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Una panoramica dei rapporti italo-cecoslovacchi in epoca contemporanea

Nel documento Biblioteca di Studi Slavistici (pagine 178-188)

Pavel Helan

In questa sede non si intende esaminare nella loro specificità gli eventi del 1968, ma effettuare una breve panoramica dei rapporti italo-cechi, o se vogliamo italo-cecoslovacchi, precedenti la Primavera di Praga. Sorvoliamo sui contatti ri-salenti al Medio Evo e al Rinascimento, quando gli italiani avevano in Boemia grande rilevanza culturale, soprattutto nel campo dell’architettura. Non si può però non notare come il Risorgimento esercitasse un’influenza spirituale non del tutto trascurabile tra i cechi. Ad esempio è noto che molti carbonari furono im-prigionati a Brno, nella fortezza dello Spielberg. Il più famoso tra loro è Silvio Pellico, che trascorse otto anni in carcere e che da questa esperienza trasse Le mie prigioni. Nella sua stessa cella si trovava Piero Maroncelli, anche lui scrittore ro-mantico e patriota1. Non è strano che dopo la prima guerra mondiale, il 25 ottobre 1925, proprio allo Spielberg fosse inaugurato un monumento con la lupa capitoli-na, dedicato ai carbonari italiani che qui furono imprigionati e che qui morirono.

Insieme all’inaugurazione del monumento fu fondato un Museo dei patrioti italia-ni, amministrato fino alla seconda guerra mondiale dalla Società Dante Alighieri.

La sua costituzione fu in seguito regolata mediante un accordo tra i governi italia-no e cecoslovacco2. Una testimonianza dell’influenza del Risorgimento sui cechi si rinviene poi nelle lettere indirizzate da František Ladislav Rieger nel 1848 ai suoi amici in Boemia, e in particolare a Karel Havlíček Borovský. In queste let-tere Rieger descriveva gli avvenimenti in Italia anche allo scopo di permetlet-tere a Havlíček di utilizzarle nel suo giornale per il risveglio spirituale del popolo ceco3.

Così come le idee di Giuseppe Mazzini trovarono in Boemia una certa ri-sonanza4, anche le imprese di Giuseppe Garibaldi vi godettero ovviamente di grande notorietà. Si ricorda tra l’altro che, accanto a diversi ungheresi, tra gli uomini che parteciparono alla spedizione dei Mille vi fu almeno un ceco5. Già

1 Pelán 2004: 477, 559; Šibíčková 2001; Bauer 1893.

2 Šibíčková 2001: 31; Menšíková 1994; Balcárek 2005.

3 Si vedano al riguardo le lettere inviate dall’Italia da Rieger a Staněk, 18-21 feb-braio 1848, e a Borovský, 12 marzo 1848, in Heidler 1924 I: 21-44.

4 Cronia 1936: 93-95.

5 Nell’elenco dei partecipanti alla spedizione dei Mille pubblicato il 12 novembre 1878 nella Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia si trova senz’ombra di dubbio un ceco, Arnošt František Beneš (sotto il numero 89): «Benesch Ernesto di Francesco, nato a Balschoru (Boemia) nel 1842, residente a Torino (nel 1868). Era sottotenente della le-Francesco Caccamo, Pavel Helan e Massimo Tria (a cura di), Primavera di Praga, risveglio eu-ropeo, ISBN 6453-269-1 (print), ISBN 6453-271-4 (online PDF), ISBN 978-88-6453-279-0 (online EPUB), © 2011 Firenze University Press

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nel 1862 a Praga fu pubblicata una monografia apologetica su Garibaldi ad ope-ra di Josef Svátek, alla quale altre ne seguirono6. A sua volta uno degli eroi della rivolta praghese del 1848, Josef Václav Frič, visitò Garibaldi a Caprera nel giu-gno 18647. Lo stesso Garibaldi fu in contatto epistolare con vari esponenti del risorgimento boemo8. Tuttavia il segno più tangibile dell’influenza garibaldina fu la scelta di adottare come uniforme per l’associazione ginnica Sokol (fondata a Praga nel 1862 con una forte ispirazione patriottica) la camicia rossa, la stessa dei volontari di Garibaldi9. Al tempo stesso non si può dimenticare che uno dei grandi avversari del Risorgimento italiano, Jan Josef Václav Radecký z Radče, il famoso maresciallo Radetzky, era anche lui boemo, come buona parte del suo esercito. In maniera analoga, diversi cechi militarono nell’esercito papale10.

