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4.1

PREMESSA

Nell’attuale mondo in cui viviamo è sicuramente necessario ridefinire l’identità del volontariato, chiarendo prima di tutto il significato di una delle sue due principali caratteristiche: la gratuità. Questa può essere intesa come assenza di remunerazione o come virtù e predisposizione di spirito; è proprio qui che risiede la caratteristica distintiva di un’organizzazione di volontariato: non fare le cose per gli altri, ma con gli altri.Il volontariato inoltre si fonda sul concetto di dono, nel quale, a differenza dello scambio economico, è assente la ricerca della massimizzazione del profitto da parte di chi dona o di chi riceve, o in generale manca la certezza di essere ricambiati in qualche modo. Esso alimenta la creazione e il rafforzamento di legami e relazioni interpersonali, portando alla nascita di rapporti di fiducia che rappresentano il collante fondamentale del sociale, con il fine di contribuire al benessere individuale e all’aumento del capitale sociale.

Il volontariato svolge inoltre una forte funzione partecipativa e politica, testimoniata dal fatto che, quanto più aumentano le difficoltà nella governabilità della società, minore è la partecipazione dei cittadini all’interno dei canali istituzionali e maggiore è al di fuori di essi255 (nelle strutture non profit o di volontariato appunto). Le nuove forme di volontariato quindi rappresentano una specie di

spia della crisi dello Stato e del welfare state, ricoprendo un ruolo e delle funzioni fondamentali per superarla. Negli ultimi anni inoltre, come testimoniato dalle varie ricerche riportate in questo elaborato, si è notevolmente rafforzato il legame tra volontariato e imprenditorialità, legame che si è concretizzato con la diffusione del volontariato d’impresa e la nascita delle imprese sociali. A tutto ciò si può aggiungere la possibilità di trasformare la propria esperienza di volontariato in un vero e proprio lavoro, possibilità rivolta soprattutto ai giovani (ma non solo) per combattere la forte disoccupazione nazionale ed europea che sembrerebbe aumentare sempre più.

4.2

IL VALORE AGGIUNTO DEL VOLONTARIATO

Negli ultimi tempi il valore del volontariato rappresenta un tema che sta richiedendo sempre maggiore attenzione data la forte crescita e il profondo cambiamento a cui sono soggette le diverse organizzazioni che vi operano. La crisi economica, finanziaria e forse anche culturale infatti ha portato alla luce il bisogno di affermare i suoi valori fondamentali quali la libertà, la gratuità,

255 “IV Conferenza nazionale del volontariato - Il volontariato giovane: Concetti, evoluzione, motivazioni”,

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solidarietà, la centralità della persona, la sussidiarietà, l’accoglienza e la democrazia partecipata, ovvero tutte qualità che creano un’importante coesione e cooperazione sociale, lasciando una scia tangibile di risposta ai continui bisogni emergenti nelle comunità.

Vi sono diversi aspetti però che alcune volte non vengono presi in considerazione nelle analisi sul valore e sull’impatto che genera il volontariato (inteso come solidale e imprenditoriale allo stesso tempo), ma che invece meritano una particolare attenzione, in quanto, considerati nel loro complesso, rappresentano un suo ulteriore valore aggiunto. Questo valore, anche se non sempre misurabile in termini quantitativi, può portare a diverse benefici e può rappresentare una forte attrattiva per i giovani che vogliono cimentarsi in questo mondo. Di seguito vengono riportati alcuni di questi aspetti che considerano il volontariato in senso lato, quindi sia solidale che imprenditoriale.

LA CRESCITA PERSONALE E PROFESSIONALE → come abbiamo visto, obiettivo del volontariato e delle imprese sociali non è solo quello di offrire beni e servizi che rispondano ai bisogni della collettività, ma è anche quello di dare la possibilità di maturare e di potersi realizzare, diventando, per chi lo svolge, un’opportunità di crescita sia professionale che personale. L’azione volontaria infatti crea valore in tre direzioni arricchendo: chi la riceve, chi la offre e l’intera società, in quanto si rivolge sia a utenti esterni, ovvero coloro che si trovano in situazioni di bisogno, sia a utenti interni (i volontari stessi), ovvero coloro che offrono concretamente aiuto.

