3.2. Le modifiche normative introdotte all’articolo 167 del Tuir in vigore dal
3.2.6. Gli ulteriori elementi della norma: l’interpello facoltativo e l’obbligo di
Per veder riconosciuto il proprio diritto alla disapplicazione della disciplina CFC, dimostrando l’esimente prevista dal comma 5 dell’articolo 167 Tuir, il soggetto passivo residente può interpellare l’Agenzia delle Entrate (ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera b) della legge 27
182 È importante sottolineare che per la disciplina CFC opera la per company limitation, ovvero la compensazione del credito può avvenire solo tra imposte e credito derivante dalla medesima CFC. Sono invece ammesse in detrazione eventuali imposte pagate dalla CFC presso un altro Stato (diverso da quello ove risiede) proprio perché il meccanismo utilizzato si focalizza sulla singola entità estera controllata e non sullo Stato di residenza. Sulla questione è intervenuta peraltro la stessa Agenzia delle Entrate tramite la Risoluzione n. 112/E del 11 agosto 2017.
183 Sul punto, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che il contribuente dovrebbe dimostrare la provenienza degli utili e, qualora necessario, ricostruirne la provenienza per evidenziare se questi siano già stati imputati per trasparenza. Cfr. Circolare 51/E del 2010 dell’Agenzia delle Entrate. Va tuttavia rilevato come i nuovi accordi sullo scambio di informazioni rilevanti a livello fiscale, che coinvolgono un numero molto ampio di Paesi della comunità internazionale, renderebbero tale dimostrazione un ingiustificato onere probatorio affidato al contribuente. Cfr. . P. Valente, I paradisi fiscali nell’era BEPS e dello scambio automatico di informazioni, in Fiscalità e commercio int., 4/2016, pag. 16 e ss.
184 Questa disposizione risulta perfettamente in linea con la ratio antielusiva della disposizione. Cfr. G. Ingrao, La
riforma dell’IRES e la legislazione sulle controlled foreign companies, in M. Beghin (a cura di), Saggi sulla riforma dell’IRES. Dalla relazione Biasco alla Finanziaria 2008, Milano, 2008, pag. 268 e ss.
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luglio 2000). Tale istanza, si sottolinea, è facoltativa e non può in alcun modo pregiudicare il diritto del contribuente a dimostrare la non artificiosità anche in sede di contenzioso.
Fino all’introduzione del decreto legge n. 147 del 2015 la normativa CFC prevedeva, ai fini della disapplicazione del meccanismo di imposizione per trasparenza dei redditi prodotti da una controllata estera in capo alla sua controllante italiana, l’obbligo di presentazione di una specifica istanza di interpello185. Considerato tale obbligo, stando all’interpretazione letterale della norma, l’interpello avrebbe dovuto essere l’unico strumento valido a disposizione del contribuente per poter disapplicare la disciplina. L’obbligatorietà dell’azione preventiva aveva tuttavia generato non poche perplessità poiché la mancata presentazione dell’istanza avrebbe generato ipso facto una presunzione legale assoluta di elusione fiscale186. Per queste ragioni la stessa Agenzia delle Entrate, anticipando possibili contestazioni provenienti dal legislatore comunitario (e dalla Corte di Cassazione), era già intervenuta con la Circolare 32/E del 14 giugno 2010 (“Nuove istruzioni sulla trattazione delle istanze di interpello”), tramite la quale aveva chiarito che “l’obbligatorietà dell’interpello non muta il carattere non vincolante della
risposta, quale atto avente natura di parere, né tantomeno preclude all’istante la possibilità di dimostrare anche successivamente la sussistenza delle condizioni che legittimano l’accesso al regime derogatorio”187.
Il passaggio definitivo ad un regime facoltativo di presentazione dell’istanza di interpello è di grande rilevanza. Stando all’attuale disposizione normativa infatti, in caso di mancata presentazione, il soggetto passivo conserverà il proprio diritto a far valere le proprie ragioni circa la bontà della controllata estera altresì in fase di accertamento188. Tale modifica normativa ha avuto il merito di alleggerire il carico in termini di onere probatorio che gravava unicamente sulle spalle del contribuente. Per effetto della vigente disciplina, in caso di mancata presentazione di un’apposita istanza di interpello ovvero in caso di diniego dell’istanza da parte
185 Ai sensi dei commi 5 e 8-ter della precedente versione dell’articolo 167 del Tuir, il soggetto domestico era tenuto “a interpellare preventivamente l’amministrazione finanziaria, ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio
2000, n. 212, recante lo statuto dei diritti del contribuente”.