Durante la prima guerra mondiale l’Italia svolse un ruolo decisivo per i ce-chi e per gli slovacce-chi. Benché non esistesse ancora un’entità ce-chiamata Cecoslo-vacchia dotata di riconoscimento internazionale, e benché la sua futura forma e la sua stessa esistenza fossero ancora oggetto di negoziati, ben presto si costituì un elemento essenziale per il futuro stato: l’esercito. Si trattava di un elemento di grande rilievo, che ebbe un’influenza fondamentale sulle decisioni politiche relative alla creazione della Cecoslovacchia. Tomáš Garrigue Masaryk, il futu-ro presidente della Repubblica, dopo aver abbandonato l’Austria-Ungheria alla fine del 1914, scelse proprio Roma come sua prima destinazione. Anche se egli dopo breve tempo si trasferì a Parigi per fondare il Consiglio nazionale dei pa-esi cecoslovacchi, l’Italia rimase oggetto delle attenzioni sia di Edvard Beneš sia dello slovacco Milan Rastislav Štefánik, gli altri due principali sostenitori della creazione del nuovo stato. Soprattutto quest’ultimo si impegnò fortemente nell’attività del Consiglio sul territorio italiano. Inoltre Štefánik partecipò alle operazioni sul fronte italiano, compiendo voli di ricognizione e di propaganda oltre le linee austriache e lanciando volantini che incitavano i soldati di nazio-nalità ceca, slovacca e polacca ad arrendersi all’esercito italiano alla prima oc-casione che si fosse loro presentata. Dal 1916 nelle linee italiane erano ormai attive piccole squadre costituite da volontari provenienti dalle file dei prigionieri gione ausiliaria ungherese, e nel marzo del 1865 fu dispensato dal servizio, per affari di famiglia, dietro sua domanda. Per questa causa fu giudicato non competergli pensione».

Si veda al riguardo <http://www.liberatiarts.com/storia/mille.htm>. In alcuni scritti però si trova l’informazione che alla spedizione parteciparono ben 15 cechi: ad esempio Pi-ruchta 1971: 109. Questa notizia, probabilmente esagerata, è basata sulla testimonianza di Renata Tyršová. Si veda al riguardo Krátký 1954: 20.

6 Svátek 1862; Tůma 1908; Kovář 1932. Il nome di Garibaldi compare anche nelle opere di autori boemi come Jan Neruda, Josef Svatopluk Machar e Karel Doležel.

7 Kovář 1932: 6.

8 Ibid.; Cronia 1936: 94-95.

9 Ivi: 94; inoltre Schiller 1932: 6; Helan 2008: 24-27.

10 Cronia 1936: 94; cf. Havel, Romaňák 2000.

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cechi e slovacchi, i cosiddetti reparti di esploratori. In seguito a questi passi pre-paratori, finalmente nel 1918 si concretizzò la possibilità di costituire un vero e proprio esercito cecoslovacco in Italia11.

Per appoggiare le aspirazioni indipendentistiche cecoslovacche nel gennaio 1917 si formò un Comitato italiano per l’indipendenza cecoslovacca, sotto la presidenza del principe Pietro Lanza di Scalea, deputato parlamentare, e con il patrocinio della Società Dante Alighieri. Detto comitato aveva come obiettivo la diffusione in Italia dell’idea dell’indipendenza cecoslovacca e la creazione di un’atmosfera favorevole alla costituzione di un corpo volontario cecoslovacco.

