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Il ruolo delle etiche normative alle origini della Bioetica

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione………3

Capitolo primo

La Bioetica: storia,definizioni,temi...9

Dalla metaetica all’etica applicata………9

L’irruzione dell’etica applicata………..15

Che cos’è la Bioetica?...24

L’origine della Bioetica nel clima culturale degli anni ’60………..32

Breve storia della Bioetica……….36

Bioetica: natura,scopi, funzioni………43

I temi della Bioetica………..51

Bioetica e istituzioni……….62

Capitolo secondo

La Bioetica e le etiche normative………….………..66

L’etica dei principi di Beauchamp e Childress……….…………68

L’etica della virtù………79

Il personalismo ontologicamente fondato………..92

Il proceduralismo di Engelhardt………102

La nuova casistica……….108

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Un punto di vista neo-casuista in Bioetica………130

Critica all’etica dei principi di Beauchamp e Childress……….130

Critica all’etica della virtù………...137

Critica al personalismo ontologicamente fondato………145

Critica al proceduralismo……….153

Critica alla nuova casistica e possibili repliche………158

Conclusione………..169

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Introduzione

Nell’articolo “How medicine saved the life of Ethics” del 1982 Stephen Toulmin descrive un periodo storico contrassegnato da grandi cambiamenti politici, culturali, scientifici e tecnologici. Il progresso tecnologico, in particolare, ha dato vita a una nuova medicina: la medicina tecnologica. Essa si differenzia dalla medicina del passato per l’impiego di raffinati strumenti tecnologici capaci di intervenire sui processi biologici, considerati per secoli inaccessibili al controllo umano in quanto ordinati da una rigida “legge naturale”.

La medicina tecnologica si presenta come un sapere dinamico, in continuo miglioramento e perfezionamento, in grado di poter rimuovere le malattie e di potenziare le funzioni biologiche dell’organismo umano e non umano. La prima tappa importante è stata compiuta nel 1953 con l’individuazione della struttura a doppia elica del DNA; di lì a poco sono stati conseguiti altri risultati importanti e adoperate nuove tecniche capaci di controllare e gestire i processi di inizio e fine vita e di prevenire e

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controllare malattie geneticamente trasmissibili. Secondo Toulmin la medicina ha salvato la vita all’etica in quanto ha riacceso l’interesse dei filosofi per lo studio di criteri oggettivi della moralità. In primo luogo il grande potere della medicina ha sollecitato gli eticisti a riflettere sulla liceità morale della sperimentazione medica e sul controllo dei processi biologici umani. In secondo luogo la medicina ha permesso di cercare di reintrodurre criteri oggettivi del bene e del male e ha favorito il ritorno del ragionamento pratico sui problemi morali: l’etica e la medicina, sono entrambi, a suo avviso, gli esempi primari in cui si applica il ragionamento pratico per la risoluzione dei problemi. In terzo luogo la medicina tecnologica ha conferito nuove responsabilità e nuovi doveri alla professione medica e ha cambiato la relazione tra il medico e il paziente.

Negli ultimi decenni la biologia e la medicina hanno compiuto progressi grandiosi e contemporaneamente hanno posto quesiti morali senza precedenti relativi non solo alla pratica medica, alla genetica, alla sperimentazione clinica, ma anche alla vita dell’ecosistema e ai problemi di gestione e di tutela delle specie non umane. Proprio in questo contesto di grandi cambiamenti è nata la Bioetica. La Bioetica si è distinta per lo studio sistematico

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dei complessi problemi morali legati agli sviluppi delle scienze della vita. Pensiamo ad esempio alle innovazioni introdotte dalle tecnologie riproduttive, le quali hanno messo in crisi i “dogmi” dell’etica tradizionale.

L’esigenza di ridefinire concetti centrali dell’etica come vita, esistenza, persona, ha preso forma all’interno di un processo che ha visto la Bioetica impegnata a promuovere una riflessione interdisciplinare sulle implicazioni intellettuali e normative delle scienze biologiche. I nuovi mezzi di intervento sul vivente hanno profondamente mutato le circostanze in cui tradizionalmente si collocavano le azioni concernenti la nascita, la salute, la vita, la morte. Il grande processo tecnologico ha mutato la “natura” stessa dell’agire umano. Ciò ha determinato l’esigenza della ridescrizione dei comportamenti morali e la rivisitazione delle categorie etiche tradizionali.

Il progresso tecnologico ha posto una complessità di interrogativi- relativi ad esempio alla liceità delle fecondazione artificiale, all’impiego delle biotecnologie e ai limiti della sperimentazione che necessitavano di risposte soddisfacenti: la Bioetica è riuscita e riesce a svolgere questo duro compito. La Bioetica è, inoltre, un campo di riflessione nel quale si

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confrontano molteplici prospettive teoriche, normative e metodologiche. Essa rappresenta una sfida per le teorie morali normative e ha contribuito a far sorgere riflessioni innovative per far fronte ai nuovi dilemmi etici posti dalla medicina tecnologica. L’obiettivo della mia ricerca è stato incentrato sul tentativo di definire la “natura” della Bioetica, le teorie etiche a confronto e di comprendere quale sia il metodo di indagine che essa debba adottare per lo studio e la risoluzione dei problemi morali sollevati dal progresso tecnologico.

Il presente lavoro è suddiviso in tre capitoli.

Nel primo capitolo è stata analizzata la crisi della riflessione morale che ha portato all’abbandono della metaetica e alla nascita dell’etica applicata. L’irruzione dell’etica applicata negli anni Sessanta e Settanta del XX secolo rifletteva l’esigenza di una nuova riflessione morale che fosse in grado di formulare risposte adeguate e soddisfacenti ai nuovi e importanti cambiamenti che avevano interessato l’ambito politico, culturale e sociale di quegli anni. In particolare, gli anni Sessanta sono stati caratterizzati da un forte clima di contestazione contro il razzismo e l’autoritarismo di tutte le istituzioni portanti della società. Proprio in questo contesto storico nasceva la Bioetica.

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Nel secondo capitolo sono state analizzate le strutture delle più importanti teorie etiche che hanno animato il dibattito in Bioetica e hanno fornito argomenti coerenti e convincenti a proposito dei quesiti bioetici più importanti. Ho analizzato l’etica dei principi di Beauchamp e Childress, l’etica della virtù di Pellegrino e Thomasma, la bioetica personalista di monsignor Elio Sgreccia, il proceduralismo di Engelhardt e infine il modello neocasistico di Jonsen e Toulmin.

Il terzo capitolo è incentrato sull’analisi critica delle teorie etiche analizzate nel secondo capitolo, al fine di mostrare quelle che a mio parere sono alcuni dei limiti e problemi irrisolti di tali teorie. Infine, la parte conclusiva è stata dedicata all’individuazione e alla definizione del metodo di indagine che mi sembra più plausibile adottare in Bioetica. Si tratta della prospettiva sostenuta da Jonsen e Toulmin, i quali hanno rivalutato la casistica come metodo di indagine “oggettivo” e idoneo per la risoluzione dei problemi morali suscitati dal progresso tecnologico all’interno della medicina e delle scienze della vita. La parte conclusiva del mio lavoro consiste nel mostrare la validità del metodo casistico in ambito biomedico senza trascurare il ricorso ai principi morali come indicati da

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Beauchamp e Childress, il principio di autonomia, di beneficenza, di non maleficenza e di giustizia, in quanto ritengo che i principi prima facie abbiano il compito di orientare comunque l’indagine e la riflessione della Bioetica senza pretendere di pervenire a definizioni assolute e inconfutabili.

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Capitolo primo

La Bioetica:

storia, definizioni, temi

Dalla metaetica all’etica applicata

All’inizio del ventesimo secolo la problematica dominante dell’etica è di rendere conto della vita morale, in modo da assegnare a questo tipo di riflessione una netta autonomia e distinzione rispetto al piano della conoscenza empirica e scientifica.

