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Una querelle aperta: Etruschi in Sardegna ?

Forme siti fenic

6.4 Una querelle aperta: Etruschi in Sardegna ?

Il fatto di considerare, come è stato proposto nel paragrafo precedente, la Sardegna come un‟isola “aperta” ai mercanti “altri” e non stretta nella morsa di un rigido monopolio fenicio, è già un primo indizio e in parte una risposta alla querelle sulla presenza etrusca nell‟Isola. Fra le prove indiziarie più circostanziate, che implicano la presenza transitoria, e in qualche caso verosimilmente anche stabile, di genti dell‟ethnos etrusco, si possono citare anzitutto la nota e sovente citata placchetta eburnea dalla chiesa di S. Omobono a Roma. Si tratta di una tessera hospitalis con epigrafe «araz silqetenas spurianas», che è stata letta da Giovanni Colonna153 «Araz Spuriana “il sulcitano”». Ci troveremmo in ipotesi di fronte ad un Etrusco che porta un gentilizio attestato a Tarquinia154 e che assume un etnico che fa riferimento ad una, evidentemente assidua (quando non stabile), frequentazione della Sulky fenicia, proprio nel periodo che qui interessa, essendo la placchetta databile al 580-540 a.C.155. Un‟altra iscrizione è particolarmente interessante, perché postulerebbe l‟esistenza di un monumento votivo di non piccole dimensioni dedicato da un mercante etrusco verosimilmente in un santuario extraurbano, emblematico luogo d‟incontro per i commerci arcaici. Si tratta dell‟epigrafe monumentale incisa su una lastra di arenaria locale, purtroppo scomparsa, rinvenuta a Oristano e letta e integrata da Colonna in «[mi mulu]vana s[puriesi]»156.

153 v. discussione in Gli Etruschi a Roma, Incontro di Studio in onore di M. Pallottino, Roma 1981, pp. 202-204;

ripreso in COLONNA 1989, p. 368. Questa interpretazione è stata oggetto di discussione; si sono espressi a favore

di essa: BERNARDINI 2001, p. 287; BONAMICI 2002, p. 264 e nota 59; MAGGIANI 2006, p. 321; TRONCHETTI

2000b, p. 350; contro: CRISTOFANI 1991, p. 73, nota 34; accolta con prudenza in DE SIMONE 1981, p. 205 e GRAS

1985, p. 206.

154 Fra le attestazioni più note si possono citare i tre elogi degli Spurinna dal foro di Tarquinia (TORELLI 1975) e

un Arath Spuriana dalla Tomba dei Tori di Tarquinia; Araz è forma documentata e più rara per Aranth, probabilmente tipico per gli Etruschi di Roma, vista anche la tradizione riguardante i Tarquinii, dove Arunte è il prenome del fratello e del nipote di Tarquinio Prisco, del fratello e del figlio di Tarquinio il Superbo, nonché del figlio di Porsenna (v. CRISTOFANI 1990, pp. 21-24; PALMUCCI 1999).

155 MAGGIANI 2006, p. 321. Nell‟interpretazione dello studioso, la placchetta sarebbe prodotta a Roma (in base

soprattutto all‟analisi paleografica), e l‟iscrizione sarebbe riferibile a due soggetti: uno, lo straniero, Araz con il gentilizio nella forma arcaica –nas, il –te locativo e la radice derivata dall‟etnico riferibile alla città di Sulky, e l‟altro, il suo Hospes, uno Spuriana residente a Roma. Quindi non più la formula con i trianomina (come interpretata in COLONNA 1989, p. 368), ma bimembre per il primo e col semplice gentilizio per Spuriana (una

famiglia probabilmente di Tarquinia che intrattiene rapporti di xenia con l‟hospes in CRISTOFANI 1991, nota 34).

L‟interpretazione di Maggiani, più articolata e complessa di quella di Colonna, non confligge in assoluto con quella qui tratteggiata, mostrando comunque un collegamento diretto fra Tarquinia/Roma dei Tarquini e la Sardegna.

156 COLONNA 1989, p. 369. L‟iscrizione venne originariamente pubblicata da P. Tamponi in Notizie Scavi del

1891 e è stata citata più volte da Raimondo Zucca per postulare «una possibile presenza insediativa etrusca extraurbana nel territorio di Othoca» (ZUCCA 1987, p. 125).

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etrusche, a Bithia come a Tharros. Per ciò che concerne i casi bithiensi, premesso che solitamente nelle tombe della necropoli arcaica compare – quando attestato – un solo vaso d‟importazione157, l‟eccezionalità del corredo della tomba n. 239, contenente ben due anforette in bucchero associate a due coppe etrusco-corinzie, è stata segnalata come espressione di un‟ideologia estranea (soprattutto riguardo alle anforette) e ha portato a supporre la sepoltura di un etrusco158.