Un’attività simile fu svolta anche dai prigionieri di guerra di nazionalità ceca, per esempio nel campo di prigionia di Santa Maria Capua Vetere, in Campania12. Questa molteplice attività diede col passare del tempo i suoi frutti: tra l’8 e il 9 aprile 1918 si svolse a Roma, in Campidoglio, un convegno dei rappresen-tanti delle nazionalità oppresse dall’Austria-Ungheria13. Poco dopo, il 21 apri-le, sfruttando anche l’occasione simbolica dell’anniversario della fondazione di Roma, soprattutto grazie all’iniziativa di Štefánik fu firmata tra il governo italiano e il Consiglio nazionale dei paesi cecoslovacchi una convenzione che permetteva la costituzione di un corpo militare cecoslovacco sul territorio italia-no per combattere contro gli imperi centrali. Questo esercito fu posto sotto l’au-torità del Consiglio cecoslovacco, e già nei primi giorni entrarono nelle legioni cecoslovacche circa 14.000 uomini, vale a dire l’ottanta per cento dei cecoslo-vacchi registrati in Italia dall’ufficio romano del consiglio (per la maggior parte si trattava di cechi, gli slovacchi erano solo alcune decine). All’inizio di maggio si formò una divisione di ben 18.000 legionari, che presto si unirono alla lotta sul fronte italiano e si assicurarono una serie di riconoscimenti per i loro succes-si militari14. Il governo italiano tardava però a concedere allo stato cecoslovacco un riconoscimento ufficiale scritto, che venne siglato solo il 24 ottobre 191815.

Sempre per quel che riguarda la prima guerra mondiale, vale la pena di no-tare come, dopo l’ingresso dell’Italia nel conflitto nel maggio 1915, le autorità

11 Pichlík, Klípa, Zabloudilová 1996: 51; inoltre Gionfrida 2001: 16; Stuparich 1922: 132-133; Paulová 1937.

12 Pichlík, Klípa, Zabloudilová 1996: 52-53. Per il Comitato italiano per l’indipen-denza cecoslovacca si veda Gotti Porcinari 1933: 27-33; inoltre AUSSME, b. E 11, fasc.

64, Il comitato italiano per l’indipendenza czeco-slovacca e Missione militare italiana in Boemia – relazione generale (dicembre 1918 – giugno 1919).

13 Al convegno parteciparono diversi politici italiani, tra i quali Benito Mussolini.

Questi era anche membro del summenzionato Comitato per l’indipendenza cecoslovac-ca: Helan 2006: 101-112; cf. anche Helan 2003.

14 Pichlík, Klípa, Zabloudilová 1996; Gionfrida 2001: 17; Helan 2003; inoltre i già citati documenti provenienti da AUSSME, La missione militare italiana in Boemia e Missione militare italiana in Boemia.

15 Dokumenty 1998: 297; Beneš 1929: 542 nota.

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asburgiche deportassero migliaia di persone di nazionalità italiana dal Trentino in Boemia e Moravia. Per molte di loro questa dolorosa esperienza sarebbe du-rata fino al termine del 191816.

Si può affermare che nel periodo immediatamente successivo alla prima guerra mondiale i rapporti italo-cecoslovacchi raggiunsero la massima intensità.

Si verificò una collaborazione militare molto stretta, anche se di breve durata. In un momento molto difficile per la nuova repubblica i primi soldati a tornare in Cecoslovacchia furono proprio i legionari provenienti dall’Italia, equipaggiati con armi italiane e guidati da ufficiali italiani. All’inizio del 1919 questi soldati parteciparono attivamente alla lotta contro gli ungheresi sul territorio slovacco.

La missione militare italiana in Cecoslovacchia avrebbe potuto porre i presuppo-sti per un’intensa collaborazione fra i due stati, ma la crescente tensione tra l’Ita-lia e alcuni ex alleati (in particolare la Francia e la Serbia) e la scelta filofrancese della Cecoslovacchia causarono un considerevole raffreddamento nei rapporti reciproci. Per iniziativa di Beneš nella primavera del 1919 la missione militare italiana fu addirittura sostituita da quella francese e rimandata in patria17.

La situazione complessiva europea influì ulteriormente sui rapporti italo-cecoslovacchi. Per un breve periodo sotto la guida del ministro degli esteri Carlo Sforza fu allacciata un’intensa collaborazione politica18. Con l’ascesa al potere di Benito Mussolini nel 1922 i rapporti non registrarono immediati cambiamen-ti, e questo nonostante l’ostilità di Masaryk e Beneš nei confronti del fascismo.