L’etica è così indirizzata a definire l’insieme delle riflessioni sul significato delle distinzioni tra i valori, sui differenti modi di fondarle o argomentare su di esse, sulla natura del giudizio morale e sulla sua differenza dal giudizio estetico o di gusto ecc. Nel 1903 il filosofo britannico G. E. Moore pubblica i Principia

Ethica, in cui chiarisce che il problema centrale dell’etica è di

fornire una definizione delle principali nozioni che ricorrono nei nostri discorsi morali, ovvero le nozioni di buono, giusto,

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obbligatorio, dovere, ecc., tutte riconducibili, in modo più o meno diretto, alla nozione primaria e fondamentale di buono. Secondo Moore, tutte le meta-etiche del passato, in quanto non hanno riconosciuto l’indefinibilità e l’irriducibilità delle proprietà etiche, hanno compiuto l’errore logico chiamato “fallacia naturalistica”, consistente nel ridurre ciò che non è naturale al naturale.

Metaetica è un termine coniato dal filosofo neopositivista A. J. Ayer nel 1949 e indica un nuovo tipo di approccio alla filosofia morale che si caratterizza, come detto, per l’analisi del ragionamento morale e del significato dei termini etici.

I filosofi si sono sempre interessati al ragionamento e al linguaggio morale: tuttavia, nella prima metà dell’ 900 sentivano con particolare urgenza il bisogno e la necessità concettuale di distinguere le questioni etiche da quelle analizzate dall’etica normativa.

L’etica normativa, infatti, si occupa della formulazione di giudizi morali concreti.1 La metaetica, invece, analizza il linguaggio, i concetti e il metodo di argomentazione dell’etica.

1 P. DeMarco, R. M. Fox, The challenge of applied ethics, nel volume da loro curato New directions in ethics, Routledge & Kegan Paul, New York, 1986, pp. 9-10.

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Nel 1961 Ayer pubblica l’opera Linguaggio, verità e logica, nella quale propone una distinzione tra asserzioni empiriche ed etiche: egli sostiene che solo le proposizioni empiricamente verificabili hanno significato, mentre le nozioni di buono, giusto e dovere, non essendo verificabili in termini empirici, sono prive di senso. Inoltre, egli sostiene che i termini morali hanno il compito di esprimere le emozioni di chi parla e di suscitare le emozioni in chi ascolta2. I termini etici sono, dunque, pseudo concetti e le affermazioni etiche non sono né vere, né false.

Non deve sorprenderci che in questo secolo il lavoro dei filosofi si sia concentrato molto su come fondare teorie etiche valide, piuttosto che considerare la loro applicazione ai fatti concreti. Tutto questo è stato determinato dall’attenzione che i filosofi analitici hanno riposto sulla metaetica, trascurando i problemi sostantivi.

Intorno al 1960 si assiste a una nuova svolta determinata da importanti cambiamenti nell’ambito della storia politica, culturale e sociale che hanno toccato l’intero spettro delle azioni umane: nasce un nuovo interesse per l’etica normativa. Al centro del dibattito pubblico vi era l’intervento degli Stati Uniti nella

2

A. J. Ayer, Linguaggio, verità e logica (1961), tr. it. di G. De Toni, Feltrinelli, Milano 1961, pp. 134- 139.

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guerra del sud-est asiatico e il suo potere imperialistico. Inoltre gli anni Sessanta hanno conosciuto un profondo cambiamento nell’ambito della politica interna, in quanto è stata riposta una particolare attenzione agli individui discriminati nella vita politica e sociale: la discriminazione era rivolta verso i soggetti più deboli della società come le donne, gli anziani e le persone di diversa nazionalità.

Il dibattito etico divenne più acceso alla fine degli anni Sessanta: si discuteva della liceità morale dell’aborto e dei grandi cambiamenti della rivoluzione tecnologica in ambito medico e scientifico.

I filosofi, soprattutto quelli della nuova generazione, compresero che la metaetica non era in grado di garantire una soluzione concreta a questi importanti dilemmi etici. Essi sostenevano che la riflessione etica non consisteva nella conoscenza della natura della morale e delle forme di ragionamento in essa valide, ma principalmente nella ricerca di soluzioni normative ai problemi concreti di quegli anni. I filosofi hanno così formulato, sotto l’influenza della filosofia tradizionale, nuove teorie etiche sostantive. Alcune di queste filosofie hanno risentito dell’influenza della filosofia kantiana e hanno sostenuto che le

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regole morali possono essere stabilite sulla base della loro applicabilità universale e sul rispetto delle persone. Gli utilitaristi contemporanei hanno invece sostenuto che un'azione è giusta o ingiusta in base al valore delle conseguenze; mentre i tomisti hanno sostenuto che la giustizia delle azioni è determinata dal valore delle conseguenze sulla base delle intenzioni.

Le teorie etiche elaborate negli anni Ottanta di questo secolo sono state caratterizzate da uno sforzo di approfondimento analitico molto più marcato, con la pretesa di realizzare un’elaborazione coerente sistematica e un’argomentazione persuasiva di ampio respiro. Le nozioni che la tradizione etica precedente trovava del tutto comprensibili, ora vengono sottoposte ad analisi dettagliate.

I nuovi contributi dell’etica contemporanea vengono offerti da una dettagliata tassonomia, dovuta in particolare agli utilitaristi, delle diverse forme di preferenza, o da una classificazione delle principali differenze tra bisogni e interessi (argomento che si trova principalmente negli scritti dei neo-contrattualisti e dei teorici dei diritti). Lo sforzo odierno della riflessione morale punta, in primo luogo, a mettere a punto teorie che possono pretendere la massima completezza possibile. In questo senso

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l’etica teorica si muove prendendo a modello le teorie scientifiche in generale e dunque mirando a elaborare discorsi sempre più sistematici e completi. Inoltre, i sistemi normativi si caratterizzano per lo sforzo di argomentare in modo persuasivo e convincente a favore della posizione fatta valere.

“Un buon filosofo dovrebbe portare con sé un insieme di strumenti: un occhio fine per vedere la validità logica degli argomenti e un orecchio sintonizzato per cogliere le sottili differenze nel significato e nell’uso dei termini”.3

La vita dell’etica si presenta, dunque, come una sorta di palcoscenico, nel quale si esibiscono i talentuosi attori delle diverse scuole di pensiero etico: ognuno di essi recita a memoria il codice di regole morali differenti- a cui hanno giurato fedeltà e a cui credono fermamente- per convertire il pubblico colto.

Le diverse etiche si presentano, infatti, come discorsi sistematici e razionalmente giustificati nel modo più compiuto, sviluppati per convincere gli interlocutori nella discussione pubblica a proposito della preferibilità delle opzioni normative proposte.4

3

A. R. Jonsen, Theological Ethics, Moral Philosophy, an Public Moral Discourse, In “Kennedy Institute of Ethics Journal”, Vol. 4, N0. 1, march 1994, pp. 1-11.

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L’irruzione dell’etica applicata

Il XX secolo rappresenta il secolo contrassegnato da rivoluzioni sociali, da due grandi guerre mondiali, dalla globalizzazione e dalle grandi scoperte scientifiche e tecnologiche. In particolare l’impiego della tecnica rappresenta un importante supporto che permette il progredire in molti campi del sapere e il suo continuo ulteriore avanzamento ha avuto, e continua ad avere, importanti benefici per la nostra vita, rendendola decisamente più comoda. Tuttavia, essa possiede un grande potere: la tecnica è in grado di modificare del tutto, se non di distruggere, il mondo in cui viviamo.5

I filosofi di questo periodo si sono interrogati sul ruolo dell’etica nell’affrontare e risolvere le problematiche poste da questi grandi cambiamenti culturali. Essi si sono resi conto che il compito dell’etica non si esaurisce solo in una riflessione filosofica astratta. Essi hanno compreso che l’etica ha uno stretto collegamento con i problemi pratici effettivi degli esseri umani: è impensabile un’etica che non nasca dai problemi effettivamente presenti nella condotta umana, che non si confronti con le

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condizioni reali dell’azione umana e non risulti in qualche modo fertile per l’esperienza morale concreta6. Essi hanno contestato non solo le teorie etiche che si limitavano alle analisi meta-etiche, ma anche le stesse teorie impegnate nella presentazione di grandi sistemi normativi. Questi sistemi sono stati criticati per la loro astrattezza e la loro irrilevanza per i problemi pratici effettivi. Ad esempio, nella cultura americana l'irrilevanza dei diversi sistemi normativi proposti è stata denunciata da tutti quei critici che, di volta in volta, sottolineavano come quei sistemi fossero del tutto incapaci di suggerire indicazioni concrete in grado di aiutare a risolvere problemi urgenti. Dai grandi sistemi normativi nessun aiuto poteva venire, ad esempio, a quei giovani che negli anni Settanta si chiedevano che fare nei confronti della coscrizione militare obbligatoria che, se accettata, costringeva a prendere parte a una guerra considerata sempre più inutile e ingiusta come quella del Vietnam7.