Tale attività permette di confrontarsi e di definire meglio la propria identità all’interno di un contesto costituito da persone che condividono lo stesso impegno oppure, più in generale, all’interno dell’intera comunità: fare volontariato può, entro alcuni limiti, rendere più chiaro quali sono i valori in cui si crede e quali si è disposti a mettere in pratica sacrificando parte del proprio tempo. Il volontariato rappresenta una ricca esperienza di apprendimento, in quanto permette di sviluppare capacità e competenze sociali, di contribuire alla solidarietà e di aggiungere valore al singolo, alle comunità e alla società nel suo complesso. Naturalmente tutto questo deve essere ben ponderato: fare volontariato non costituisce una medicina ai mali e alle difficoltà individuali, ma rappresenta sicuramente un aiuto a vivere in maniera più piena la vita e a meglio concretizzare i propri ideali morali.

LA PARTECIPAZIONE E LA RESPONSABILIZZAZIONE → attraverso la partecipazione, l’impegno e l’intervento nelle attività di volontariato, gli individui e le autorità locali vengono responsabilizzati e maggiormente coinvolti nelle diverse iniziative. La partecipazione quindi porta automaticamente a un aumento di responsabilità, che comporta a sua volta una maggiore fiducia in

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se stessi, sia da parte delle autorità locali (contribuendo allo sviluppo dell’identità regionale) sia da parte degli individui (apportando un contributo positivo alla vita della collettività).

LA CREAZIONE DI OCCUPAZIONE → le organizzazioni della società civile possono essere viste come creatrici di occupazione256. Presumibilmente il Terzo Settore è l’unico settore che negli ultimi anni ha aumentato il numero di occupati, sia a livello nazionale che a livello europeo (l’Europa sta puntando molto sul concetto che fare volontariato aumenti le possibilità di trovare lavoro delle persone). Tutto il settore (volontariato compreso), con particolare attenzione al nuovo fenomeno delle imprese sociali, infatti svolge un ruolo molto importante nel favorire l’occupabilità: da una parte, i volontari, durante il loro operato, acquisiscono un ampio bagaglio di capacità e competenze che possono sfruttare nel mondo lavorativo, dall’altra, le organizzazioni e le imprese sociali stesse hanno la capacità di creare direttamente nuovi posti di lavoro. È evidente però che queste realtà sociali, nel loro complesso, anche se possono offrire un contributo non marginale alla crescita dell’occupazione, non possono sicuramente risolvere da sole il problema della disoccupazione.

Secondo una comunicazione della Commissione europea (COM(2007)0498) “favorire il pieno coinvolgimento dei giovani nell’istruzione, nell’occupazione e nella società attraverso le attività di volontariato consente agli stessi di acquisire un’utile esperienza di apprendimento non formale, che permette loro di acquisire competenze facilitandone il passaggio dall’istruzione al lavoro con la possibilità di trasformare il proprio volontariato in impresa sociale”257. Il volontariato quindi, essendo un mezzo di formazione permanente, offre reali opportunità per i giovani di accedere più facilmente al mondo del lavoro o ambire a occupazioni meglio retribuite o ancora avviare una propria impresa sociale.

LA CREAZIONE DI CAPITALE SOCIALE → il volontariato e le nuove realtà sociali possiedono la capacità di contribuire alla creazione di capitale sociale (stimolando la solidarietà e l’aiuto reciproco, estendendo le relazioni di fiducia e promuovendo il coinvolgimento dei cittadini alla soluzione dei problemi sociali, soprattutto nelle aree economiche più svantaggiate), considerato sempre più un fondamentale motore di sviluppo per le economie moderne. Il concetto di capitale sociale non è facile da definire, può essere inteso come “l’insieme delle risorse disponibili e utilizzabili da un individuo, un’organizzazione o un territorio in un determinato contesto sociale,

256 Il Libro Bianco della Commissione europea, già nel 1993, indicava il Terzo Settore come una delle possibili

soluzioni al problema della disoccupazione in Europa.

257 Comunicazione della Commissione europea del 5 settembre 2007, al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni intitolata “Favorire il pieno coinvolgimento dei giovani nell'istruzione, nell'occupazione e nella società”.

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culturale ed economico”258. Viene perciò visto come una vera e propria risorsa (come il capitale fisico, ovvero i beni materiali o monetari, e il capitale umano, ovvero le persone) legata alla dimensione relazionale e quindi intangibile, essendo costituito da legami e relazioni sociali (durature nel tempo) la maggior parte delle quali sono costruite spontaneamente, anche se non si può escludere la possibilità che rappresentino il risultato di strategie di investimento sociale con il fine di ottenere un ritorno economico259. Importante caratteristica del capitale sociale è la sua natura di bene pubblico, in quanto porta benefici non solo a sé stesso, ma a tutti gli individui coinvolti (secondo il principio di esternalità).

