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Un’eccezione nel generale passaggio alla scrittura latina

Giancarlo S CHIRRU

1. Un’eccezione nel generale passaggio alla scrittura latina

Il nesso storico tra rivoluzione, pianificazione linguistica e manipolazione della scrittura è stato particolarmente evidente nell’esperienza sovietica, in cui il rapporto citato ha assunto connotati quasi ossessivi già nella prima fase dell’esplosione rivoluzionaria. È noto infatti che con la fine della guerra civile, nel 1922, alcune politiche originariamente distinte tra loro finirono con il convergere attorno alla necessità di una pianificazione linguistica particolarmente attiva, se non addirittura compulsiva, e di un intervento massiccio sui sistemi grafici delle molte lingue presenti nel territorio dell’antico impero russo1. Basti pensare che già nel 1923 il Commissariato del popolo all’istruzione della

Federazione russa (Rossijskaja Sovetskaja Federativnaja Socialističeskaja Respublika),

«QuadRi» – Quaderni di RiCOGNIZIONI, VIII • 2018

1 Nella vasta bibliografia dedicata alla pianificazione linguistica sovietica, ci limitiamo in questa

sede a segnalare Comrie 1981; Cardona (1987: 155-156); Smith 1988; Kirkwood 1991; Slezkine 1994; Mancini 1996; Grenoble 2003; Dell’Aquila & Iannaccaro (2004: 38-43); Brandist 2015; Graziosi 2017; i saggi contenuti in Kirkwood 1990; Suny & Martin 2001; Simonato 2013. Per

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la maggiore delle repubbliche sovietiche sia per dimensioni sia per peso politico, avviò una campagna di alfabetizzazione (nota come likvidacija bezgramotnosti – ‘liquidazione dell’analfabetismo’, o meglio con l’abbreviazione likbez) che non aveva precedenti nella storia, e che si poneva lo scopo di rendere capace di leggere e scrivere, in soli quattro anni, la totalità della popolazione della Federazione, allora gravata da tassi di anal - fabetismo tra i più alti d’Europa: come fattore di stimolo per lo sforzo rivoluzionario era stato indicato l’obiettivo di festeggiare l’ambizioso risultato con il decennale della rivoluzione, nel 19272.

Il traguardo si rivelò ben presto velleitario: ciò non toglie che la radicalità delle politiche avviate in quell’occasione abbia raggiunto, in tempi diversi rispetto a quelli programmati, risultati notevoli. Per quanto è di interesse in questa sede, quegli interventi mutarono profondamente il rapporto tra parlanti, lingue e scritture all’interno dello stato sovietico: l’obiettivo della campagna di istruzione era esplicitamente quello di alfabetizzare ciascuno dei cittadini sovietici nella sua lingua materna. Se si considera che molti di essi erano parlanti di lingue con tradizioni grafiche molto fragili, caratterizzate da documentazione scritta scarsa e frammentata, o addirittura parlavano lingue prive di una vera tradizione di scrittura, si può capire come l’intera politica sovietica dell’istruzione dovette primariamente porsi il compito di definire un insieme di varietà linguistiche di riferimento, fornire loro un sistema grafico stabile, un’adeguata elaborazione normativa e culturale, per esempio attraverso la pubblicazione di grammatiche, di dizionari di riferimento, di manuali scolastici. In questo quadro, si possono distinguere due diverse fasi, caratterizzate anche da motivi ideologici non coincidenti: la prima di queste è costituita da una generale espansione della scrittura latina, o meglio di un alfabeto a base latina integrato da numerosi segni e diacritici, proposto come scrittura fonetica unificata delle diverse lingue dell’unione. Nella seconda fase, avviatasi già negli anni Trenta, l’alfabeto a base latina fu progressivamente sostituito da un nuovo alfabeto unificato a base cirillica.

La tesi che qui intendiamo sostenere è che la lingua armena rientra in questo quadro per lo più in negativo: crediamo cioè che la vera domanda da porre, riguardo all’armeno, è perché questa tradizione linguistica non sia stata toccata, se non in modo molto marginale, dal grande dibattito sovietico sulla scrittura. La condizione di sostanziale intangibilità di cui la scrittura armena ha goduto fu condivisa da pochissime altre che si possono qui ricordare: il georgiano e poche lingue di minoranza, come lo yiddish e il greco, su cui torneremo; il vero parallelo del dibattito che riguardò l’armeno e le altre lingue citate è da ritrovare nel caso del russo, di cui non si giunse a mutare la tradizionale scrittura cirillica, ma per il quale i bolscevichi limitarono i loro interventi alla riforma

l’esame di casi particolari notevoli, cfr. Rzehak 2001 (tagico); Tomelleri & Salvatori 2011, Tomelleri 2016a (osseto); Iannaccaro 2006, Sériot 2013, Tomelleri 2016b (abcaso).

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dell’ortografia promulgata nel 1918, poco dopo la presa del potere, in cui era compendiata una lunga riflessione svoltasi nel periodo imperiale.

Il dibattito sulla scrittura avviatosi negli anni Venti aveva infatti un preciso tema in discussione: il passaggio alla scrittura latina di lingue che avevano alle spalle una propria tradizione grafica; per molte di queste la storia precedente era basata sull’alfabeto arabo- persiano, ma non mancavano tradizioni grafiche epicoriche più o meno marcate.

Diversamente da ciò che si potrebbe credere, la spinta al cambio grafico non venne dalle grandi capitali; si trattò, al contrario, di un movimento che nacque nella periferia dello stato sovietico, nella Transcaucasia e nell’Asia centrale. Da qui, però, l’onda innovativa si spinse verso il centro della costellazione del potere: la proposta di adottare l’alfabeto unificato a base latina fu avanzata addirittura per la lingua russa, tanto che dovette intervenire direttamente il Politburo, con una risoluzione del 1930, per bloccare un’evoluzione in tal senso3. Si trattò probabilmente di una decisione formale assunta

quando il tema non era più di attualità, segno che ormai l’élite sovietica si stava ponendo altri problemi: non è un caso che a quest’altezza cronologica si sia già conclusa la parabola politica di Anatolij Vasil’evič Lunačarskij (1875-1933), che negli anni precedenti, come commissario del popolo all’istruzione e principale fautore della likbez, era stato anche il politico bolscevico maggiormente impegnato nella pianificazione linguistica e nella riforma delle scritture4. La citata risoluzione del Politburo testimonia se non altro di come

l’ipotesi di una latinizzazione del russo sia stata presa in esame, a un certo punto, come una via realmente percorribile.