Il compito dei filosofi, adesso, si concentra sulla necessità di proporre una nuova riflessione etica che nasce, soprattutto, dall’incapacità della riflessione filosofica tradizionale di affrontare e dire qualcosa di pertinente sui nuovi problemi

6

E. Lecaldano, Etica, p. 1.

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morali. Tutto questo ha determinato l’acceso interesse per un’etica che si occupi in primo luogo delle situazioni che hanno fatto sorgere problemi morali mai affrontati dagli esseri umani e che hanno messo di fronte ad alternative non previste da principi e da regole tradizionali. Si pensi, ad esempio, alle nuove modalità del nascere, del morire e del curarsi8. Consideriamo, ad esempio, tutte le questioni etiche sollevate dalla fecondazione artificiale nelle sue diverse forme: l'omologa ovvero con gameti provenienti da una coppia legata stabilmente; l'eterologa ovvero con gameti provenienti da persone estranee alla coppia; quella che coinvolge una donna sola; quella che permette un'attività riproduttiva a una donna in età avanzata oltre il periodo della fertilità; quella che implica una qualche forma di maternità surrogata o di sostituzione ecc. Un’altra importante questione che ha sollevato laceranti problemi morali è legata all'uso nei reparti di terapia intensiva di strumenti vicarianti le funzioni essenziali della respirazione, alimentazione e idratazione: dunque le questioni dell'accanimento terapeutico, del come e quando lasciar morire, del suicidio assistito e dell’eutanasia. Infine, numerose sono le questioni etiche legate a certe nuove tecnologie, quali il ricorso ai

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trapianti, alla diagnostica prenatale, ecc. La sperimentazione nel campo della biologia e le nuove frontiere della ricerca hanno suscitato problemi non meno controversi collegati alle ricerche sul DNA, all'ingegneria genetica, all'accresciuta conoscenza dello sviluppo embrionale e alla possibilità di realizzare in laboratorio le prime fasi di questo sviluppo con eventuali conseguenti sperimentazioni.

Tutti questi diversi problemi sono sorti in un contesto storico e sociale che ha segnato la trasformazione della relazione tra medico e paziente e il diffondersi di movimenti tesi a fare valere i diritti del malato9. Nel 1973 “l’American Hospital Association” ha approvato “la Carta dei diritti del paziente” (“Patient’s Bill of Rights”). In questo documento viene rivendicato il diritto del paziente ad essere informato e ad essere partecipe delle decisioni terapeutiche che lo riguardano. Una rivendicazione importante che comporta il riconoscimento della volontà del paziente e il rispetto della sua autonomia decisionale.

Vita umana, persona umana, sanità, malattia, benessere, diritti dei malati, dignità della morte, doveri dei medici, sono solo alcune delle nozioni che ora vengono sottoposte a riesame

9

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radicale dalla riflessione bioetica. Per affrontare questi grandi cambiamenti, l’etica filosofica ha affrontato una nuova sfida: quella di fornire quadri teorici che possano risolvere problemi pratici concreti10. Questa sfida dell’etica è stata posta da pensatori provenienti da diversi ambienti (non soltanto filosofici) i quali sono impegnati nello studio e nell’insegnamento dell’etica in medicina, in giurisprudenza, in economia e in ambito politico. Tali interessi riflettono la crescente consapevolezza dei molti problemi di carattere morale, sociale e politico che assediano il mondo: le guerre, le persecuzioni, la povertà, l’ingiustizia sociale e la disuguaglianza.

In opposizione alle credenze tradizionali, una nuova morale sembra essere emersa come risultato di una riflessione filosofica che si confronta con i grandi cambiamenti che riguardano ad esempio il sesso e i movimenti sorti per la rivendicazione dei diritti. Un nuovo orientamento etico è, dunque, nato nel corso degli anni Settanta del XX secolo ed è emerso dai nuovi problemi creati dai cambiamenti scientifici e tecnologici, inclusi i molti problemi di bioetica inerenti gli argomenti di inizio e fine vita. A

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questa dimensione dell’etica è stata data il nome di “’etica applicata”.

Secondo De Marco e Fox « nel corso della guerra del Vietnam e subito dopo di essa, si costituì un movimento del tutto autonomo, interessato all’etica applicata. La filosofia applicata è impegnata a chiarificare le questioni e a determinare come i principi generali possano essere applicati ai casi concreti, laddove l’etica sostantiva tradizionale era principalmente impegnata nel difendere principi generali. Alcune delle questioni di filosofia applicata furono di fatto sollevate dalla generazione e dagli studenti manifestanti, che negli anni Settanta avanzavano l’esigenza della “rilevanza” per l’istruzione superiore sulla pace, sulle questioni ambientali e sulla giustizia sociale. Anche i problemi di etica medica e di etica delle professioni cominciarono a ottenere un’attenzione sempre più diffusa al di fuori dell’università, e come risultato un numero sempre maggiore di filosofi cominciarono a rivolgersi a tali questioni11.» L’etica applicata si pone in contrasto con la sterilità dei grandi sistemi normativi, accusati di essere incapaci di influire sulle decisioni pratiche perché i principi che enunciavano erano

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troppo astratti. La risoluzione dei problemi della vita pratica si riduceva perlopiù a una mera faccenda di saper dedurre la soluzione giusta per il singolo caso dal principio generale.

La riflessione etica guadagna concretezza attraverso un confronto più ravvicinato con l’esperienza reso possibile dal fiorire di numerosi settori dell’etica applicata che, tra l’altro, spesso coinvolgono competenze non esclusivamente filosofiche, ma interdisciplinari: esse comprendono la medicina, la biologia, il diritto e le diverse tecnologie scientifiche dal cui uso derivano inedite questioni etiche12.

L’irruzione dell’etica applicata ha comportato, inoltre, l’emergere di nuovi settori, che in questi ultimi anni si sono andati consolidando fino a pretendere un vero e proprio riconoscimento istituzionale. Una serie di azioni e pratiche umane che risultavano neutre dal punto di vista etico, o che comunque erano affidate quasi integralmente a processi naturali e biologici, e dunque considerate al di là delle decisioni responsabili, sono entrate a far parte dell’universo di eventi influenzati dai diversi criteri per discriminare tra scelte giuste e ingiuste13. Si tratta dei

12 Ibidem.

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problemi morali sollevati dalle nuove modalità del nascere, del morire e del curarsi. Si discuteva, ad esempio della liceità morale delle nuove tecnologie in grado di controllare e di assicurare il concepimento anche nei casi di sterilità. Queste tecniche possono risultare utili non solo ai fini del superamento della sterilità della coppia, ma anche ai fini della diagnosi e della cura delle malattie dell’embrione. Esse hanno, tuttavia, come conseguenza lo sconvolgimento dell’immagine “naturale” e tradizionale della maternità e della famiglia e la dissociazione fra atto sessuale e atto procreativo (tale dissociazione va contro il fine “naturale” dell’atto sessuale, ovvero la procreazione). Inoltre, l’impiego dei trattamenti salvavita, i quali svolgono le funzioni vicarianti delle funzioni essenziali della respirazione, dell’alimentazione e dell’idratazione, ha determinato il sorgere di nuovi dilemmi etici legati alla sospensione o al rifiuto di tali trattamenti e ha determinato una nuova definizione di morte. Infine, il progresso scientifico e tecnologico ha cambiato il rapporto tra l’uomo e la natura. L’impiego di strumenti tecnici sempre più avanzati e raffinati ha permesso all’uomo di intervenire e controllare la natura, interferendo e alterando il corso dei processi naturali. Il progresso tecnico ha reso possibile

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la realizzazione di vantaggi immediati che si sono diffusi su tutto il globo, trascurando il fatto che i suoi effetti cumulativi e irreversibili si sono estesi e si estendono su innumerevoli generazioni future: inquinamento, cambiamenti climatici, effetto serra, riscaldamento globale, specie in via d’estinzione e danni permanenti sulla specie umana. L’uomo è divenuto un attore ecologico le cui azioni si caricano di responsabilità.