186 Cfr. A. Giovannini, L’interpello preventivo dell’Agenzia delle Entrate (C.F.C. e Statuto dei diritti del
contribuente), in Rass. Trib. 2, 2002, pag. 449 ss. ; G. Sozza, Aspetti sostanziali e processuali dell’interpello obbligatorio ex art. 127-bis del Tuir, il Fisco 22, 2002, pag. 3386 ss.
187 Bisogna segnalare come tale tesi risultasse tuttavia in contrasto con quanto stabilito dalla medesima amministrazione finanziaria, la quale, tramite la circolare 7/E del 2009, aveva adottato una linea molto più intransigente nel senso di considerare “inammissibile” un eventuale ricorso in caso di mancata presentazione dell’istanza di interpello. Ad operare ulteriori chiarimenti, interverranno successivamente le circolari 51/E del 2010 e 23/E del 2011, consolidando una posizione meno rigida e più disponibile circa una valutazione in sede di accertamento, ancorché in assenza di un’apposita istanza di interpello.
188 Cfr. A. Mastromatteo e B. Santacroce, Gli effetti degli interpelli su accertamento e contenzioso, il Fisco 26, 2016, pag. 2518 ss ; P. Tarigo, l’interpello disapplicativo di norme antielusive nella recente riforma, Rass. Trib., 2017, pag. 396 ss.
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del Fisco, l’amministrazione finanziaria è tenuta ad avviare un contraddittorio preventivo con il contribuente invitandolo a trasmettere documentazione idonea a comprovare la sussistenza dell’esimente ovvero l’assenza dei presupposti applicativi189.
Il decreto legge 147 del 2015 ha introdotto un ulteriore elemento all’interno della disciplina CFC, contenuto nell’attuale disposizione di cui al comma 11, che dispone che <<fatti salvi i
casi in cui la disciplina del presente articolo sia stata applicata oppure non lo sia stata per effetto dell'ottenimento di una risposta favorevole all'interpello, il soggetto di cui al comma 1
(soggetto controllante residente, ndr) deve segnalare nella dichiarazione dei redditi la
detenzione di partecipazioni in soggetti controllati di cui ai commi 2 e 3, al ricorrere delle condizioni di cui al comma 4, lettere a) e b)>>.
Nella sostanza, viene imposto un obbligo di segnalazione in dichiarazione dei redditi volto a evidenziare il possesso di una partecipazione in una società estera controllata190. Il predetto obbligo è rivolto a tutti i soggetti che, decidendo di non applicare la disciplina in parola, non abbiano preventivamente interpellato l’amministrazione finanziaria ovvero che abbiano ricevuto da quest’ultima parere negativo in merito all’istanza presentata. In caso di mancata segnalazione, il legislatore ha previsto l’irrogazione di una sanzione pari al 10% del reddito prodotto dalla controllata estera ed imputabile per trasparenza (anche solo teoricamente) al soggetto controllante, con una sanzione minima di 1.000 euro ed una massima di 50.000 euro. Tale mancanza è pertanto idonea a determinare l’applicazione di una sanzione amministrativa e non porta in nessun caso alla conseguenza di non poter disapplicare la disposizione. Ciò in quanto la finalità della norma è quella di tenere monitorate le partecipazioni detenute da un soggetto domestico in società estere, in modo tale da facilitare il compito all’amministrazione finanziaria che, altrimenti, dovrebbe rinvenire l’informazione tramite un incrocio dei dati provenienti dagli uffici tributari esteri.
189 Tale meccanismo è espressamente previsto dall’articolo 11 dell’articolo 167 del Tuir che dispone che “l’Agenzia delle Entrate, prima di procedere all’emissione dell’avviso di accertamento d’imposta o di maggiore
imposta, deve notificare all’interessato un apposito avviso con il quale viene concessa al medesimo la possibilità di fornire, nel termine di 90 giorni, le prove per la disapplicazione delle disposizioni”.
190 L’obbligo in parola peraltro presuppone un riconoscimento semplice e lineare della società estera controllata da indicare nell’apposito quadro in dichiarazione dei redditi. Come è stato osservato tuttavia, tale individuazione non è sempre di facile portata, e rischia di indurre il contribuente a commettere un errore formale in sede dichiarativa. Per evitare tale evenienza, tramite la circolare n. 17 del 28 giugno 2017, Assonime suggerisce di indicare il numero più ampio possibile di società estere controllate, in modo da evitare eventuali contestazioni. Cfr. P. Sella, Il punto di Assonime sulle novità del regime CFC, in Fiscalità e Commercio Internazionale, 10/2017, p. 15 e ss.
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