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Un punto di vista neo-casuista in Bioetica

Nel capitolo precedente sono state analizzate le principali teorie etiche che hanno animato il dibattito in Bioetica. In particolare sono stati analizzati i principi, i modelli di comportamento, i valori-guida e il metodo di indagine di ciascun approccio teorico. Questo capitolo, invece, sarà dedicato all’analisi critica delle principali teorie etiche normative analizzate nel capitolo precedente.

Critica all’etica dei principi di Beauchamp e Childress

L’etica dei principi di Beauchamp e Childress è stata ampiamente impiegata come strumento utile per l’analisi dei casi clinici126. L’etica dei principi, infatti, ha avuto molta fortuna nel corso degli

anni Ottanta del XX secolo, soprattutto perché si presenta come un valido strumento di analisi e interpretazione dei problemi della biomedicina. Tuttavia, essa è stata oggetto di critica da parte di alcuni autori, i quali ne hanno evidenziato i limiti. La più frequente critica rivolta alla teoria dei principi è di mancare di una sufficiente autonomia teorica.127 L’assenza di una teoria sistematica capace di dare unità ai principi rende questi ultimi troppo astratti e ambigui, ossia mancanti di un’interpretazione univoca e porta i principi a essere privi di fondamento e conseguentemente carenti di un’adeguata articolazione. I critici del principilism128 K.D. Clouser e B. Gert ritengono che

Beauchamp e Childress abbiano operato un’eccessiva semplificazione dell’agire morale. I due critici ritengono che, in mancanza di un unificato sfondo teorico, i principi non costituiscono delle linee guida per la deliberazione e l’agire, ma ritengono i principi come “pure etichette”, dei ganci ai quali appendere le diverse considerazioni morali elaborate a partire dai casi specifici. I principi appaiono come delle “liste di

127

Ibidem.

128 Il termine principilism è stato coniato con intento critico da K. D. Clouser e B. Gert. Oggetto della critica è stato poi esteso nel corso del dibattito sia a Frankena sia a Beauchamp e Childress. Il termine è stato poi esteso nel corso del dibattito a tutti gli approcci che facevano uso dei principi (Cfr. K. D. Clouser, B. Gert, A Critique of Principilism, in “The Journal of Medicine and Philosophy”, Vol. 15, No. 2, 1990, pp. 216-239).

considerazione” che devono essere tenute a mente dal soggetto morale nel momento in cui vengono presi in esame specifici problemi morali. La critica, quindi, si concentra proprio sulla validità normativa dei principi prima facie, il cui significato e la cui rilevanza appaiono sospesi ad una scelta non chiarita e quindi arbitraria. Secondo i due autori l’etica dei principi di Beauchamp e Childress lascia sullo sfondo la questione della fondazione dei principi.

Una seconda critica mossa da questi autori alla teoria dei principi riguarda il fatto che l’assenza di una teoria unificata e sistematica emerge chiaramente nelle situazioni di conflitto tra principi. L’assenza di una teoria sistematica causa l’incapacità di fornire ai principi stessi un preciso contenuto e dei criteri che permettano di riconoscere e giustificare la priorità di uno sugli altri. L’approccio principilista sembra lasciare il soggetto agente dinanzi a insolubili situazioni conflittuali. Manchevole di uno schema sistematico di giustificazione e articolazione dei giudizi, il paradigma dei principi risulta persino inadeguato al contesto pluralistico contemporaneo. Inoltre, i due autori sostengono che non solo il paradigma proposto da Beauchamp e Childress rimanda a due teorie etiche di per sé contrapposte (utilitarismo e

deontologismo), bensì ogni principio sembra nascondere implicitamente diversi orientamenti teorici contrastanti (il kantismo per l’autonomia, il deontologismo e l’utilitarismo per la non maleficenza, l’utilitarismo per la beneficenza e il contrattualismo per la giustizia). Viste le molteplici teorie etiche di riferimento l’agente, anziché rintracciare nei principi delle linee guida, sembra trovarsi nell’imbarazzante situazione di dover scegliere, di fronte a uno specifico caso, quale orientamento privilegiare.