Tra i disastri ambientali si devono ricordare l’incidente di Chernobyl (1986) e il caso Seveso (1976). Questi due casi illustrano l’esito catastrofico di certi usi della tecnologia avanzata, ma anche l’intreccio tra omertà, incompetenza e trascuratezza14 nella gestione delle politiche ambientali.

Alla luce di questi eventi è nata nei Paesi di lingua anglosassone, nel corso degli anni Settanta, l”etica ambientale”. Si tratta di una riflessione etica finalizzata a ricercare e a stabilire regole e principi normativi. L’osservazione e il rispetto di tali principi hanno come fine fondamentale la cura e la salvaguardia dell’ambiente.

14

G. O. Longo, Aspetti etici del rischio tecnologico, in Scienza, tecnologia e valori morali. Quale futuro?, a cura di P. Barrotta, G. O. Longo, M. Negrotta, Armando Editore, Roma 2011, p 55.

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L’impiego di una riflessione etica che abbandona il piano delle concezioni astratte è venuto così a caratterizzare sempre più gli anni Ottanta del XX secolo.

Che cos'è la Bioetica?

Sono state proposte diverse definizioni di Bioetica. Una definizione abbastanza recepita è quella fornita da Warren T. Reich, il quale definisce la Bioetica nell'introduzione all'”Encyclopedia of Bioethics” come “lo studio sistematico della condotta umana nell'ambito delle scienze della vita e della cura della salute, in quanto tale condotta sia esaminata alla luce di valori e principi morali”15. Altri, invece, concepiscono la Bioetica come una sorta di ramo o sottosezione dell'etica, vertente sul nascere, curarsi e morire degli esseri umani, ovvero sui problemi normativi sollevati da questioni come l'aborto, l'eutanasia, l'accanimento terapeutico, il trapianto degli organi, la fecondazione assistita, il trattamento degli embrioni, la manipolazione genetica, ecc. Il dibattito epistemologico sulla natura della Bioetica è ancora molto acceso; probabilmente ciò è

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dovuto al fatto che il dibattito sulla Bioetica, almeno nelle sue manifestazioni, è animato dallo scontro tra due fazioni: la Bioetica “religiosa” e quella “laica”. Giovanni Fornero, in Bioetica

laica e bioetica cattolica,16 analizza le differenze concettuali tra le due. Egli chiarisce che la bioetica cattolica rappresenta la forma di bioetica professata pubblicamente dalla Chiesa di Roma e dagli studiosi che ne condividono le posizioni di fondo. Egli sostiene che la bioetica cattolica è la più autorevole fra le altre forme di bioetica religiosa in quanto essa ha avuto ed ha maggiori riflessi pratici e politici nella sfera pubblica17. La bioetica cattolica si richiama a una posizione antropologica-filosofica ben precisa, che si esprime attraverso documenti di riferimento ufficiali, quali sono gli atti del Magistero della Chiesa di Roma, in primo luogo le encicliche papali. Si tratta di una bioetica basata sul personalismo, ossia una filosofia che ammette e considera i valori morali basandoli sulla realtà metafisica della persona. La bioetica cattolica fa riferimento, inoltre, al principio

16 G. Fornero, Bioetica cattolica e bioetica laica, Bruno Mondadori, Milano 2009. 17

La Bioetica di matrice religiosa si specifica in una molteplicità di bioetiche corrispondenti, grosso modo, a quanto sono le grandi religioni del mondo (ebraismo, cristianesimo, islamismo, induismo e buddhismo). Secondo lo studio compiuto da Giovanni Fornero, in Occidente le bioetiche di matrice religiosa fanno riferimento alla fede ebraica e alle diverse forme di cristianesimo quali la Chiesa Cattolica e le varie Chiese riformate e ortodosse. Fornero mette in evidenza che il pluralismo religioso fa sì che la bioetica cattolica romana non possa essere identificata come la bioetica religiosa per eccellenza, ma rappresenti una delle molteplici bioetiche di matrice religiosa.

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della sacralità della vita. Tale etica si radica innanzitutto sulla concezione della vita come “splendido dono di Dio”, appunto sacro e indisponibile. È utile specificare che la bioetica cattolica della sacralità della vita intende, in primo luogo, sacra solo la vita umana in virtù della sua origine divina, la quale conferisce all’uomo l’essenza e l’esistenza. Secondo tale concezione tutte le vite umane, a prescindere dalle condizioni estrinseche nelle quali possono essere condotte, risultano dotate dello stesso valore intoccabile. La vita non ammette gradazioni di importanza o differenze tra gli esseri umani, nemmeno quando malattie altamente invalidanti o condizioni estreme di disagio psichico o fisico la rendono particolarmente difficile e precaria. In secondo luogo la teoria della sacralità della vita sostiene che la vita umana, essendo dono e proprietà del Creatore, risulta per principio sottratta alle scelte individuali ovvero alla capacità di disporne arbitrariamente. Infine, la teoria della sacralità della vita sostiene e difende il principio dell’assoluta inviolabilità della vita umana.

Come è stato detto sopra, il paradigma cattolico in bioetica si richiama ad un preciso modello antropologico: si tratta del “personalismo ontologicamente fondato”. Il personalismo

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ontologico riconosce lo statuto oggettivo ed esistenziale (ontologico) della persona. Inoltre, sostiene la necessità di conformare l’attività umana all’”ordine naturale”, frutto anch’esso della creazione divina. L’esigenza di un piano divino si traduce nell’esigenza di conformare comportamenti e decisioni a quello che è il naturale corso della vita. La legge morale naturale esprime e prescrive le finalità, i diritti e di doveri che si fondano sulla natura corporale e spirituale della persona umana. Pertanto essa deve essere definita come l’ordine razionale secondo il quale l’uomo è chiamato dal Creatore a dirigere e a regolare la sua vita e i suoi atti18.

La bioetica laica19, invece, si configura come una bioetica della “qualità della vita” (quality of Life). Il valore centrale che l’etica della qualità della vita persegue non è la vita di per se stessa, ma la vita degna di essere vissuta. Ciò significa che il vivere non è un bene che possa prescindere dalle sue condizioni di esercizio:

18

G. Fornero, Bioetica cattolica e bioetica laica, Bruno Mondadori, Milano 2009, p. 41. 19 Originariamente il termine laico, derivante dal greco laikos dalla radice laos, cioè popolo, indicava chi, pur professando un dato culto, non apparteneva alla gerarchia istituzionale del culto stesso. Inoltre, a questo primo significato se ne possono aggiungere altri, tendenti per lo più a sottolineare la distanza tra il clero e lo Stato. Un significato ancora più esteso del termine laico tende a reclamare l’indipendenza rispetto a qualsiasi atteggiamento dogmatico acritico e ideologicamente uniformante. Secondo Uberto Scarpelli il termine laico non deve essere inteso come negatore dell’esistenza di Dio, ma piuttosto indica colui che ragiona fuori dall’ipotesi di Dio, accettando i limiti invalicabili dell’esistenza e della conoscenza umana (Cfr. U. Scarpelli, Bioetica laica, Baldini&Castoldi, Mialno 1998, p. 220). Qui intenderemo il significato del termine laico proprio secondo quest’ultima accezione, ossia privilegiando il significato antidogmatico che il termine assume e che si rispecchia in un atteggiamento critico privo di pregiudizi e richiami a dogmi assoluti.