Una seconda definizione che può completare la precedente è quella che individua il capitale sociale come “l’insieme delle relazioni che si instaurano tra gruppi di persone che hanno la caratteristica di aumentare il grado di fiducia esistente tra le persone stesse”260, il quale a sua volta favorisce l’azione collettiva per un fine comune.

Secondo alcuni autori, tra cui Stefano Zamagni261, non è possibile considerare un’unica tipologia di capitale sociale, dato il suo differente sviluppo a seconda del territorio, ne sono stati infatti individuati tre tipi:

tipo bonding → rappresenta la rete delle relazioni di fiducia che possono instaurarsi all’interno di gruppi omogenei (ad esempio la città, il quartiere, la regione o la famiglia);

tipo bridging → consiste nell’insieme delle relazioni fiduciarie tra membri appartenenti a gruppi eterogenei, ovvero diversi, che però permettono il contatto tra ambienti socio- economici e culturali differenti (ad esempio i circoli sportivi);

tipo linking → riguarda le reti di fiducia verticali che collegano individui che si trovano in posizioni di potere diverso (ad esempio la società politica o commerciale o civile, il mondo

for profit o quello non profit), dando la possibilità di accedere a un più esteso range di

risorse rispetto a quello della semplice comunità di appartenenza262.

La precedente classificazione rappresenta una delle ragioni che possono spiegare il diverso sviluppo e la differente diffusione del Terzo Settore (inteso come l’insieme di tutti i suoi elementi, dal volontariato puro alle imprese sociali) tra le regioni italiane, dato che non tutte queste tipologie naturalmente hanno gli stessi effetti sul progresso di un territorio (ad esempio la presenza troppo elevata del capitale di tipo bonding costituisce un impedimento allo sviluppo). Questo spiega perché

258 “Relazionalità diffusa e capitale sociale nelle associazioni di volontariato della Toscana - Rapporto di ricerca”, a cura

di Andrea Volterrani, Andrea Bilotti, Stefania Carulli.

259 www.socialimpactinvestment.org.

260 “Capitale sociale: ci vuole un giusto equilibrio”, Federica Frioni, Idee.

261 Economista italiano, professore ordinario di Economia Politica all’Università di Bologna, ex Presidente dell’Agenzia

per il Terzo Settore e attuale Presidente dell’Agenzia per le Onlus.

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il Sud Italia è meno sviluppato del Nord263: nelle regioni meridionali infatti vi è molto capitale sociale, ma del tipo sbagliato, ovvero di tipo bonding (la maggior parte delle relazioni fiduciarie infatti nasce all’interno delle famiglie, le quali diventando spesso dei gruppi chiusi, con il rischio di un aumento della corruzione e del nepotismo), troppo poco di tipo bridging e quasi per nulla di tipo

linking; per questo territorio quindi servirebbe aumentare quello di tipo bridging (importante per lo

sviluppo economico) ed eventualmente anche quello di tipo linking (per uno sviluppo non solo economico, ma anche civile e morale)264. Naturalmente questo non vuol dire che il capitale di tipo bonding non serva, ma è necessario trovare il giusto equilibrio tra tutti e tre. È quindi importante

che, nelle realtà sociali dove ne manca uno o due, venga fatta leva su questi, con il fine di promuovere uno sviluppo completo della società.

Il volontariato, essendo per sua natura un fenomeno universale, gode di una forte influenza positiva e riveste un ruolo importante nello sviluppo del capitale sociale grazie alla sua capacità di modificarne la composizione interna nei diversi territori, di solito riducendo il primo (rappresenta l’antidoto per quello di tipo bonding), equilibrando il secondo e soprattutto aumentando il terzo. È opinione condivisa infatti che i territori dove l’azione volontaria è più diffusa siano anche i luoghi in cui la composizione del capitale sociale è migliore e la sua quantità maggiore.

