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3. HVDC come Blackstart

3.2 Utilizzo dei sistemi HVDC per la riaccensione di una rete

Da quanto espresso risulta fondamentale per la corretta e rapida riaccensione di una rete elettrica fuori servizio il sostegno di una struttura adatta al black start o di una fonte di potenza esterna al sistema in guasto.

È già stato spiegato in precedenza che i collegamenti HVDC in generale non permettono il trasferimento di perturbazioni tra le reti che sono ad essi collegate.

È altamente probabile quindi la sopravvivenza di una delle due reti in caso di disservizio generalizzato sull’altra, lasciando la rete in salute pronta a inviare energia attraverso il collegamento per accendere la rete in blackout.

Risulta quindi naturale tentare di sfruttare tale risorsa per il ristabilimento dell’operatività della rete in fault.

L’utilizzo di un collegamento HVDC permette di avere una centrale di prima riaccensione che sotto opportune condizioni non presenta problematiche di fallimento dell’avviamento, e che aumenta il numero delle possibili direttrici di prima riaccensione (e quindi le probabilità di trovare una centrale con load-rejection riuscito) diminuendo i tempi necessari al ristabilimento della normale funzionalità di rete.

Il collegamento HVDC dovrà fornire la potenza richiesta alle utenze di rete e agli ausiliari di centrale, sostenendo al tempo stesso le variazioni di carico ed effettuando la regolazione della frequenza sulla rete rialimentata, lasciando alla centrale alimentata la possibilità di seguire la sua rampa di carico predefinita.

I sistemi HVDC possiedono caratteristiche e funzionalità diverse in funzione del tipo di tecnologia utilizzata nella costruzione dei convertitori di stazione.

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In particolar modo, le stazioni equipaggiate con VSC, data la caratteristica di non dipendere da un riferimento di tensione alternata per permettere la commutazione delle valvole e data la loro capacità di controllare indipendentemente la potenza attiva e reattiva, risultano adatti nel permettere la funzione di black start per un collegamento in continua. Nel momento in cui si progetta un collegamento HVDC si va quindi a considerare anche le funzionalità sopra esposte per valutare l’implementazione di convertitori di tipo VSC in alternativa a convertitori LCC.

Il problema sorge nel momento in cui non sia possibile utilizzare convertitori a commutazione forzata per il collegamento. Il fatto può essere dovuto sostanzialmente a due motivi:

1. Necessità di implementazione di un HVDC di potenza nominale elevata (indicativamente sopra i 2000 MW) che comporterebbe costi spesso non sostenibili per la realizzazione di tutti i componenti elettronici necessari.

2. Il collegamento HVDC è già presente e realizzato con la tecnologia LCC. In questa situazione se il collegamento è ben funzionante risulta antieconomico (se non giustificato da altri motivi) lo smantellamento delle intere stazioni di conversione e la sostituzione la tecnologia a commutazione forzata. Senza considerare il tempo di fuori servizio necessario e la revisione dei flussi di potenza della rete e dei vincoli commerciali durante il periodo di inattività.

Se non si vuole rinunciare all’utilizzo del collegamento LCC-HVDC come fonte energetica di prima riaccensione è necessario confrontarsi con alcune problematiche. Le difficoltà principali che il collegamento con convertitori a commutazione naturale deve affrontare, sono legate alla natura stessa dei componenti a semiconduttori usati e già trattate nelle pagine precedenti:

 Necessità di potenza reattiva per il funzionamento del convertitore;

 Necessità di un sistema di tensioni alternate sinusoidali necessarie del lato AC dell’inverter a commutazione naturale per poter funzionare;

 La necessità di un adeguato livello di potenza di cortocircuito sul terminale lato inverter per consentire una corretta commutazione delle valvole e la stabilità del sistema di controllo.

Una possibile soluzione per consentire il funzionamento in riavviamento del sistema HVDC consiste nel dotare la stazione ricevente di un compensatore sincrono, trascinato da un motore alimentato da una fonte autonoma sicura (ad esempio un gruppo elettro-

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Diesel) e in grado di fornire, nella fase di riaccensione della rete, il necessario riferimento di tensione alla sbarra dell’inverter, la potenza reattiva richiesta dal convertitore e l’adeguato livello di cortocircuito. Una volta avviato il collegamento HVDC la frequenza misurata al compensatore sincrono deve essere utilizzata per realizzare il controllo della corrente del collegamento agendo sull’angolo di commutazione dell’inverter stesso. Una variazione della velocità di rotazione (frequenza) del compensatore sincrono è infatti indice di uno squilibrio di potenza del sistema; in altri termini la misura della variazione della frequenza della rete lato inverter permette di effettuare una regolazione puntuale della corrente sul collegamento HVDC stesso.

L’implementazione di un convertitore sincrono nella stazione di conversione è un provvedimento gravoso dal punto di vista operativo ed economico, considerando la necessità del sistema di controllo e la manutenzione regolare da svolgere sia sulla macchina elettrica che sulla sorgente primaria di trascinamento della macchina (motore Diesel)