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necessita di una serie di criteri, più o meno discutibili e accettati, che servono a determinare quando la propria vita sia un bene, che vale la pena proteggere e difendere, e quando non lo sia o non lo sia più.

È importante precisare che la bioetica laica non vuole essere una bioetica “antireligiosa”, ma semplicemente “a-religiosa”, ossia la bioetica laica deve essere intesa come un campo di indagine e di riflessione morale che non fa riferimento a premesse metafisiche o religiose, le quali pretendono di avere validità universale. La bioetica laica della qualità della vita fa riferimento a un paradigma teorico che si caratterizza per la ferma convinzione che sia possibile disporre autonomamente del proprio corpo e della propria vita, ovvero che sia nella facoltà e sotto la responsabilità degli esseri umani prendere decisioni in merito all’inizio e alla fine della propria esistenza20.

Fornero sostiene che il metodo di indagine adottato dalla bioetica laica si distingue radicalmente da quello adottato dalla bioetica cattolica in quanto non fa riferimento ad alcuna ipotesi metafisica: si tratta della formula “etsi Deus non daretur”, come se Dio non esistesse. Ciò implica che la Bioetica laica fa a meno

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di qualsiasi riferimento a dogmi e verità assolute e rifiuta l’idea di una presenza di un piano divino sul mondo che renderebbe inevitabili alcune scelte morali piuttosto che altre in quanto conformi al progetto di Dio e, per questo, necessariamente giuste e apprezzabili21.

I sostenitori della bioetica laica sostengono che la morale sia una creazione umana e che i suoi schemi e principi possono essere modificati per meglio adattarsi alla situazione concreta in cui l’individuo si trova ad agire. Secondo la prospettiva dei bioeticisti laici, le norme etiche sono dunque frutto del ragionare umano, del suo quotidiano confrontarsi con contesti impegnativi e sempre diversi, e dell’autonomia decisionale del soggetto agente nello scegliere il retto comportamento. Infine, come ha mostrato Fornero, la bioetica laica privilegia l’autodeterminazione, cioè la capacità dell’individuo di decidere da sé quale stile di vita scegliere. Tuttavia, la libertà, l’autonomia e la responsabilità dell’individuo non devono essere considerate garanzia di

21

Ritengo necessario fare una precisione in merito al metodo di indagine adottato dalla bioetica laica. Ragionare “come se Dio non esistesse” non significa affatto eliminare totalmente la dimensione religiosa o metafisica come alcuni critici sostengono. Non si tratta dunque di un atteggiamento anti-religioso, ma di una prospettiva etica separata dalla dimensione della fede. Dunque, secondo i sostenitori della bioetica laica ritenere che le decisioni assunte in campo etico siano conformi al volere di Dio e dunque giuste per così dire a priori significa giustificare acriticamente atteggiamenti morali e de-responsabilizzare chi li compie, promuovendo un comportamento inconsapevole e privo di sostanza che si rivela del tutto dannoso per la società di stampo pluralista come la nostra.

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giustizia e bontà, ma solo una condizione per l’esercizio della moralità22.

Secondo Fornero, non esiste un’antitesi netta tra la bioetica religiosa e la bioetica laica, bensì una specifica contrapposizione tra la bioetica cattolica romana della sacralità della vita (umana) e la bioetica laica della qualità della vita. La bioetica laica non si contrappone, a parere dello studioso, genericamente alla bioetica religiosa in tutte le sua manifestazioni, ma solo a determinate forme di essa, in particolare alla bioetica cattolica di indirizzo personalista e ontologico. Inoltre, secondo Fornero, questa contrapposizione rappresenta soltanto il caso particolare di una contrapposizione più ampia fra coloro (credenti o laici) che ammettono il potere degli individui di disporre della propria vita e coloro che, in nome di peculiari dottrine religiose o filosofiche, negano tale possibilità, affermando che la vita umana è sacra in ogni circostanza23. La struttura dicotomica che caratterizza la bioetica odierna, secondo Fornero, tende ad assumere la forma di una contrapposizione fra etiche della vita ed etica della scelta,

22

Il principio di autonomia svolge un ruolo importante in ambito biomedico, in particolare all’interno della relazione tra il medico e il paziente, in favore di una maggiore partecipazione del paziente nel momento della scelta della cura e della terapia medica. La conoscenza reale della propria patologia e un quadro chiaro delle conseguenze di terapie e farmaci è condizione necessaria affinché il paziente possa trovarsi a disporre della propria salute e del proprio corpo in piena coscienza, decidendo autonomamente e in libertà se e come affrontare la malattia restando fedele alla propria visione della vita.

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cioè di un’antitesi fra coloro che privilegiano il valore della vita (pro life) e coloro che privilegiano il valore della scelta (pro

choise).

Il problema non è quindi la Bioetica in se stessa, ma gli indirizzi, gli orizzonti, le correnti di pensiero24. Interrogarsi sulla natura e sull'identità della Bioetica significa forse chiarire il significato di tale termine ritornando all'idea formulata dal suo fondatore, Van Rensselaer Potter. Egli sosteneva che la “Bioetica è un’urgente e necessaria sapienza atta a provvedere all'indagine di come usare il pensiero per una più responsabile presenza dell'uomo nella promozione della qualità della sua vita25.

L'origine della Bioetica nel clima culturale degli anni '60

L'origine della Bioetica ha inizio, come detto, nel clima di contestazione tipico degli anni '60 del ventesimo secolo. Tali contestazioni si manifestarono negli Stati Uniti e presero come bersaglio una certa organizzazione della società, che tollerava la segregazione razziale e il razzismo, negando i diritti di libertà e

24

G. Russo, Storia della Bioetica. Le origini, il significato, le istituzioni, Armando Editore, Roma 1995, p. 11.

25

V. R. Potter, The Science of Survival, in “Perspectives in Biology and Medicine”, Vol. 14, 1970, pp. 127-153. Biocybernetics and survival, in “Zygon, Journal of Religion and Sciences”, Vol. 5, 1970, pp. 229-246.

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di uguaglianza formalmente garantiti dalla costituzione. Alla contestazione contro il razzismo fece seguito la rivolta antiautoritaria nei confronti di tutte le istituzioni portanti della società: la famiglia, la scuola, l'università, la magistratura, la Chiesa, l'esercito, ecc. Inoltre, uno dei bersagli privilegiati della contestazione fu la guerra in Vietnam, una guerra considerata da molti ingiusta, imperialista e crudele. Ben presto la contestazione contro la guerra in Vietnam incendiò le università degli Stati Uniti e dell'Europa. La nascita del movimento femminista, inoltre, mise in discussione la struttura tradizionale della famiglia e l'autorità del padre. In seguito, la libertà iniziò a essere rivendicata anche sul piano sessuale. L'introduzione e la diffusione della pillola anticoncezionale portò al controllo della procreazione, alla sua separazione dalla sessualità e alla scoperta della dimensione ludica del sesso. In questo processo di liberazione della sessualità, i movimenti di protesta non si limitarono a mettere in discussione l'idea tradizionale della famiglia, ma misero in discussione anche i valori “borghesi” che essa veicolava, quali la fedeltà, la verginità e il matrimonio.

In questo clima generale di contestazione del potere e dell'autorità non poteva mancare una contestazione del potere e

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dell'autorità medica, in nome di un diritto dei pazienti alla libertà nella scelta delle cure. L'etica medica tradizionale veniva, inoltre, contestata per il semplice fatto di essere “un'etica dei medici”, che non teneva conto dei pazienti e del loro ruolo nella relazione medico-paziente. In secondo luogo veniva contestato il principio cardine di tutta l'etica medica, il principio di beneficenza, secondo il quale il dovere del medico consiste nel garantire il bene del paziente, anche contro la sua volontà. Il medico tendeva a comportarsi come un padre nei confronti del figlio. Inoltre, aveva la facoltà di tenere nascosta o di rivelare solo parzialmente la verità attorno alla diagnosi o ai trattamenti che riteneva migliori per il paziente. Per questo motivo l'etica medica e il principio di beneficenza venivano accusati di “ paternalismo”26.