A confermare ciò che è stato appena analizzato, è necessario ricordare che la presenza di capitale sociale, di legami di fiducia e di norme di reciprocità è fortemente collegata alla crescita economica e alla presenza di un governo democratico, dato il fatto che spesso le norme di cooperazione trasmesse e condivise all’interno del volontariato vengono esportate nelle sfere politiche ed economiche. In Italia (maggiormente al Nord, in quanto vi sono più OdV, che al Sud), infatti, le regioni con alti livelli di fiducia e impegno volontario sono anche quelle con un più alto livello di stabilità politica, efficacia governativa, solidarietà e crescita economica.

In conclusione, il capitale sociale, rappresentando non solo un insieme di relazioni, interazioni sociali e cooperazioni, ma anche di norme, valori e istituzioni costituisce un forte contributo alla crescita economica e al benessere dei cittadini, permettendo così di perseguire in modo più efficiente ed efficace i diversi obiettivi comuni.

LA PRODUZIONE DI COESIONE SOCIALE → dato che la ripresa economica necessita di tutti gli effetti positivi che la coesione sociale può produrre (come il miglioramento delle condizioni di vita, del benessere delle comunità, della qualità dell’offerta di servizi, ecc.), quest’ultima può

263 Già nel 1993, Putnam, esperto di politica e sociologia americano, ha riportato il medesimo ragionamento all’interno

del suo elaborato “Making Democracy Work”, spiegando che il rallentamento della crescita delle regioni meridionali, la poca efficienza e l’indebolimento dei rapporti di fiducia con soggetti esterni erano causati dalla troppa presenza del capitale di tipo bonding.

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assumere un vero e proprio valore economico. La più grande capacità della coesione sociale è quella di arricchire il sistema di welfare di soggetti non pubblici e vicini ai bisogni dei cittadini (famiglia e Terzo Settore), in grado di affiancare lo Stato e il mercato soprattutto in quei settori non particolarmente oggetto della loro attenzione e quindi di favorire una maggiore tutela ai diversi soggetti (soprattutto i più svantaggiati). La coesione sociale è favorita sicuramente dalla capacità del volontariato e delle imprese sociali di costruire legami di fiducia e di reciprocità all’interno della società, facendosi mezzo di connessione tra i diversi attori. Il volontariato, rafforzando la coesione e l’integrazione sociale, migliora sicuramente la qualità della vita (aumentando la gamma di servizi offerti) e funge da meccanismo di pressione popolare per ottenere dal settore pubblico e dal mercato maggiore trasparenza e responsabilità nei confronti degli impatti sociali e politici delle loro azioni265, diventando quindi uno strumento fondamentale di sviluppo e cambiamento.

LO SVILUPPO LOCALE → la maggior parte delle OdV e delle imprese sociali sono di piccole dimensioni e quindi operano su territori limitati, assumendo così il ruolo di attore fondamentale per lo sviluppo locale; riuscendo a riconoscere con maggiore facilità i bisogni delle comunità (soprattutto quelli dei gruppi più emarginati) e a creare e utilizzare capitale sociale. La loro posizione di vicinanza tra domanda e offerta inoltre può contribuire a creare anche una domanda locale di lavoro più stabile. Infine, il loro intervento a favore dello sviluppo locale potrebbe in futuro ampliarsi fino a comprendere servizi ambientali, culturali, di trasporto, ecc..

LA FUNZIONE ECONOMICA → intesa come l’apporto di ricchezza materiale, economica e finanziaria che le realtà sociali producono attraverso le loro attività, con l’eventuale possibilità di includere tale valore nel calcolo del PIL nazionale ed europeo. Dando per certo che tutti concordino sul fatto che i beni e i servizi che producono, come tutti quelli prodotti dal mercato e dallo Stato, possiedono un valore di scambio, altrettanto assodato è che tale valore non sia immediatamente trasformabile in ammontare economico a causa della presenza di lavoro volontario. Il dibattito su come misurare il valore economico del volontariato è ancora poco sviluppato266 non solo in Italia. Premettendo il fatto che molto spesso nel mondo di oggi si ritiene che ciò che non può essere misurato semplicemente non conti, ovvero non abbia un valore economico, vi possono essere diverse ragioni che sottolineano l’importanza di misurare il volontariato, il cui valore, anche se non si possiede un’effettiva certezza, sicuramente non è zero. È indiscusso che il volontariato sia una

265 “Prefazione: le missioni e le professioni del volontariato”, Luigi Ceccarini e Ilvo Diamanti, in Il volontariato nelle

Marche: Uno sguardo d’insieme - CSV Marche, Ancona, Giugno 2006.