Qualora si voglia dotare il collegamento LCC di capacità di riaccensione, senza l’utilizzo di un compensatore rotante può essere presa in considerazione l’opzione di dotare le due stazioni di conversione (o quanto meno la stazione della rete più probabilmente soggetta a rischio di black-out) con un convertitore di tipo VSC ausiliario dimensionato per potenza apparente inferiore. Il convertitore VSC, all’occorrenza, verrà messo in funzione in sostituzione nel convertitore a commutazione naturale nella stazione dal lato ove è avvenuto il fuori servizio. Il detto convertitore avendo la possibilità di controllare in maniera indipendente e con rapidità i flussi di potenza attiva e reattiva, può compiere servizi ausiliari di rete, coadiuvando il convertitore LCC anche in condizioni di funzionamento normale. Ciò comporta un migliore sfruttamento della risorsa non rilegandola al solo funzionamento come black start, che per quanto funzione importante è sfruttabile in rare occasioni. La potenza di dimensionamento dei convertitori ausiliari deve essere attentamente definita; deve essere tale da permettere l’alimentazione dei carichi passivi della rete fino all’arrivo ad almeno un gruppo di generazione ed alimentare i suoi ausiliari. Oltre che la potenza attiva deve fornire l’adeguato ammontare di potenza reattiva per compiere la regolazione di tensione e essere in grado di compiere autonomamente la regolazione di frequenza durante tutto il periodo di riaccensione. La potenza di dimensionamento non deve però essere eccessiva, in modo da non perdere i vantaggi economici che si hanno nella realizzazione di un’apparecchiatura di dimensioni ridotte.

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In aggiunta, la presenza di un convertitore VSC supplementare potrebbe essere valutata per permettere la commutazione delle valvole della struttura principale, permettendo il pieno utilizzo della potenza del collegamento durante il fuori servizio della rete. Tale opportunità non verrà però analizzata in questo lavoro.

L’utilizzo dei sistemi HVDC per la messa in servizio di una rete permette lo sfruttamento di fonti energetiche normalmente non disponibili come risorse black start quali ad esempio gli impianti eolici. Per massimizzare la possibilità di sfruttamento della risorsa eolica è necessario che gli impianti siano caratterizzati da un buon numero di ore equivalenti annue di sfruttamento. Questa situazione è più comune soprattutto in impianti off-shore, in particolar modo nel Mare del Nord.

Nel momento in cui si voglia far funzionare il collegamento HVDC per la riaccensione è necessario prevedere un particolare tipo di controllo per i due terminali.

Finora gli studi relativi agli HVDC come black start si sono per lo più concentrati su configurazioni composte da terminali entrambi utilizzanti convertitori di tipo VSC. Nel caso in cui si utilizzino due VSC l’idea di fondo è di utilizzare uno dei due terminali, quello operante da raddrizzatore ovvero collegato alla rete sana, come nelle condizioni normali, ovvero regolando la tensione lato DC, agendo sulla fase della fondamentale della tensione lato rete alternata. In questa modalità la rete sana, che è spesso controllata da un altro gestore rispetto a quello esercente la linea dove è avvenuto il guasto, lavora senza dover modificare il suo assetto di controllo.

L’altro terminale ovvero quello dalla parte del terminale ricevente collegato con la rete che ha subito il blackout, ha due possibilità di controllo:

1) Lavorare a modulo della tensione fissata e con controllo della frequenza.

2) Lavorare con controllo di tipo droop (con statismo) sia per il controllo frequenza/potenza che per controllo tensione/potenza reattiva.

Data la struttura delle reti moderne e la necessità di rialimentare e mettere in parallelo le centrali spente o in load rejection, la modalità di controllo che sembra migliore è quella di implementare al terminale ricevente del collegamento un controllo con statismo sia per la frequenza che per la tensione con l’aiuto eventuale di un integratore locale di frequenza (questo non fa altro che una specie di controllo secondario locale, in quanto quest’ultimo non può essere attuato fin che la rete non risulta interconnessa).

Un controllo cosi implementato permette agli eventuali generatori di rete AC che ha subito il blackout rimasti accesi in load rejection di incrementare gradualmente la presa di carico, mentre lascia al collegamento HVDC l’onere della regolazione di frequenza

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Un esempio interessante di riaccensione di rete spenta attraverso VSC-HVDC è l’EirGrid (TSO irlandese) East-West Interconnector, un sistema di trasmissione HVDC da 500 MW che collega l’Irlanda al Regno Unito; questo link è stato testato con successo come impianto di black start durante il periodo di commissioning dell’impianto, risultando capace di avviare parte della rete elettrica irlandese attraverso il terminale HVDC del Regno Unito.

Altre ricerche riportate in bibliografia [4],[5],[6],[7] propongono soluzioni come black start orientate all’utilizzo di grandi impianti eolici off-shore dove il convertitore principale è sempre un VSC.

Esso opera come una macchina sincrona, per cui autonomamente svolge la regolazione di frequenza e di tensione e abilita la wind farm a essere usata come un’unità stand alone di generazione, con il vantaggio di una maggior velocità di risposta e una minore impedenza interna.

Sempre considerando gli impianti eolici, gli studi differiscono per quanto riguarda il convertitore presente al terminale di conversione on-shore. Nel primo caso è utilizzato un VSC, nel secondo caso un LCC (off-shore è sempre un VSC). In [5] la procedura di riaccensione consiste nell’energizzare la linea DC usando il convertitore VSC off-shore come raddrizzatore; successivamente viene attivato dall’inverter sulla costa. In [6] invece il convertitore on-shore LCC è usato come raddrizzatore e il VSC off-shore è utilizzato successivamente. Nell’ultimo caso ci sono importanti benefici in caso di guasto sul bus DC, in questo caso infatti la corrente di cortocircuito è limitata dall’LCC on-shore. In [7] è presentata una sequenza di accensione innovativa, in cui abilita la linea DC ad essere energizzata attraverso l’energia accumulata in condensatori installati al lato DC del convertitore utilizzato per controllare la frequenza nelle turbine eoliche equipaggiate con il DFIG (Double Fed Induction Generatos). La sincronizzazione della wind farm con il sistema della costa è ottenuta attraverso un sincronofasore.

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