Gli anni '60 del ventesimo secolo, inoltre, sono stati animati da innumerevoli dibattiti pubblici e accademici interessati ad analizzare gli aspetti etici della “nuova biologia” (la biologia

26 F. Turoldo, Breve storia della bioetica, Lindau, Torino 2014, p.27.

La concezione paternalistica della beneficenza risale ai tempi dell'etica medica ippocratica. Secondo Ippocrate il medico aveva il compito di curare la malattia e concepiva il rapporto medico-paziente in modo asimmetrico, dove il medico era chiamato ad educare e il paziente ad apprendere. Si tratta di un rapporto strutturato sul modello padre-figlio. Il paternalismo medico fu messo in discussione soltanto tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta del XX secolo, quando si affermò l'idea che il punto di vista del paziente contasse tanto quanto quello del medico. Se il medico pretendeva di agire in nome del bene del paziente, il paziente a sua volta pretendeva di avere voce in capitolo nella definizione di questo bene. Il principio di beneficenza iniziava a perdere la sua supremazia a causa del riconoscimento del principio di autonomia del paziente.

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molecolare), dell'irruzione della medicina tecnologica e dell'abuso dei soggetti umani coinvolti nelle ricerche sperimentali. Durante il 1960 i teologi morali, i filosofi, gli scienziati e i medici si sono interrogati sul ruolo del progresso tecnologico sulla vita umana. Inoltre, questi anni sono stati animati da Conferenze e dibattiti incentrati su due eventi importanti. In primo luogo si è assistito a un aumento demografico senza precedenti determinato dalle innovazioni delle tecniche impiegate in agricoltura (questo evento è noto come “green revolution”) e dal successo della medicina con l'introduzione dell'uso di antibiotici, i quali hanno di gran lunga migliorato le aspettative di vita. In secondo luogo lo sviluppo e il progredire dell'ingegneria genetica ha reso possibile il controllo dell'eredità genetica umana a seguito della scoperta della struttura a doppia elica del DNA27. In questo contesto, furono

27 Nell'aprile del 1953 lo scienziato inglese Francis Harris Crick e il biologo molecolare statunitense James Dewey Watson proponevano nella rivista “ Nature” un articolo dal titolo “ Una struttura dell'acido desossiribonucleico”, nel quale spiegavano la struttura molecolare della doppia elica del DNA, costituita da acidi nucleici, e il suo significato nel meccanismo di trasferimento dell'informazione negli organismi viventi. Nella doppia elica, formata da due filamenti complementari del DNA è contenuta il fondamento della vita. Due mesi dopo la scoperta della struttura a doppia elica del DNA, esso è stato indicato come la molecola che detiene il “codice della vita” (Cfr. K. Davies, Il codice della vita, tr. it. di M. Bongiovanni, Mondadori 2001).

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istituiti due importanti centri di Bioetica: l'Hasting Center28 e il

Kennedy Institute29.

Breve storia della Bioetica

Circa la nascita della Bioetica come disciplina, o meglio come riflessione filosofica sulle questioni, sui presupposti e sui valori sorti in ambito medico e biologico, si contrappongono almeno due opinioni: l'opinione di coloro che la collocano tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta, e quella di coloro che la collocano negli anni immediatamente successivi

28 L'Hasting Center, ovvero l'Institute of Society, Ethics and the life sciences fu fondato nel 1969 nei pressi di New York, e può considerarsi il luogo dove venne posta la prima pietra nella costruzione della Bioetica. I due fondatori del Centro furono Daniel Callahan e Willard Gaylin. La finalità del Centro era la disamina delle implicazioni etiche, giuridiche e sociali nell'avanzamento delle scienze della vita. Inizialmente, infatti, il Centro intraprese un lavoro di fondazione dell'etica, esaminando come l'etica era condizionata dalla realtà sociale ed esplorando i suoi fondamenti teologici. Gli organizzatori dello Hasting Center erano convinti che le sfide della rivoluzione biologica andassero affrontate in una via sistematica, e che i rapidi avanzamenti delle scienze biologiche e mediche dovessero essere affrontati e risolti insieme a quelli etici. Inoltre, essi erano convinti che i problemi etici delle moderne biotecnologie richiedono per la loro soluzione una sforzo e un dialogo interdisciplinare tra i diversi settori del sapere, riunendo insieme scienze sperimentali e scienze umane.

29 Il Kennedy Institute è il luogo dove la Bioetica si enucleò come disciplina. André Hellegers, un embriologo di origine olandese, fu colui che per primo strutturò accademicamente la Bioetica come disciplina atta a designare l'area di indagine di un campo di ricerca e di pubblico interesse nelle scienze della vita. Il “Kennedy Institute” fu affidato a Leroy Walters, teologo protestante, che cercò fin dall'inizio di orientare accademicamente il centro con la Facoltà di Medicina e di Filosofia. Fu strutturato un master in Bioetica all'interno della Facoltà di Filosofia e, subito dopo, un corso di dottorato. Oltre queste attività didattiche, il “Kennedy Institute” ha svolto un prezioso ruolo didattico di iniziazione alla Bioetica di studiosi e di docenti di ogni parte del mondo. Tra i ricercatori che hanno più enucleato accademicamente la Bioetica si devono ricordare: il Dr. W.T. Reich, editore della prima opera di sintesi della Bioetica, cioè l'Encyclopedia of Bioethics (1978), Dr. L. Walters e Beauchamp. La persona che ha portato la Bioetica oltre oceano e che ha coordinato in maniera esemplare la direzione del Kennedy Institute dopo Hellegers, è il professore Edmund D. Pellegrino, medico, filosofo della medicina, ritenuto uno dei pionieri della Bioetica. Attualmente il Kennedy Institute è un centro accademico di notevole importanza.

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alla fine della Seconda guerra mondiale, in particolare gli anni in cui ebbe luogo il processo di Norimberga. Gli atroci esperimenti compiuti nei campi di concentramento dai medici nazisti e condannati a Norimberga hanno senz'altro avuto un ruolo significativo, nell'ambito della sperimentazione clinica sull'uomo, nel sottolineare la necessità di una giustificazione e legittimazione etica che poi la Bioetica ha esteso a tutti gli interventi in campo biologico sull'uomo e sugli esseri viventi (sugli animali e sull'ambiente). Tuttavia, la Bioetica, come noi oggi la intendiamo, ovvero come “lo studio sistematico della condotta umana nell'ambito delle scienze della vita e della salute”, è nata solo con l'emergere di alcune circostanze e condizioni di cui è difficile sostenere la presenza alla fine degli anni Quaranta. La storia della Bioetica, infatti, raggiunge la sua unità e la sua consistenza scientifica grazie a Potter, il suo fondatore. Prima di lui, la bioetica non esisteva né come termine né come disciplina. Il campo delle problematiche che oggi vengono affrontate dalla Bioetica unitariamente (come l'aborto, eutanasia, l'accanimento terapeutico, il trapianto degli organi, la fecondazione assistita, il trattamento degli embrioni, la manipolazione genetica, ecc.) veniva trattato distintamente da

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discipline diverse, come l'etica medica, la filosofia della medicina, la deontologia medica, la medicina legale, la teologia, la politica, la sociologia, ecc.

La storia della Bioetica inizia quando Potter conia il termine Bioetica, comparso per la prima volta in due suoi articoli30 pubblicati nel 1970 e in una famosa opera del 1971, Bioethics. A

Bridge to the Future, dove egli definisce la Bioetica come “lo

studio della moralità dei comportamenti umani nel campo della scienza della vita31.” Potter affermò la necessità di una nuova morale circa il futuro dell'uomo, basata sulla migliore conoscenza della biologia della specie32: la Bioetica così intesa doveva coniugare le scienze della vita (life sciences) con un'etica della vita in grado di fungere da “ scienza per la sopravvivenza” e garantire il benessere dell'uomo e di ogni specie vivente dall'irruzione della rivoluzione scientifica e tecnologica, definita come un vero e proprio “cancro” per la natura.

30

V. R. Potter, The Science of Survival, in “Perspectives in Biology and Medicine”, Vol. 14, 1970, pp. 127-153. Biocybernetics and survival, in” Zygon, Journal of Religion and Sciences”, Vol. 5, 1970, pp. 229-246.

