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Dall’ultimo Lévy-Bruhl a Lévi-Strauss: il principio logico-affettivo

Il presente paragrafo, che chiude la prima sezione della nostra ricerca, è principalmente ri- volto a sintetizzare il modello di mente desumibile dai più importanti studi antropologici e psicologici sull’animismo e sulle civiltà primitive. Dedicheremo, a questo scopo, due brevi approfondimenti rispettivamente, all’ultima fase del pensiero di Lévy-Bruhl e alla proposta strutturalista di Lévi-Strauss: attraverso le novità ermeneutiche presenti in questi grandi auto- ri, ricostruiremo il senso di un ultimo tratto, in precedenza solo accennato, della mente primi- tiva, cioè la sua valenza logico-affettiva. Il nucleo principale di quest’ultimo tratto consiste nel mostrare la razionalità e il ruolo fondamentalmente morale dell’intuizione partecipativa e della mente primitiva in generale.

Partiamo dunque da Lévy-Bruhl e da quel fondamentale ripensamento che ha caratterizzato l’ultima parte della sua vita. Abbiamo già discusso il suo originale tentativo di dividere l’umanità in due famiglie (la prelogica e la razionale) e i problemi cui dava origine. Le più frequenti critiche in merito, rivolte a Lévy-Bruhl da un eterogeneo gruppo di intellettuali, so- no ben riassunte da De Martino nella sua dura Prefazione all’edizione italiana de L’anima

primitiva, dove si dice: “[…] che il prelogico non esaurisce il primitivo e che anche l’uomo

colto ha aspetti prelogici, e infine che lo iato fra noi e il primitivo non aiuta ma ostacola la comprensione” (De Martino 1948, 14). Ebbene, se volessimo sintetizzare il ripensamento di Lévy-Bruhl potremmo dire che ha finito per abbracciare totalmente le ultime due critiche ma meno la prima. Negli appunti degli ultimi anni di vita, pubblicati postumi con il titolo di Qua-

derni, l’antropologo francese dichiara infatti di aver compreso i limiti del prelogismo e di aver

elaborato un nuovo e più comprensivo modello di riferimento:

Rettifico ciò che credevo corretto nel 1910: non esiste una mentalità primitiva che si di- stingua dall’altra per due caratteristiche che le sono peculiari (mistica e prelogica). Esiste una mentalità mistica che è più pronunciata e più facilmente osservabile nei «popoli pri- mitivi» piuttosto che nelle nostre società, ma è presente in ogni mente umana. (Lévy- Bruhl 1949, 131).

Dopo aver difeso per una vita un’originale tesi di discontinuità della mente umana, Lévy- Bruhl elabora una tesi opposta, di radicale unità psichica, basata sulla nozione di “mentalità

mistica”; in questo nuovo modello di riferimento sono importanti almeno due aspetti: il pri- mo, che l’unificazione della mente umana avviene sotto il segno dell’affettività,84 propria

dell’elemento mistico, estendendo universalmente un carattere prima riservato alla mentalità primitiva; il secondo, che la mentalità mistica, così estesa, è molto meno impermeabile agli aspetti razionali di quanto non fosse nel modello prelogista e che perciò, di principio, per l’ultimo Lévy-Bruhl è molto più facile accettare l’esistenza di elementi proto-logici nella mentalità mistica; della possibilità di trovare questi elementi anche nell’opera edita dell’antropologo parleremo a breve, non prima di aver tratto una più generale conclusione: il nuovo modello di mente mistica, da un lato renderebbe accessibile a Lévy-Bruhl il sogno – spesso evidente fra le righe degli suoi scritti – di sentire come i primitivi, dall’altro conferme- rebbe la nostra tesi di riferimento che individua nella mentalità primitiva qualcosa di essenzia- le anche per le nostre vite di uomini razionali. Se esiste uno sfondo permanente e sopito della mente umana, che si manifesta più direttamente nei primitivi, oltre che nei bambini, allora “prendere sul serio” i nostri antenati, anche in un modo finora intentato e radicale, è un atto scientifico totalmente legittimo, che Lévy-Bruhl e anche Lévi-Strauss, seppur in modi diffe- renti, hanno avuto il merito di praticare in modo pionieristico.85

Per focalizzare al meglio la portata del ripensamento operato da Lévy-Bruhl nei suoi Qua-

derni e trarre delle conclusioni utili alla nostra sintesi sulla mente primitiva, compariamo il

nuovo modello con quello precedente al ripensamento, ottimamente sintetizzato da Fimiani: La partecipazione, allora, da principio di legittimità o categoria sintetica di un’altra verità – quella che in opposizione alla logica vuole dirsi «prelogica» – diviene esperienza fon- damentale di un più profondo, che, se pure si fa più cieco, più sordo, più lontano, è l’apertura originaria su cui ogni altro pensiero riposa. La partecipazione si assimila, così, a una sorta di durata pura, incompatibile con ogni trascendentalismo o teoria della cono- scenza, proponendosi come immediato accesso alla vita. (Fimiani 2000, 52).