266 Il che porta il problema di un’impossibilità nella comparazione di tale valore tra i Paesi, in quanto, è possibile che

venga utilizzata una valutazione diversa o che si raccolgano variabili diverse (in molti casi ad esempio si conta il numero dei volontari, ma ci si dimentica di chiedere quante ore di volontariato svolgono) o addirittura che non venga proprio preso in considerazione il valore.

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risorsa importante per i popoli, ma solo attraverso dati, numeri e statistiche è possibile capirne realmente la grandezza, la composizione e, dunque, il suo impatto economico sulla società; a questo si aggiunge la possibilità che, una sua misurazione, possa incrementare lo stesso volontariato, dando alle persone una soddisfazione e un riconoscimento universale per il loro impegno.

Gli studi fino a ora effettuati, al fine di individuare un suo contributo economico, prendono in considerazione il Terzo Settore nel suo insieme e non solamente il volontariato, anche se i metodi di calcolo utilizzati possono essere tranquillamente utilizzati anche solo per quest’ultimo. Esistono diverse metodologie che valorizzano tale contributo da diverse prospettive, differenziandosi sia per il tipo di informazioni che per le assunzione teoriche che utilizzano. Questi metodi possono essere classificati in due grandi famiglie:

i metodi diretti (basati sull’output) → consistono nell’attribuire l’equivalente prezzo di mercato ai beni e servizi prodotti dal Terzo Settore;

i metodi indiretti (basati sull’input e solitamente utilizzati quando non vi sono beni o servizi analoghi sul mercato) → basati sui costi della funzione di produzione, all’interno della quale, viene preso in considerazione il tempo dedicato al volontariato come unità di misura, stimandolo sul piano economico come costo opportunità267 o come costo di sostituzione268. Gli studi condotti a livello internazionale mostrano che l’occupazione nel settore del non profit rappresenta una quota che va dall’1 al 7% dei totali nazionali e che, in Italia, risulta intorno al 2,5- 3% (valori che non considerano però il contributo del personale volontario). La valutazione dell’impatto economico del volontariato risulta quindi essere molto complessa essenzialmente per due motivi: i beni e i servizi delle OdV sono scambiati solitamente al di fuori del mercato, mentre quelli delle imprese sociali sono solitamente venduti a un prezzo inferiore rispetto ai costi sostenuti e la stima del valore del personale può essere effettuata solo se si accetta un’approssimazione al reale valore, assumendo come ipotesi la possibilità di equiparare economicamente e qualitativamente il lavoro volontario al lavoro svolto dai dipendenti retribuiti nel medesimo settore. L’ISTAT ha svolto, nel 2011, una prima ricerca intitolata “La valorizzazione economica del lavoro volontario nel settore non profit” (utilizzando i dati del censimento 2001269), con la quale ha cercato

267 Viene calcolato il salario che il volontario guadagnerebbe lasciando il volontariato ed entrando nel mercato

(Moreschi, 2003). Questo metodo però non può essere applicato nei casi di volontari disoccupati o pensionati; inoltre il valore riconosciuto al proprio tempo da ogni individuo è soggettivo e quindi difficilmente quantificabile e confrontabile.

268 Viene calcolato il costo che si dovrebbe sopportare se il lavoro svolto dal volontario si dovesse acquistare sul

mercato o si dovesse assumere un lavoratore per svolgere gli stessi servizi (Moreschi, 2003). Viene fatta l’assunzione che i volontari e gli omologhi lavoratori di mercato presentino la medesima produttività. Con questo metodo si assegna un valore economico al tempo necessario per ogni funzione svolta, ma è difficile avere informazioni che consentano di distinguere l’ammontare delle ore di volontariato destinate allo svolgimento di specifiche funzioni e le competenze legate a una retribuzione di mercato.

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di attribuire un valore economico (utilizzando il metodo basato sul costo di sostituzione) a tutti quegli individui che svolgono un’attività di volontariato in Italia (nel 2001 erano stimati intorno ai 3.315.327). La ricerca ha rilevato il numero di volontari per ogni organizzazione non profit, a seconda della modalità di svolgimento dell’attività (saltuaria o continuativa), e il numero medio di ore prestate da questi nel mese di riferimento (dicembre 1999), naturalmente effettuando alcune premesse:

 il tempo dedicato annualmente al volontariato non è dato dalle ore effettive ma dalla somma

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