L’etica dei principi è stata, inoltre, oggetto di critica da parte delle autrici femministe esponenti dell’”etica della cura” che mettono in primo piano il soggetto agente e il suo contesto relazionale. Secondo la prospettiva femminista l’approccio centrato sui principi, soprattutto come presentato nelle prime tre edizioni dei Priciples, sembra mancare di un’adeguata analisi dell’agente morale: quest’ultimo appare caratterizzato più da un atteggiamento di obbedienza al dovere che da un impegno attivo all’interno della sfera morale. La conoscenza e l’applicazione dei principi rischia perciò di ridursi a una mera attività o addirittura ad una passiva, estrinseca e formale osservazione di diverse istanze normative. Per di più la rigidità astratta e generale dei

principi tende, secondo la prospettiva femminista, a trascurare altri importanti aspetti dell’esperienza etica, quali ad esempio le intenzioni del soggetto agente, le relazioni interpersonali, le motivazioni e le disposizioni a compiere un determinato atto, giungendo così a non rendere conto della complessità e della poliedricità dell’ambito morale. Infatti, tali principi risultano astratti e inadeguati quando vengono calati nella concretezza delle situazioni in cui il soggetto deve agire a partire da una storia personale e interpersonale.129 Non avendo identificato il tipo di soggetto agente, Beauchamp e Childress possono porre tutti i principi sullo stesso piano, ma li espongono così a un’indefinita fluttuazione delle possibili interpretazioni del loro contenuto.

Le critiche poste alla Bioetica dei principi evidenziano i limiti di questa concezione fino a giustificare l’accusa di essere un “mantra di principi”, intendendo con questa espressione il fatto che i principi, spesso, funzionano come un incantesimo rituale di norme ripetute senza riflessione130.

129

Cfr. C. Botti, Bioetica ed etica delle donne. Relazioni, affetti e potere, Zadig, Milano 2000, pp. 124-125.

130 K. D. Clouser, B. Gert, A Critique of Principilism, in “The Journal of Medicine and Philosophy”, Vol. 15, No. 2, 1990, p. 227.

L’etica dei principi di Beauchamp e Childress è stata criticata, come è stato detto sopra, anche per la sua incapacità di risolvere il conflitto tra principi. Tuttavia di tale limite sono ben consapevoli entrambi gli autori della Bioetica dei principi poiché esso ha un riscontro concreto nelle problematiche che sorgono nella vita reale: i soggetti agenti si trovano a dover affrontare complicate situazioni in cui si è costretti a dover scegliere un principio, ad esempio il principio di autonomia, e rinunciare a un principio ugualmente importante, ad esempio il principio di beneficenza. L’adempimento di entrambi i principi porterebbe il soggetto agente in una condizione di stallo. In particolare, all’interno della pratica medica possono sorgere dei conflitti tra principi quando alcuni aspetti degli obblighi morali dei medici entrano in conflitto con gli obblighi del paziente. Tale conflitto si accentua nel caso in cui il medico debba tutelare l’interesse di terzi. Ad esempio, quando i genitori portano un bambino dal medico per un trattamento, la prima responsabilità del medico è di agire nell’interesse del bambino, sebbene il medico abbia “stipulato” un contratto terapeutico e dunque abbia obblighi di fiducia verso i genitori. Questi ultimi obblighi passano in secondo piano, quando il medico interviene per il bene del

bambino opponendosi alle decisioni dei genitori. Per esempio, quando i Testimoni di Geova adulti rifiutano le trasfusioni di sangue per se stessi, il medico ha l’obbligo morale di rispettare la scelta dei pazienti, che si presume siano consapevoli e dunque informati del rischio che corrono rinunciando a tale trattamento (mi riferisco al consenso libero e informato). Tuttavia, la situazione si complica radicalmente (e dunque sorgono i conflitti tra principi) quando il medico nega ai genitori il permesso di rifiutare le necessarie trasfusioni di sangue per i loro figli.

Questo esempio mostra come i conflitti tra principi non possono essere risolti a priori. Tuttavia, ritengo che nessun sistema normativo potrebbe prevenire l’intera gamma di conflitti che sorgono nell’esperienza di ogni giorno. Beauchamp e Childress sono ben consapevoli che l’etica dei principi non sia in grado di risolvere i conflitti tra principi Essi infatti sostengono che:“ I principi ci indicano la giusta direzione, ma poi noi solitamente ci imbattiamo in una moltitudine di altre cose da prendere in considerazione, a cui occorre adattarsi, quali le pratiche degli

istituti, le risorse limitate, i giudizi dei rischi accattabili, le credenze religiose e i progetti e le aspirazioni personali”131.

