendo al suo posto il permesso di ricerca lavoro e meccanismi di ingresso regolari, promuovendo la nascita di un unico sistema di asilo europeo che comprenda canali umanitari e missioni di salvataggio.

Occorre smantellare la criminalizzazione della solidarietà e garantire il diritto di salvare vite in mare secondo le convenzioni SOLAS, SAR e UNCLOS.

Ampliare le disposizioni alla protezione internazionale

Non può essere solo la minaccia della morte il metro di misura per garantire la protezione. Si propone l’inclusione nelle prerogative per la protezione internazionale dell’espressione dell’identità sessuale e di genere, cioè il diritto all’esistere che è in concomitanza al diritto alla vita stesso per cui è necessario ampliare la protezione internazionale per motivi di razzismo, LGBTfobia, sessismo, violenza di genere (in conformità ai trattati del diritto internazionale).

Occorre prendere in considerazione in senso lato le limitazioni ai diritti delle donne (trans e cisgender) e del potere decisionale sui propri corpi (vedi matrimoni riparatori, matrimoni precoci, violenza domestica, mancato accesso all’aborto). È inoltre necessario estendere il concetto di paese sicuro: ricerche e gruppi di interesse dimostrano come la vita delle donne sia a rischio in diverse aree del pianeta anche in paesi che non ricadono in questa lista.

Educare alla diversità anche in ambito di migrazioni internazionali

È necessario avviare una campagna di modernizzazione e educazione al corpo di polizia frontaliera, centri di protezione internazionale e tribunali sulle tematiche queer e sulle soggettività delle donne in modo tale da non incorrere in vittimizzazione secondaria nel momento del confronto con le istituzioni del paese ospitante alla richiesta di asilo.

Accoglienza: ritornare allo SPRAR

Occorre ripristinare il Modello SPRAR abolito dal D.L. n. 113/18. È necessario superare la logica dell’accoglienza come fenomeno di emergenza straordinario. L’unica buona accoglienza è quella diffusa sul territorio, in piccole soluzioni abitative, che prevede pieno coinvolgimento degli enti locali, servizi di inserimento lavorativo e abitativo, mediazione culturale, trasparenza sui fondi e controlli. L’accoglienza deve generare nuove opportunità di inclusione e sviluppo a beneficio di tutto il sistema paese.

IL D.L. n. 113/18 ha mutilato l’accoglienza gestita dai comuni e ha tagliato il contributo fornito dalle organizzazioni non governative: si calcola che così anche migliaia di italiani abbiano perso il lavoro, fra cui medici, infermieri, mediatori culturali, insegnanti, psicologi, avvocati.

La dimensione LGBTQIA+ deve essere inclusa nei servizi di protezione e prevenzione che forniscono assistenza a migranti e rifugiati anche mediante la creazione di centri di accoglienza personali e familiari LGBTQIA+ con sostegno psicologico, all’occupazione e alla consulenza legale.

Cittadinanza e Nuovi Diritti

Siamo da sempre per una riforma strutturale del diritto di cittadinanza al fine di riconoscere il principio che chi nasce in Italia è una persona italiana: la riforma dello Ius soli.

In questi anni abbiamo assistito a una carrellata di proposte, tutte al ribasso, nella speranza forse di aprire un varco nella normativa italiana. Tutte hanno fallito.

Ricordiamo, a titolo di esempio, lo ius soli temperato, per il quale sarebbe diventato cittadino/a italiano chi nasce sul suolo italiano da genitori stranieri, di cui almeno uno dei due sia lungo soggiornante. Ricordiamo anche la proposta dello ius culturae o ius scholae, per cui diventa cittadino italiano chi, anche se nato all'estero, compie in Italia un ciclo completo di studi.

Noi vogliamo diritti veri e pieni, non dimezzati e condizionati, soprattutto quando si tratta di bambini. Possibile rimane, quindi, fedele ai propositi della campagna "L'Italia sono anch'io”, che ha mobilitato tante persone, specie giovani di origine straniera desiderosi di essere e sentirsi parte integrante della comunità nazionale dove sono nati e cresciuti.

Per una cittadinanza piena e legittimante dobbiamo riconoscere il diritto di elettorato attivo e passivo nelle elezioni comunali e quelle concernenti le città metropolitane e le Regioni, anche a chi non sia cittadino italiano ma abbia maturato almeno cinque anni di regolare soggiorno in Italia.

Nel documento La Possibile Italia 1 (pagine 69-72)

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