84 Per inciso, questa ritrattazione della discontinuità psichica non implica quindi la ritrattazione dell’anti-

intellettualismo, anche se sarebbe necessario, come abbiamo già fatto nel caso di Jung, moderarlo in forza degli elementi proto-logici ammissibili in base al nuovo modello mistico.

85 Rivive così l’idea, originariamente tyloriana, per la quale la mentalità primitiva è universalmente presente,

sebbene più o meno emergente, in tutti gli uomini; ma rivive rovesciando il suo valore, da stigma dell’inevitabilità dell’errore a cifra della verità dell’elemento primitivo, della sua ineliminabile presenza come sfondo di ogni società.

Ora, se è vero che la mente mistica teorizzata dall’ultimo Lévy-Bruhl rimane “l’apertura originaria su cui ogni altro pensiero riposa”, la sua incompatibilità con una teoria trascenden- tale della conoscenza non è più sostenibile; gli ultimi appunti dell’antropologo francese, in forza delle recuperata unità psichica, si muovono proprio verso un modello generale della mente, prima precluso dalla tesi del prelogismo, e caratterizzato ora da una potenziale com- plementarità di mente mistica e proto-razionalità: l’anima primitiva rimane un fondo – nelle parole di Fimiani – “più cieco, più sordo, più lontano” rispetto alla razionalità comunemente intesa, ma è anche qualcosa di “più profondo” e fondativo rispetto a questa. Portando alle e- streme conseguenze questa impostazione – decisiva per il nostro discorso – si può affermare che la mente primitiva e la mente razionale (da noi definite anche come “coscienza” e “ragio- ne”) andrebbero pensate in modo distinto e integrato allo stesso tempo, secondo un rapporto che è anzitutto quello di generazione della seconda da parte della prima e quindi quello di re- ciproca influenza: sostenere la doppia possibilità, di una prima emersione della razionalità dal bacino mistico-affettivo della mente primitiva, e di una loro potenziale complementarità, con- sente allora di pensare unitariamente l’aspetto proto-logico dell’affettività originaria e

l’aspetto proto-affettivo della logica originaria. Ora, la tematizzazione esplicita di questi ul-

timi passaggi è sostanzialmente assente dall’opera edita di Lévy-Bruhl e appena desumibile dai suoi appunti postumi; tuttavia, alla luce del suo ultimo pensiero, è possibile leggere in tra- sparenza, anche nelle sue opere principali, una tendenza implicita verso questo nesso logico- affettivo.86 Proveremo in quanto segue a dimostrarne la presenza almeno in un punto de L’anima primitiva e a esplicitarne il valore, anche in relazione all’obiettivo di elaborare il no-

stro modello di mente primitiva. L’occasione migliore ci è fornita dalla vivida descrizione del sentimento primitivo di partecipazione nei confronti di piante e animali; Lévy-Bruhl la ricalca dal resoconto del grande missionario-etnografo tedesco Bruno Gutmann, profondo conoscito- re della civiltà Chaga della Tanzania.

In un altro lavoro il Gutmann insiste lungamente sul «sentimento di unità di vita fra l'a- nimale e la pianta», sentimento che l'uomo sperimenta in questa società, e sul desiderio

86 Fimiani fornisce un’importante conferma alla nostra lettura quando dice che, già nell’opera edita

dell’antropologo, “non sono in gioco […] accostamenti, sia pure dinamici, tra sentimenti e rappresentazioni, ma i modi di una integrazione totale tra l’affettivo e il cognitivo per cui ne va di un sapere vitale, di una emozionalità

che egli ha di sentirsi in comunione con loro. Il primitivo, egli dice, sente di dipendere dalle piante e dagli animali fino a un punto che noi possiamo difficilmente immaginare. «Per effetto di questa dipendenza, si rappresenta in maniera del tutto diversa dalla nostra la tranquilla sicurezza e la certezza dei mezzi di sussistenza, di cui godono le bestie e le piante. La strada che porta il primitivo a condividere la certezza e la tranquillità degli a- nimali e delle piante, e ad elevarsi ad una vita più sicura, non passa per la violenza ma per il rispetto e per lo sforzo che egli fa per adattarsi ai loro sistemi di vita». (Lévy-Bruhl 2013 [1927], 45; corsivi nostri).