Ritengo che le critiche mosse all’etica dei principi di Beauchamp e Childress non tengano in considerazione i complicati aspetti che sorgono nella pratica medica, in particolare, e nella vita morale, in generale. L’etica dei principi fornisce comunque una buona bussola che ha il compito di orientare l’agente morale in molteplici e complessi eventi che caratterizzano l’esperienza morale. Ogni evento clinico, e non solo, della vita reale si distingue dagli altri eventi per la sua specificità e non può essere risolto attraverso soluzioni preconfezionate.

Critica all’etica della virtù

Il merito dell’etica della virtù consiste nell’aver ridato vigore al soggetto agente nelle questioni morali. Infatti, le scelte morali rappresentano un cimento per l’individuo. In riferimento al carattere del soggetto morale, gli individui non possono essere considerati esclusivamente come fattori neutri nella deduzione dei doveri. Tali individui vivono sempre all’interno di reti di

131

relazioni che possono cambiare in maniera sostanziale il peso delle diverse considerazioni morali nei casi che li riguardano. L’integrità verso se stessi, la propria storia e i propri desideri sono senz’altro elementi non trascurabili nella formulazione della decisione. In ambito biomedico, in particolare, si è assistito al riconoscimento della centralità della virtù per denunciare i limiti e le difficoltà della pratica medica nell’età della medicina tecnologica. I due più importanti esponenti dell’etica della virtù, come è stato detto nel capitolo precedente, sono Pellegrino e Thomosma, i quali hanno tentato di unire le riflessioni della filosofia della medicina e dell’etica della virtù in medicina.

Pellegrino e Thomasma sostengono che il fine della medicina, e dunque l’obiettivo principale di ogni scelta d’azione terapeutica, consiste nell’agire per il bene del paziente. La beneficenza, secondo i due autori, rappresenta il principio morale fondamentale dell’etica medica. Inoltre, essi distinguono quattro significati della nozione di bene del paziente:

 Il bene biomedico o strumentale, cioè il bene ottenibile attraverso interventi terapeutici e competenza tecnica;

 Il miglior interesse del paziente, vale a dire la valutazione soggettiva da parte del malato relativamente a ciò che egli

ritiene sia meglio per sé in una determinata situazione clinica;

 Il bene del paziente in quanto persona umana, ossia la capacità di autodeterminarsi e di operare delle decisioni in vista della propria relazione;

 Il bene ultimo o supremo, cioè il criterio ultimativo in relazione al quale il malato regola le sue scelte e il proprio progetto di vita.

Pellegrino e Thomasma sottolineano come, nelle decisioni concrete che inevitabilmente caratterizzano i diversi contesti clinici, questi quattro significati di bene del paziente si presentano mescolati tra loro e come ognuno di essi debba essere oggetto di comprensione e rispetto. A volte questi aspetti del bene possono dar luogo a conflitti tra gli stessi, rischiando addirittura di paralizzare il processo decisionale. Per far fronte a tali conflitti i due autori suggeriscono due schemi: lo schema metaetico e lo schema procedurale.

Lo schema metaetico, per risolvere i conflitti, fissa delle priorità tra i diversi beni. Questo schema fornisce un ordine gerarchico dei quattro significati che comprendono la nozione di bene del

paziente. Questi ultimi vengono disposti attraverso un ordine di importanza:

 Il Bene ultimo o supremo;

 Il bene del paziente in quanto persona umana;

 Il miglior interesse del paziente;

 Il bene biomedico o strumentale.

Il bene supremo ha la precedenza sugli altri significati di bene: esso costituisce, a parere degli autori, il punto di partenza del ragionamento morale di una persona, ma anche il suo costante modello di riferimento nel momento in cui risultino necessarie delle scelte tra beni in competizione. Tuttavia, i conflitti sorgono quando il medico si rifiuta di accettare il bene ultimo espresso dal paziente. Pertanto, si verificano dei conflitti quando si prendono decisioni delicate riguardanti la vita umana, quali disposizioni di non rianimare, distacco di apparecchiature necessarie alla sopravvivenza ecc. Dunque, sorgono difficili e inconciliabili divergenze sul bene ultimo. La soluzione proposta dai due autori consiste nell’interrompere il rapporto medico- paziente, poiché né il medico né il paziente scendono a compromessi. Lo schema metaetico rimanda, dunque, a un