Un’influenza moderatrice veniva esercitata da alcune personalità liberali, come ad esempio il segretario generale della Consulta, l’ex collaboratore di Sforza Salvatore Contarini. L’esistenza di comuni interessi era testimoniata dal fatto che lo stesso Mussolini fosse decorato nel 1923 con la croce di guerra cecoslo-vacca e che ancora nel 1926 ricevesse la più alta onorificenza cecoslocecoslo-vacca, il Leone Bianco di primo grado19.

I rapporti tra Cecoslovacchia e Italia peggiorarono marcatamente nella secon-da metà degli anni Venti, anche a causa dell’appoggio italiano all’Ungheria. Nello stesso contesto il già nominato Salvatore Contarini fu allontanato dalla Consulta.

Rimanevano comunque ancora delle possibilità di manovra, e nessuno dei due pa-esi escludeva una collaborazione con l’altro su determinate questioni – si veda ad esempio la minaccia dell’Anschluss. Per quanto riguarda poi i rapporti culturali, si può affermare che in questo periodo furono molto più ricchi di quanto non lo

16 Colombo 2008.

17 Prokš 1988; Holotík 1954; Pichlík, Klípa, Zabloudilová 1996; Caccamo 2000:

60-61; inoltre il citato documento La missione militare italiana in Boemia.

18 Melchionni 1972.

19 AMZV, Fondo Politické zprávy, Řím, 1926/133, telegramma n. 803/26, 5 agosto 1926; ASMAE, Fondo Ambasciata Praga 1919-1939, 1928, b. 2, telespresso 19888/8, 13 giugno 1928; cf. Helan 2006: 139.

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sarebbero stati nella seconda metà del ventesimo secolo. In definitiva, l’interesse reciproco venne meno soltanto alla metà degli anni Trenta, quando la Cecoslovac-chia prese posizione contro l’aggressione italiana all’Etiopia e Mussolini effettuò la sua scelta in favore dell’alleanza con la Germania nazista. Il momento risoluti-vo fu la conferenza di Monaco del settembre 1938, quando Mussolini abbandonò la Cecoslovacchia e l’intera Europa centrale all’influenza tedesca.

Durante la seconda guerra mondiale alcuni italiani inviati nei campi di la-voro tedeschi condivisero lo stesso destino dei cechi. Circa 9000 italiani furono inviati nella regione dei Sudeti20. Alcuni di loro finirono per combattere insieme alla resistenza locale. Al tempo stesso nel maggio 1944 i tedeschi ordinarono di trasferire circa 5000 membri dell’Esercito Governativo del Protettorato di Boe-mia e Moravia in Italia settentrionale. Le autorità germaniche non si fidavano di questo esercito e non vedevano di buon occhio che nel momento in cui si andava profilando lo scontro finale fossero presenti in Boemia simili unità militari orga-nizzate. Di fatto poi, già nei primi mesi della loro permanenza in Italia centinaia di questi soldati cechi passarono dalla parte dei partigiani. La maggioranza di loro più tardi si spostò in Francia e si schierò con gli alleati nella lotta contro il nazismo, mentre quanti rimasero in Italia si impegnarono attivamente in azioni di sabotaggio. Tra l’aprile e il maggio del 1945 i resti dell’Esercito Governativo del Protettorato di Boemia e Moravia presenti in Italia si schierarono al fianco dell’esercito americano21.

Quando il 7 marzo 1945 a Palazzo Venezia a Roma Benedetto Croce tenne davanti a duemila persone un discorso in memoria di Masaryk in occasione del suo compleanno, poteva sembrare che sarebbe stato facile stabilire contatti vera-mente amichevoli tra Italia e Cecoslovacchia22. Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale fu conclusa tra i due paesi una convenzione per regolare e stimo-lare l’emigrazione italiana nel paese slavo. Si trattava di manodopera che doveva servire alla ricostruzione del paese. Questa convenzione rimase però in gran parte inapplicata, non solo perché i lavoratori italiani proseguirono a optare per i paesi dell’Europa occidentale e per le Americhe, ma soprattutto a causa dell’avvento al potere del regime comunista in Cecoslovacchia nel 1948. Il calare della cortina di ferro pose quasi del tutto termine anche ai rapporti a livello statale fra i due stati.