31

Van Reusselaer Potter, Bioethics. A bridge to the future, Prentice-Hall, New York, 1971. 32

Potter ha riposto una particolare attenzione alla Bioetica al fine di analizzare e risolvere un problema urgente: il problema della sopravvivenza, in particolare la discutibile sopravvivenza della specie umana delle diverse nazioni e culture. Il suo obiettivo era di identificare e di promuovere un optimum cambiamento ambientale e un optimum adattamento umano all'interno dell'ambiente al fine di sostenere e migliorare il mondo civilizzato.

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Alcuni autori (come Reich) hanno sostenuto che, seppure la Bioetica inizia con Potter, un movimento interno alla cultura filosofica gli ha preparato la strada.

La Bioetica è, oggi, intesa come una disciplina che si occupa dei problemi etici sorti nel settore della medicina. Tale concezione differisce notevolmente dalla concezione e dalla definizione formulata da Potter. Come si è arrivati a una concezione della Bioetica focalizzata sui problemi etici sorti in medicina? La risposta sta nel fatto che è esistito un altro importante pioniere, il quale ha dato origine alla Bioetica che tutti noi conosciamo: si tratta di André Hellegers. Fu Hellegers, infatti, a introdurre il termine Bioetica nel mondo accademico, in quello delle scienze biomediche, nel governo e nei media. Fu lui, insieme con i suoi collaboratori, a fondare e a dirigere il primo istituto (1971) dedicato alla Bioetica, “ The Joseph and Rose Kennedy Institute for

the Study of Human Reproduction and Bioetichs” (con sede alla

Georgetown University). La Bioetica che si sviluppò al “Kennedy Institute” si distinse come campo di riflessione legata ai temi della medicina, della riproduzione, dell'ingegneria genetica, dell'eutanasia, dei trapianti, ecc.

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I due pionieri della Bioetica33 hanno formulato due concezioni differenti di tale disciplina. Tali concezioni risentivano dell'influenza dei differenti contesti intellettuali e professionali da cui provenivano i due autori: Potter era un oncologo, interessato alla ricerca sul cancro- terapia, prevenzione e cause ambientali del cancro, educazione sanitaria, ecc. Potter mirava con la sua Bioetica alla salute a alla medicina, ma era più interessato alla prevenzione che alla terapia. Egli era consapevole dello strettissimo legame tra problemi medici e carcinogenesi dovuta ai disastri ambientali. Era poi interessato alla sopravvivenza dell'uomo e per questo motivo la sua concezione di Bioetica aveva un significato ambientale ed evoluzionista. Egli intese la Bioetica in senso “globale”34 come ponte tra biologia ed

33 Reich nella sua ricerca sull’origine del termine bioetica ha sostenuto che, seppure la Bioetica storicamente prende l'avvio dall'eredità di Potter, ci possa essere stato un elemento che vede Hellegers associato alla genesi della Bioetica. Egli, appunto, parla della “Genesi bilocata” della Bioetica, a bilocated birth (Cfr. W.T. Reich,“The word Bioethics: The Struggles over its earliest meanings, Vol.5, No. 1, 1995, pp. 19-34): Potter, alla University of Winsconsin, coniò per primo il termine, e André Hellegers, alla Georgetown University, prendendo al volo la già esistente parola Bioetica, per primo la strutturò accademicamente come disciplina atta a designare l'area di indagine di un campo di ricerca di pubblico interesse nelle scienze della vita. Quando Reich parla di “genesi bilocata” intende sostenere che la parola Bioetica ha preso due direzioni e due impostazioni diversi. Potter intendeva la Bioetica come una nuova disciplina che avrebbe armonizzato la conoscenza scientifica e filosofica. La Geogetown University vedeva la Bioetica come branca della classica etica applicata, la quale faceva appello a certi principi etici affinché potessero essere applicati a particolari problematiche biomediche.

34

Nonostante Potter ed Hellegers provenissero da contesti intellettuali e professionali differenti, secondo lo studioso Giovanni Russo entrambi hanno sviluppato in Bioetica una prospettiva che può considerarsi “Globale”. L'analisi fatta da Russo su questi due pionieri della Bioetica, gli ha permesso di distinguere tre significati della parola “GLOBALE”. In primo luogo la parola Globale può essere intesa in relazione all'intera terra. In secondo luogo Globale può essere intesa nel senso di comprensiva di tutti i problemi etici nelle scienze della vita e della salute (sia biomedica che ambientale). Infine, Globale va intesa nel

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etica. Hellegers, invece, era un embriologo di origine olandese, che ha usato la parola Bioetica per indicare una disciplina centrata sul settore della medicina. Egli focalizzò la Bioetica sui problemi medici tipici del suo campo: le tecnologie della riproduzione, le politiche sulla popolazione e il controllo delle nascite. Hellegers promosse e, con i suoi mezzi, diffuse con maggior successo una Bioetica intesa come ponte tra medicina, filosofia ed etica.

senso che i due studiosi utilizzano una comprensiva visione di metodi, cioè un'effettiva incorporazione di tutti i rilevanti valori, concetti, modelli di razionalità e di discipline. Le preoccupazioni di Potter sulla salute fisica dell'uomo e sulla sua presenza sulla terra comprendevano una visione della Bioetica che era globale nel primo senso: egli pensava a un'etica ambientale o ecologica, incentrata sui problemi universali riguardanti il futuro dell'intera terra. Tuttavia, secondo Russo, Potter non aveva mai pensato a una bioetica globale incentrata su questi aspetti. Inseguito, Potter espose una prospettiva della bioetica che era globale nel secondo senso: una Bioetica che includeva tutti i problemi etici sorti in ambito biomedico e ambientale. Egli aveva notato che il termine Bioetica, che lui aveva coniato, veniva generalmente usato nel senso limitato ai problemi etici nella pratica medica.

Nel 1988 Potter inventò il termine “Bioetica Globale”, il quale comprende sia la bioetica medica che la bioetica ambientale o ecologica. Infine, secondo Russo, Potter ha elaborato una teoria della Bioetica che è globale nel terzo senso, cioè abbraccia un'ampia visione di prospettive, valori, concetti e discipline. Una tale visione della Bioetica deriva proprio dal continuo lavoro e studi di ricerca che aveva svolto sul cancro. Egli sostiene che la sopravvivenza fisica e culturale del genere umano dipende dal progresso e riconosce la responsabilità della scienza nel garantire il benessere al genere umano attraverso il progresso materiale e la salute fisica.

Uno dei più interessanti risultati dell'indagine di Russo è stato quello di scoprire che André Hellegers, come Potter, aveva elaborato un significato globale della bioetica, in tutti e tre i sensi del termine, e che tale visione era sorta dalla sua personale esperienza medico-scientifica. Hellegers ha esposto una visione globale della Bioetica nel primo senso: egli era rimasto deluso dalla politica sulla fertilità nei confronti degli emigranti, cioè la tendenza a promuovere la contraccezione senza porre attenzione allo sviluppo socio-economico dei paesi in via di sviluppo. Il significato e la visione di Bioetica di Hellegers è da considerarsi globale anche nel secondo senso del termine. Egli collegò l'indagine svolta dagli studiosi della Geogetown University nel campo dei dilemmi medici della bioetica, individuando problemi globali nella cura della salute internazionale e nella dinamica della popolazione. Infine, la concezione e il significato della Bioetica di Hellegers può essere considerata globale nel terzo senso in quanto abbraccia un'ampia visione di valori, metodi e discipline (Cfr. G. Russo, Storia della Bioetica. Le origini, il significato, le istituzioni. Armando Editore, Roma 1995).

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In breve, l'idea potteriana di Bioetica promuoveva lo sviluppo di una nuova etica che avrebbe guidato le scelte morali per una sopravvivenza globale della biosfera, mentre l'idea di Bioetica promossa dalla Georgetown University era quella di etica applicata nell'ambito delle scelte biomediche.