ordine gerarchico dei quattro significati di bene. Tuttavia, è possibile sostenere che dietro l’esposizione dei quattro significati della nozione di bene del paziente si nasconde ancora la classica dicotomia tra il principio di beneficenza e quello di autonomia. La gerarchia dei beni proposta da Pellegrino e Thomasma pone, come è stato detto sopra, al suo vertice il bene supremo o spirituale, il quale rappresenta l’elemento meno esplicito della gerarchia del bene e ciò rende indubbiamente più difficile la risoluzione dei conflitti che possono sorgere nelle diverse decisioni cliniche. Inoltre, il carattere meno esplicito del bene ultimo o supremo rischia di non raggiungere una completa definizione di bene del paziente, dal momento che le accezioni di bene dipendono da quest’ultimo. Ciò lascia in sospeso ogni possibile definizione di bene del paziente132.

Accanto a questa gerarchia relativa ai quattro significati di bene, Pellegrino e Thomasma propongono, per la risoluzione di possibili conflitti, anche lo schema procedurale. La prima fase di tale schema ha come obiettivo quello di rivolgere l’attenzione verso le chiare direttive espresse dal paziente che potrebbe averle

132

M. Gensabella Furnari, Tra autonomia e responsabilità. Percorsi di bioetica, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000, pp. 166-167.

già formulate dinanzi al medico in una fase precedente al processo decisionale richiesto dal contesto clinico. Possono inoltre presentarsi particolari contesti clinici nei quali il medico deve rivolgersi ai familiari del paziente, affinché questi esprimano i desideri e i valori di quest’ultimo, nel caso in cui il paziente non possa esprimere le proprie preferenze o non abbia lasciato alcuna dichiarazione riguardo al proprio interesse.

Lo schema procedurale prevede inoltre altre due fasi nel momento in cui, per qualche motivo, il medico e il paziente (o i familiari di quest’ultimo) non riescano ad accordarsi sulla scelta da prendere. In queste situazioni, Pellegrino e Thomasma suggeriscono di ricorrere dapprima al comitato ospedaliero di etica e infine alla magistratura133.

Per quanto riguarda la relazione terapeutica, i due autori sostengono che la relazione clinica si fonda sull’interazione tra il mondo del medico e il mondo del paziente. Tale relazione si fonda, inoltre, su elementi essenziali capaci di fare emergere i

133

Prima di far ricorso a istituzioni quali il comitato ospedaliero e la magistratura è necessario che il medico prenda in considerazione le direttive espresse dal paziente. Secondo i due autori l’applicazione dello schema procedurale avrà luogo soltanto quando la relazione terapeutica è caratterizzata da un costante dialogo e dalla fiducia reciproca tra il medico e il paziente, al fine di far emergere i valori di entrambi i protagonisti della relazione terapeutica.

valori di coloro che sono coinvolti nell’interazione clinica. Questi elementi sono due:

 Il dialogo aperto e libero;

 La fiducia.

La relazione tra il medico e il paziente si configura, secondo i due autori, come una relazione asimmetrica. Tale asimmetria è determinata da un lato dalla condizione di vulnerabilità e di dipendenza del paziente, e dall’altro dalla conoscenza tecnica del medico. Un altro aspetto che vale la pena di prendere in considerazione riguarda il carattere strettamente duale della relazione clinica. Un tale rapporto tende a trascurare il contesto sociale e il carattere tecnologico della medicina.

Il carattere sociale della medicina è determinato dalla natura collaborativa del lavoro di équipe. Inoltre, secondo Giorgio Cosmacini la relazione medico-paziente non può essere compresa senza tener conto del contesto sociale in cui essa si realizza: ossia la società civile e lo Stato, i quali ispirandosi ai principi di eguaglianza e di equità sociale non intendono più promuovere esclusivamente il bene del singolo paziente, ma hanno di mira soprattutto la promozione della salute di tutti i

cittadini134. In secondo luogo, l’avvento della medica tecnologica ha determinato un grande cambiamento nella relazione terapeutica: l’apparato tecnologico si interpone tra medico e paziente, rischiando di separare questi due soggetti dall’interazione clinica.

