In questo capitolo, cercheremo di delineare il profilo dello studente di origine straniera, per come appare nell’emblematico caso del Conservatorio Rossini, tirando un po’ le somme di tutti i dati finora confluiti da più parti (l’osservazione partecipante, i questionari agli studenti di origine straniera e i questionari con le considerazioni dei docenti che insegnano loro).
Gli studenti di origine straniera del triennio e del biennio del Conservatorio Rossini costituiscono un piccolissimo numero rispetto al totale delle presenze (fra l’8,35% ed il 16,7% a seconda che si considerino o meno gli studenti dei corsi preaccademici). Ciononostante, costituiscono anche un gruppo piuttosto eterogeneo dal punto di vista biografico e formativo (multiculturale, plurilingue, multilivello e ad abilità differenziate). 11 sono le nazionalità rappresentate nel quinquennio (senza cioè contare quelle dei corsi preaccademici), di cui 7 non utilizzano i caratteri alfabetici dell’italiano nella letto-scrittura della propria L1 (quindi anche lingue – e culture – tipologicamente molto distanti).
Fra gli stranieri, la componente sinofona al triennio costituisce solo una maggioranza relativa (30% del totale, quasi a pari merito con quella georgiana: 24%), mentre al biennio costituisce quella assoluta (74% del totale, seguita solo di lontano da quella coreanofona: 14%).
Il grosso di loro è iscritto ai corsi del biennio (ca. 67%), mentre solo in misura minore frequentano i corsi del triennio (ca. 33%).
Molti sono giovani studenti di scambio internazionale (come erasmus o turandot, soprattutto al biennio), ma vi sono anche studenti-lavoratori adulti sposati con
italiani o qui trasferitisi con la famiglia (soprattutto al triennio). Anche gli studenti dei programmi di scambio restano in Italia fino al completamento del loro percorso di studi (che come ogni altro si conclude con la discussione- esecuzione della tesi e la proclamazione di laurea).
L’età minima è di 19 anni, quella massima di 42. L’età media è di ca. 25/26 anni. Gli indirizzi di studio a cui sono iscritti sono, in ordine decrescente: canto, pianoforte, archi, sassofono, direzione d’orchestra, chitarra, organo (gli ultimi tre a pari merito).
In pochi studiano al conservatorio per semplice crescita culturale. Molti sono interessati al conseguimento di un titolo di studio italiano, cui viene attribuito grande prestigio all’estero, utile elemento di distinzione nel cosiddetto mercato del lavoro.
Similmente, lo studio della lingua italiana è affrontato solo in minima parte “per capire l’insegnante” (capitolo 5.1.3). Per lo più, la motivazione che gli soggiace è di tipo strettamente professionale: lo studio dell’italiano apporta infatti valore aggiunto in termini di prestigio formativo al curriculum del professionista.
Al momento dell’iscrizione al Conservatorio, hanno già frequentato con profitto un corso di lingua e cultura italiana, soprattutto nel proprio Paese di origine. Per lo più, di tipo intensivo.
In precedenza, molti di loro hanno altresì già maturato esperienze di apprendimento di una o più LS – seppure non tutti.
Ora, non sono particolarmente inclini a frequentare un corso di lingua, a meno che non sia obbligatorio. Nel qual caso, preferirebbero di nuovo un corso di tipo intensivo o, ancora meglio, delle lezioni individuali, dal vivo, non telematiche.
La maggior parte non è in possesso di una certificazione di lingua italiana ufficiale (PLIDA, CELI, CILS, Certificazione IT), ma spesso del solo esame finale della scuola privata di provenienza. All’ingresso in Conservatorio, vengono valutati principalmente sotto il mero profilo della preparazione tecnica ed esecutiva, non della padronanza linguistica.
Gli studenti di origine straniera nel Conservatorio frequentano lezioni la cui fruizione è da loro stessi considerata “difficile” o “troppo difficile”, anche quando i docenti risolvono di rivolgersi loro in altre lingue straniere (come l’inglese). Infatti, nonostante gli studenti dichiarino una qual certa sicurezza nella produzione orale (forse agevolata dal clima di classe piuttosto disteso), denunciano altresì una generale insicurezza nella letto-scrittura e nella comprensione orale (per via dei tecnicismi e della velocità d’eloquio).
In effetti, da quanto dimostrato attraverso il test di piazzamento svoltosi a novembre 2017 e da quanto riconfermato sia dai discenti che dai docenti nei questionari inviatigli nel mese di maggio 2018, nonché dalla ricerca sul campo, quella di origine straniera in Conservatorio si è sostanzialmente rivelata un’utenza di livello A2/B1 (solo il 24,5% di loro presenta fin dal principio un adeguato livello B2+/C1).
Nella fattispecie, il livello A2 viene definito come “livello elementare, di sopravvivenza” ed è pertanto insufficiente a supportare qualsivoglia abilità differenziata per lo studio. L’interazione orale può avvenire solo in lingua standard, con brevi discorsi su argomenti familiari, purché l’interlocutore collabori.
soltanto una prima forma di abilità differenziate per lo studio, come il prendere appunti in forma elencativa di un discorso non troppo articolato, familiare e formulato in lingua standard.
Il livello B2, definito “livello intermedio, di progresso” è invece il livello più completo dal punto di vista della grammatica, delle generalità della lingua standard e dell’autonomia scolastica di base (con la possibilità di redigere una tesina).
Il livello C1, definito “livello avanzato, di efficacia” è infine il livello delle microlingue scientifico-professionali, dei linguaggi e delle lingue non standard e dell’autoefficacia sia accademica che professionale (con la possibilità di condurre una tesi).
Una graduale progressione (attra)verso questi ultimi due livelli (B2-C1) è dunque ciò che sarebbe auspicabile per un’utenza specialistica come quella del Conservatorio.
Gli studenti di origine straniera presentano quindi bisogni formativi di ordine:
a) linguistico (in primissima istanza fonetico, terminologico e di tipologia testuale, poi anche morfologico e sintattico);
b) metalinguistico (strategie di comprensione dei testi anche in italiano non standard, meccanismi di coerenza e coesione testuale);
c) psicologico e fisiologico (gestione dei propri processi mentali e stati d’animo, introspezione, identificazione e comunicazione dei propri valori, o delle condizioni fisiche);
dell’interazione fra culture);
e) extralinguistico (gestemica, prossemica, vestemica, oggettemica, ecc.); f) socio-pragmatico (agire efficacemente in contesti accademici e
professionali, oltre che comuni);
g) trasversale (prendere appunti, studiare, eseguire brani, dirigere, acculturarsi, culturizzarsi, ecc.).
Essi potrebbero essere ulteriormente semplificati raggruppandoli come segue:
a) bisogni interculturali (gestione di dinamiche interpersonali in cui la comunicazione è inevitabilmente vincolata ad aspetti valoriali e culturali anche impliciti);
b) bisogni linguistici (gestione agentiva e quindi psicocentricamente deduttiva del processo di apprendimento, che procede interlinguisticamente dal semplice e comune all’articolato e ricercato, dal linguistico al metalinguistico);
c) bisogni trasversali (gestione di competenze necessarie all’ambito sia accademico che professionale, come il prendere appunti, curare la propria istruzione, ecc.).