Non c'è da stupirsi che la definizione e l'approccio della Bioetica della Georgetown Univerity divenne dominante, mentre l'idea di Potter è rimasta marginale. In primo luogo, i dilemmi bioetici che venivano discussi nella Georgetown Univesity- quali l'eutanasia, la spersonalizzazione della medicina, la liceità morale dell'impiego delle nuove tecniche di fecondazione assistita, ecc. - erano problemi che venivano percepiti per la loro urgenza nella vita della gente e in generale erano di maggiore interesse nel dibattito pubblico. I problemi ecologici di Potter- come la riduzione delle sostanze tossiche- sembravano al contrario più remoti. Inoltre, la lotta per la conquista dei diritti civili, come i diritti dei minori, delle donne, delle persone aventi disabilità motorie e mentali, ecc., nel contesto americano orientò il dibattito in ambito bioetico verso certi abusi nelle ricerche mediche di pazienti ignari dei rischi e delle conseguenze di tale pratiche sperimentali. Nello stesso tempo c'era l'urgenza politica,

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e non solo, di affrontare argomenti molto delicati come l'aborto e l'impiego dei tessuti fetali per scopi di ricerca.

In secondo luogo, ci sono ragioni filosofiche che hanno favorito l'orientamento della Georgetown University. Il linguaggio e l'idea di Bioetica proposta da Potter risultava essere eccessivamente biocentrica (una tale idea era stata influenzata dalla studio delle teorie evoluzionistiche e cibernetiche), mentre il linguaggio di Hellegers era decisamente più tradizionale in quanto faceva appello all'etica dei principi (quali giustizia e autonomia), alle teorie della legge naturale e alle regole del calcolo utilitaristico. Tale linguaggio veniva giudicato più congeniale con gli scopi politici che si volevano perseguire. Hellegers, un ostetrico ed esperto in fisiologia fetale, focalizzò la Bioetica, infatti, sui problemi medici del suo campo, i quali erano al centro del dibattito pubblico e politico di quagli anni: la tecnologia della riproduzione, le politiche sulla popolazione e il controllo delle nascite.

Infine, vi erano ragioni accademiche e istituzionali perché la Bioetica di Potter rimanesse marginale rispetto al successo del significato di Bioetica formulato da Hellegers. Quest'ultimo aveva raccolto fondi privati e statali e fondi accademici da

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investire in Bioetica. Inoltre, egli si circondò di studiosi di etica e di scienze biologiche che potessero sviluppare nuovi metodi interdisciplinari e pubblicazioni; sostenne, tra l’altro la creazione di un programma accademico di Bioetica nella Facoltà di Filosofia per preparare nuove competenze scientifiche35. Potter, invece, non ebbe le attrezzature istituzionali, accademiche e finanziare atte a sostenere la sua concezione di Bioetica.

Bioetica: natura, scopi e funzioni

La Bioetica, negli ultimi anni è entrata far parte del lessico di un pubblico sempre più vasto, che l’associa all’ampia gamma delle questioni relative ai modi della nascita, della morte, della cura, vale a dire alle questioni connesse agli interventi sulla vita umana, resi possibili dagli straordinari progressi in ambito medico e biogenetico avvenuti nel corso del XX secolo. In un’accezione più ampia la Bioetica rimanda anche a ulteriori questioni come quelle sollevate dal trattamento degli animali e dagli interventi dell’uomo sull’ambiente.

35

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In questo paragrafo si cercherà di definire la natura e le funzioni della Bioetica, prendendo in considerazione un recente articolo di S. Bartolommei, Bioetica: definizioni, livelli, novità36. Il fine dell’autore consiste nel definire la “natura” della Bioetica, individuandone quattro dimensioni, le quali devono essere tenute quanto più possibile distinte.

1. Il contenuto della bioetica si configura, intanto come un campo di riflessione in cui si incontrano diversi ambiti disciplinari pertinenti alle scienze della vita. La Bioetica si interroga e cerca di formulare appropriate soluzioni ai problemi morali sollevati dall’accresciuto potere della medicina tecnologica e della capacità dell’uomo di poter intervenire sulla vita organica (intesa in senso lato)37.

2. La seconda dimensione della Bioetica riguarda il tipo di riflessione attivata. Secondo Bartolommei, la Bioetica deve essere intesa come un’articolazione dell’etica pratica o applicata, una riflessione cioè che fa ampio uso degli

36

S. Bartlommei, Bioetica: definizioni, livelli, novità, in Critica della ragione e forme dell’esperienza, a cura di L. Amoroso, A. Ferrarin, C. La Rocca, Edizioni ETS, Pisa 2011. 37

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strumenti dell’etica come disciplina filosofica per applicarli a problemi di ordine concreto38.

3. Una terza dimensione riguarda la Bioetica come fatto istituzionale (cioè al ruolo che la Bioetica svolge all’interno dei comitati etici) e come complesso di decisioni politiche-legislative in merito a pratiche biomediche quali la procreazione, medicalmente assistita, il testamento biologico, ecc39.

4. Infine, la quarta e ultima dimensione della Bioetica riguarda la sua caratteristica di movimento storico-culturale40.

La Bioetica intesa come movimento storico-culturale si è distinta come un nuovo contesto di riflessione etica, la quale presenta elementi di novità rispetto all’etica tradizionale. Infatti, secondo l’autore, il primo elemento di novità della Bioetica viene dalla definizione originaria che il suo fondatore, Van Rasselaer Potter, le aveva conferito. Come è stato detto nel paragrafo precedente, Potter indicava la Bioetica come lo “studio della moralità dei comportamenti umani nel campo della scienza della vita. La 38 Op. cit., p. 526. 39 Ibidem. 40 Ibidem.

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Bioetica così intesa doveva coniugare le scienze della vita con un’etica della vita in grado di fungere da “scienza della sopravvivenza” e garantire il benessere dell’uomo e di ogni specie vivente dall’irruzione della rivoluzione scientifica e tecnologica. Il secondo elemento di novità della Bioetica consiste nel fatto che essa si sia distinta come un campo di riflessione autonomo rispetto alla tradizionale etica teorica, col suo insieme di principi generali che si presume costituiscano il fondamento intellettuale per i giudizi particolari41. La Bioetica, in questo senso, si è distinta dalla riflessione etica tradizionale, nel tentativo di formulare soluzioni concrete ai dilemmi morali posti dalla biomedicina.

Il terzo elemento di novità della Bioetica riguarda il fatto che essa abbia messo in crisi il tentativo da parte dell’etica del Magistero cattolico di rivisitare e rinnovare alcuni aspetti dell’etica medica ippocratica (quali il finalismo della medicina, il paternalismo medico, il valore della sacralità della vita umana) all’indomani della promulgazione dei codici deontologici post-bellici (quali il Codice di Norimberga e la Dichiarazione di Helsinki). Il Magistero cattolico intendeva riproporre nel nuovo

41

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contesto l’etica ippocratica in termini confessionali. Tuttavia, la sempre più ampia disponibilità di tecniche e di modalità di intervento che hanno mutato profondamente gli scenari del nascere, del curarsi e del morire ha messo in crisi l’idea tradizionale di finalismi intriseci ai fenomeni biologici. I nuovi cambiamenti e i nuovi dilemmi etici introdotti dalla medicina tecnologica e dalla nuova biologia, inoltre, messo in discussione l’idea di ordini precostituiti della natura umana e hanno messo in evidenza l’incapacità dell’etica del senso comune e della tradizionale etica ippocratica di orientare il soggetto morale nelle scelte e nelle valutazioni.

Infine, secondo Bartolommei, il quarto elemento di novità consiste nell’intendere la Bioetica come una nuova prospettiva sull’etica. Lo studioso sostiene che la Bioetica è nata per dare un orientamento morale valido nelle questioni di vita, di morte e di malattia poiché ci si è resi conto dell’impossibilità di formulare una concezione etica condivisa nelle società dove si è radicato il pluralismo morale. La bioetica, a parere dell’autore, offre un nuovo e importante contributo all’etica e alla teoria morale in quanto, in primo luogo, essa ha contribuito a mostrare che l’etica non fa appello a principi e a norme indipendenti e sovraordinati

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