Un collegamento rimase però attivo attraverso il movimento comunista. La Cecoslovacchia comunista accolse un cospicuo numero di persone che

abban-20 Bukačová 2005.

21 Già alla fine del settembre 1944 passarono dalla parte dei partigiani italiani più di 700 soldati cechi, di cui la maggior parte andò in Francia. Indicativo della posizione dei soldati cechi in Italia è che già nell’ottobre 1944 furono disarmati, privati dei mezzi di trasporto e destinati dai tedeschi a lavori manuali nella pianura padana. Vedi Veselý, Staudek 1948; Kalousek 2002; Brůna, Marek 1999; Battaglia 1953: 268-269.

22 Veselý, Staudek 1948: 290-291.

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donarono l’Italia a cavallo degli anni Quaranta e Cinquanta. Tra loro vi erano al-cuni membri del gruppo Volante Rossa, che erano fuggiti dall’Italia per sottrarsi alle condanne subite per le violenze commesse contro veri o supposti esponenti del regime fascista23. Nello stesso periodo un accordo tra il PCI e le autorità ce-coslovacche permise la fondazione a Praga di una stazione radio clandestina con il nome di «Oggi in Italia». Il suo compito era – come raccontano i documenti delle autorità comuniste cecoslovacche – quello di diffondere in Italia e tra gli emigranti italiani in Germania e Belgio la propaganda comunista. L’aiuto di Oggi in Italia fu importante per organizzare le manifestazioni comuniste degli anni Cinquanta in Italia. I collaboratori di Oggi in Italia provenivano in parte dall’emigrazione comunista della quale si è appena parlato e la presenza di que-sta radio sul territorio cecoslovacco ebbe delle ripercussioni anche sui rapporti bilaterali tra Roma e Praga. Il governo italiano presentò una serie di proteste contro questa presenza, nonostante le varie smentite che venivano da parte ce-coslovacca. Nel 1958 il governo italiano arrivò a minacciare di non concedere il visto ai cittadini cecoslovacchi e di sospendere le importazioni di vetro boemo.

Mentre in Cecoslovacchia dominava la censura, le trasmissioni di Oggi in Italia godevano di una relativa libertà di parola. Negli anni Sessanta ciò comin-ciò a causare problemi in quanto i comunisti italiani si andavano orientando in senso riformista e nell’agosto 1968 presero posizione contro l’invasione delle truppe del Patto di Varsavia. Il 25 agosto, mentre tutti gli altri mezzi di trasmis-sione erano messi a tacere, proprio Oggi in Italia fu utilizzata dalla componente dubčekiana per permettere che si proseguissero a diffondere via radio le infor-mazioni non censurate dagli invasori, che avevano gradualmente preso possesso di tutti i mezzi di comunicazione statale. A titolo di curiosità si ricorderà anche che un anno dopo, durante le dimostrazioni dell’agosto 1969, uno dei redattori italiani arrivò perfino a buttare un vaso di fiori contro un poliziotto che manga-nellava i dimostranti. Nel 1971, a normalizzazione ormai compiuta, si arrivò poi alla completa chiusura di Oggi in Italia, dopo che i suoi redattori avevano rifiu-tato di firmare una dichiarazione che giustificava l’invasione24. In questo modo un velo calava anche sui rapporti tra il PCI e il suo omologo cecoslovacco, che fino a quel momento, pur nelle difficili condizioni della guerra fredda, erano ri-usciti a mantenere un collegamento tra Roma e Praga25.

23 Bartošek 1996: 53-58; Turi 2004.

24 Tra i primi collaboratori di Oggi in Italia c’era anche un agente dei servizi segreti cecoslovacchi, Vladimír Tosek. Questi emigrò nel 1968 in Italia e diventò uno dei colla-boratori del gruppo Listy di Jiří Pelikán: Vrána 2008 (che si basa sul fondo Vladimír To-sek dell’Archivio del Ministero degli Interni della Repubblica Ceca); Ferrarová, Vrána 2008; Caccamo 2007.

25 Sui rapporti tra i partiti comunisti italiano e cecoslovacco si rinvia al saggio di Caccamo nel presente volume.

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