Il rapporto terapeutico, secondo Pellegrino e Thomasma, dà ovvio a scelte e azioni terapeutiche deliberate di comune accordo dal medico e dal paziente. A tal proposito Pellegrino propone una teoria etica, come è stato detto nel secondo capitolo, relativa alla relazione medico-paziente che deve essere necessariamente basata sulla virtù. Tuttavia questa teoria proposta è stata considerata difficilmente attuabile nel contesto contemporaneo e per di più troppo astratta e vaga data l’oggettiva difficoltà di definire la virtù. Inoltre, alle virtù non viene riconosciuta la stessa forza di linee-guida per l’agire, riscontrabile invece nei principi e nelle regole morali. Una teoria normativa basata esclusivamente sulle virtù sembra prefigurare una sorta di situazionismo etico: al soggetto agente, infatti, spetta la responsabilità di scegliere ed esercitare le diverse virtù a seconda

134

G. Cosmacini, La qualità del tuo medico. Per una filosofia della medicina, Laterza, Roma- Bari 1995, pp. 62-63.

della particolare situazione che sta vivendo135. Tuttavia, anche per Pellegrino una teoria normativa per l’etica medica non può essere esclusivamente basata sulla virtù, ma deve trovare collegamento tra virtù, principi e regole morali, riconoscendo ad ognuno di essi il proprio ruolo e il proprio peso136.

Critica al personalismo ontologicamente fondato

Monsignor Elio Sgreccia è il più importante esponente della Bioetica di indirizzo personalistico-ontologico137. Come è stato detto nel capitolo precedente, il personalismo ontologicamente fondato basa il concetto di soggettività sull’esistenza di un’essenza costituita dall’unione di corpo e spirito: il personalismo riconosce lo statuto morale oggettivo e ontologico della persona. Questa persona è un corpo spiritualizzato che vale per quello che è e non soltanto per quello che fa. Anzi, in ogni scelta la persona impegna ciò che è, cioè la sua essenza: in ogni

135

Cit. Da Re, La riscoperta della virtù nell’etica contemporanea: guadagni e limiti, in Da Re, G. De Anna, Virtù, natura e normatività, Il Poligrafo, Padova 2004, p. 242.

136 A tale conclusione sono giunti anche Beauchamp e Chlidress. Essi sostengono: “sebbene le virtù occupino certamente un posto speciale nella vita morale, questa non è una prova per conferir loro un ruolo esclusivo di primo piano, come se una teoria basata sulla virtù potesse rimpiazzare o avere la precedenza sulle teorie basate sul dovere. I due tipi di teoria pongono l’accento su aspetti diversi, ma sono compatibili e si rafforzano l’un l’altro. […]I principi ci guidano nelle azioni, ma abbiamo anche bisogno di valutare una situazione e di elaborare una reazione adeguata, e la valutazione e la reazione derivano dal carattere e dall’esercizio quanto dai principi (Cit. T. L. Beauchamp, J. F. Childress, Principi di etica biomedica, pp. 76-77).

137

La bioetica di indirizzo personalistico-ontologico rappresenta la riflessione bioetica sostenuta e promossa dal Magistero della Chiesa di Roma e dagli intellettuali che ne condividono le posizioni di fondo.

scelta non esiste soltanto l’esercizio della scelta, la facoltà di scegliere, ma anche il contesto della scelta: un fine, dei mezzi, dei valori138. La persona rappresenta il fondamento dell’etica secondo Sgreccia: la sua importanza e il suo valore precede il valore dell’autonomia. Inoltre, la struttura ontologica e metafisica della persona fa parte dell’ordine naturale previsto da Dio.

Secondo il personalismo ontologicamente fondato l’essere umano non cessa, in nessun modo, di essere tale, anche se può trovarsi in una situazione per cui gli è impossibile esercitare le funzioni che caratterizzano la persona, come l’attività razionale: è il caso degli embrioni, degli individui affetti da malattie altamente invalidanti e delle persone che si trovano in uno stato vegetativo persistente.

Il personalismo ontologicamente fondato fa appello alla legge morale naturale. Secondo la Bioetica di indirizzo personalistico- ontologico, la legge naturale si realizza avendo sempre la persona come punto di rifermento: “La legge morale naturale esprime e prescrive le finalità, i diritti e i doveri che si fondano sulla natura corporale e spirituale della persona umana. Pertanto essa non può essere concepita come normativa semplicemente biologica.

Ma deve essere definita come l’ordine razionale secondo il quale

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