Il resoconto si completa poco oltre, quando Lévy-Bruhl ricorda che i primitivi naturalmen- te non si astengono dalla raccolta delle piante e dalla caccia degli animali.

Ma d’altra parte sono pieni di rispetto, come Gutmann ha bene illustrato, per le straordi- narie facoltà delle piante e degli animali, i quali bastano così meravigliosamente a se stes- si e che posseggono dunque un sapere, o piuttosto un potere, di cui l’uomo ben volentieri vorrebbe essere partecipe. Donde il suo atteggiamento nei loro riguardi, che non è affatto, come il nostro, quello di un superiore e di un padrone irresponsabile. (Lévy-Bruhl 2013 [1927], 71-72).

Ora, ci sembra piuttosto evidente che un sentimento di partecipazione così articolato non può essere ridotto ad un’adesione affettiva alogica e manifesta piuttosto l’aspetto proto-logico dell’affettività originaria: c’è un preciso schema che lega l’intuizione del primato ontologico di piante e animali al senso di dipendenza da essi e alla conseguente condotta di rispetto; che lega l’intuizione del primato gnoseologico degli stessi enti, attraverso la prova del loro rap- porto di superiore sintonia con l’ambiente, all’istituzione di un rapporto di apprendimento con essi; e questa ricostruzione si potrebbe completare ricordando il già citato caso totemico della protezione garantita dall’antenato ai suoi discendenti umani attraverso l’intima parentela con determinate specie vegetali e animali. La mente del primitivo lavora palesemente secondo un principio di identificazione e discendenza genealogica rispetto all’ambiente che la accoglie e dal quale, attraverso pratiche di conoscenza e consumo rispettoso, si attende di essere garanti- ta quanto alla sua stessa serenità esistenziale. Non è esagerato affermare, in conclusione, che l’embrionale ragionamento da noi sinteticamente ricostruito sia molto più prossimo ad alcune direttrici delle attuali scienze biologiche di quanto non lo fossero le raffinatissime elucubra- zioni con cui i filosofi tardo-antichi e medievali hanno cominciato a ritagliare per l’uomo un

L’analisi potrebbe proseguire con profitto anche assumendo una prospettiva più propria- mente mentale: piante e animali possiedono delle facoltà psicologiche filogeneticamente pre- cedenti alle nostre, che garantiscono loro un agio esemplare e alle quali – attraverso una for- ma di addestramento interiore – possiamo sperare di aderire. A partire dalla nostra mentalità attuale è piuttosto difficile comprendere questa “logica sotto-sopra” per la quale le facoltà più elementari, che per secoli abbiamo ritenuto infime, al punto da finire con il negarle – l’anima vegetativa delle piante e quella sensitiva degli animali – sono i modelli mentali di ispirazione cui ricondurre la nostra complessità. Tuttavia, è proprio questo il compito a cui Lévy-Bruhl sembra orientarci, in passi nei quali risulta evidente il suo giudizio di condanna verso la pre- sunta superiorità – che si traduce in una irresponsabile violenza – dell’uomo moderno.

I paradigmi incommensurabili del presente e del passato si contrappongono qui in modo particolarmente netto: da un lato una presunta unicità atomica dell’uomo, che sacrifica tutto il resto sull’altare del superamento di ogni limite, preda di una fisiologica insoddisfazione; dall’altro un avanzato modello di corresponsabilità rizomatica,87 che realizza il proprio bene

attraverso una coerente autolimitazione alla misura di ciò che basta per una vita serena. Non ci sembra scorretto dunque declinare in conclusione il tema della mentalità primitiva anche secondo l’aspetto proto-affettivo della logica originaria: il primo uomo, esposto molto più di noi alle tensioni della natura selvaggia, dà una lettura assiologica dell’ambiente di cui parteci- pa per la quale, posta la giustizia del sacrificio reciproco di tutti gli esseri, il bilancio energeti- co dello stesso ambiente è nettamente a favore della felicità. La strutturazione genealogica del mondo, cioè la realtà della sua organizzazione e conoscibilità, è garanzia della sua positività morale e l’intuizione della legge di parentela si traduce in un’etica primitiva.

87 Sul rizoma come figura filosofica che indica una realtà onnicentrica cfr. il classico Deleuze, Guattari (2003