Indizio ancor più debole, ma comunque degno di nota per la sua unicità, è il corredo di una tomba tharrense con anfora tirrenica attribuita al Pittore di Timiades159. Oltre a rappresentare uno dei rarissimi esempi di ceramica attica arcaica in Sardegna160, ciò che colpisce è il suo apparato decorativo: una scena erotica a carattere orgiastico, molto lontana dal “comune sentire” di un fenicio161. Se già risulta difficile immaginare quest‟anfora alla mensa di un fenicio, ancor più incomprensibile è che faccia parte del corredo funerario; tuttavia – rappresentando un unicum – varie possono essere le ipotesi, compresa quella della sepoltura di un etrusco, ma senza altre informazioni è più probabile che non si giunga mai ad una soluzione univoca.

Tutti gli indizi di cui sopra si comprendono meglio tenendo presenti due caratteristiche delle imprese etrusche d‟oltremare: anzitutto l‟azione navale e la “espansione” etrusca non è sostanzialmente mai di tipo coloniale162, ciò anche se il commercio etrusco tocca tutto il bacino del mediterraneo e oltre163. Altra caratteristica essenziale è rappresentata dalla

157 TRONCHETTI 1981, p. 528; BERNARDINI 2000, p. 178. Oltre alla T. 239, le altre due eccezioni sono costituite

dalla T. 9 con un “servizio” composto da olpe e coppa in bucchero e dalla T. 17 con aryballos e coppetta su piede etrusco-corinzi (UGAS –ZUCCA 1984, nn. 78, 81 e 85, 90).

158 ZUCCA 1986, p. 59; ID. 1989, p. 1080; TRONCHETTI 1988, pp. 56-57; BERNARDINI 2000, p. 179 e nota 18. 159 ZUCCA 2000, p. 198 e nota 22.

160 v. ZUCCA 2000; TRONCHETTI 2003, p. 177.

161 In generale, le produzioni fenicie – nel solco della tradizione vascolare vicino-orientale – e le importazioni

isolane non sono caratterizzate da decorazioni vascolari particolarmente ricche, e assai rare sono le scene figurate. Il “gusto” fenicio in genere non si rivolge all‟ideologia veicolata dalle iconografie (praticamente assenti le importazioni di ceramica attica a f.n. e greca figurata in genere, anche la ceramcia etrusco-corinzia figurata è limitata a motivi soprattutto decorativi, come quelli standardizzati e corsivi dei “cicli tardivi”). Le raffigurazioni di scene mitologiche sono praticamente assenti e ciò risponde ad una scelta precisa, se consideriamo la grande diffusione di questi tipi in Etruria, che è un recettore privilegiato di queste produzioni. Lievemente diverso il discorso per le importazioni nei centri sardi, che mostrano una certa inclinazione verso una maggiore varietà di oggetti in ceramica (anche attica arcaica oltre che greca in genere ed etrusca, cfr. TRONCHETTI 2005, p. 87) e bronzo (v. SANTOCCHINI GERG 2010, pp. 84-85). Come già accennato l‟assenza di ceramica attica arcaica si

spiega in parte con una certa marginalità della Sardegna rispetto alle correnti commerciali greche (TRONCHETTI

2002, p. 1097), ma – soprattutto – con una questione legata al “gusto” (MOREL 1986, p. 36) del mercato fenicio, cui evidentemente quel tipo di prodotti “non piace” (TRONCHETTI 2002, p. 1097), perché altrimenti avrebbe trovato negli Etruschi un redistributore privilegiato di ceramica greca, in Etruria assai abbondante.

162 GRAN-AYMERICH 2002, p. 136; ad eccezione della colonia (probabilmente ceretana) di Nikaia/Aleria in

Corsica e forse di qualche insediamento stabile sulla costa francese, come Lattes.

163 Di recente G. Colonna (COLONNA 2006b, 13-18) ha ipotizzato una presenza diretta di mercanti etruschi nel

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variabilità regionale nel tipo di esportazioni etrusche (per varietà di forme vascolari e di mercanzie, sia di propria produzione che mediando beni di altri); ciò è dovuto alla flessibilità del commercio etrusco, estremamente adattabile alle diverse esigenze dei partners commerciali e rivolto a soddisfare le specificità della loro domanda164.

L‟ultimo “indizio” della frequentazione etrusca dell‟Isola si ha durante la “terza fase” delle relazioni etrusco-sarde, cui si è fatto riferimento al capitolo 2.2.3, ovvero nel momento nel quale la Sardegna entra nell‟impero cartaginese ed i commerci sono ormai strutturati e organizzati secondo le forme della έμπορία classica. In quest‟ultima fase i commerci sardi sono gestiti direttamente dagli agenti punici, con quella forma di “commercio di ritorno” dalle coste tirreniche ipotizzata anche per la fase precedente.

E‟ proprio questa chiusura e rigida spartizione delle reciproche sfere di influenza da parte di Cartagine, testimoniata dalle parole di Aristotele e dalla tradizione dei trattati romano- cartaginesi, che prova il fatto che prima di essi il mercato sardo era più libero e verosimilmente frequentato anche dagli έμποροι etruschi.

164 Cfr. MOREL 1986, p. 36.

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