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La valutazione del canone d’affitto d’azienda 1 Considerazioni teoriche

6. I metodi di valutazione dell’azienda nell’ambito delle procedure

6.3. La valutazione del canone d’affitto d’azienda 1 Considerazioni teoriche

La stima di un canone “congruo” nell’ipotesi di affitto d’azienda rappre- senta una tematica già affrontata in passato dalla letteratura economico- aziendale, la quale ha proposto a tal fine vari approcci.

In particolare alcuni Autori 162 hanno affermato che il valore del canone

“congruo” di affitto risulta pari al prodotto tra il valore del capitale econo- mico dell’azienda (o ramo d’azienda) concessa in affitto e un tasso di remu- nerazione del capitale investito nell’azienda medesima. Allo scopo di deter- minare il valore del capitale economico, tali Autori sostengono che i metodi fondati su grandezze flusso, quali i metodi finanziari, reddituali e misti, sia- no di scarsa utilità in quanto nell’applicazione della formula di determina- zione del canone “congruo” i flussi attesi rappresentano proprio l’incognita da determinare, generando conseguentemente problemi di circolarità. Per ta- le ragione essi sostengono la necessità di stimare il valore economico dell’azienda ricorrendo ai metodi patrimoniali complessi, ovvero sommando al patrimonio netto rettificato il valore dei beni immateriali non contabilizza- ti. In merito al tasso di remunerazione, tali Autori affermano che debba esse- re calcolato sommando un tasso risk free e un risk premium rappresentativo del rischio economico d’impresa, determinato utilizzando la tecnica del Ca- pital Asset Pricing Model (CAPM) o tramite la regola empirica cosiddetta di Stoccarda. Qualora l’affitto sia concesso nel corso del concordato preventi- vo, il valore del capitale economico o dell’attivo operativo dovrebbe essere determinato sempre ricorrendo alle metodologie sopra esposte prevedendo tuttavia, allo scopo di tener conto che la società si trova in situazione di de- fault e quindi incapace di remunerare in maniera “congrua” il capitale inve- stito, di sottrarre dal valore così stimato l’ammontare di una correzione red- dituale quantificata attualizzando i differenziali tra i redditi giudicati “con- grui” e i redditi normalizzati che verranno realizzati nei successivi 3-5 eser- cizi.

Un altro Autore 163, facendo riferimento all’operazione di affitto decisa dagli organi della procedura di concordato preventivo, afferma che il cano-

162 Cfr. M. L

ACCHINI-R. TREQUATTRINI, Sulla individuazione del canone «congruo» in ipotesi di affitto d’azienda (con particolare riguardo alle imprese in fallimento), in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, luglio-agosto 1998.

163 Cfr. A. D

ANOVI, Fallimento, valutazione e affitto d’azienda, in Rivista dei Dottori

ne, qualora sia determinato in misura fissa, debba essere pari al prodotto tra il valore dell’azienda (o del ramo d’azienda) concessa in affitto e una per- centuale Į. Più precisamente, secondo l’Autore in parola il valore dell’a- zienda deve essere calcolato facendo ricorso al metodo patrimoniale mentre la percentuale Į risulta essere inversamente proporzionale alla deperibilità delle componenti immateriali d’azienda e deve essere determinata conside- rando, quale limite superiore, il concetto di redditività normale del settore e scendendo, a seconda delle ipotesi, a valori tendenti a zero.

Infine un altro Autore 164 ancora propone di determinare il canone di affit-

to come prodotto tra il valore d’uso del patrimonio aziendale e un tasso di congrua remunerazione dell’investimento effettuato. Il valore d’uso viene identificato nel capitale economico, determinato attualizzando i risultati atte- si dall’impiego del capitale dell’azienda (o del ramo d’azienda) oggetto del contratto d’affitto. Si nota sul punto una differenza rispetto alle impostazioni seguite dagli altri Autori i quali, come sopra specificato, al fine di stimare il canone “congruo” suggeriscono di calcolare il valore dell’azienda applican- do il metodo patrimoniale. In relazione alla stima del tasso di “congrua” re- munerazione, tale Autore afferma che deve essere innanzitutto considerato il rischio di insolvenza dell’affittuario, ovvero il rischio che non sia in grado di rispettare gli impegni di pagamento derivanti dal contratto. Il tasso deve per- ciò riflettere il rischio di default dell’affittuario, che dipenderà dalla sua si- tuazione economico-finanziaria e dall’eventuale presenza di garanzie che as- sistono il contratto. Inoltre è da tenere in considerazione che, se le differenze inventariali non sono determinate sulla base della variazione del capitale economico tra l’inizio e la fine del contratto, bensì solamente riferendosi alle modifiche intervenute nelle consistenze patrimoniali, l’affittuario sostiene in aggiunta il rischio di riduzione del valore dell’avviamento relativo all’azien- da oggetto del contratto di locazione. In tal caso il tasso di remunerazione deve comprendere, oltre alla componente che riflette il rischio di default, una percentuale aggiuntiva che rappresenti il rischio che si verifichi una va- riazione inattesa del capitale economico nel corso della durata dell’affitto.

Pur presentando differenze nelle modalità di rilevazione dei singoli pa- rametri rientranti nella formula di stima, si rileva che gli approcci sopra rias- sunti sono sostanzialmente concordi nell’affermare che il canone cosiddetto “congruo” può essere quantificato moltiplicando il capitale economico del- l’azienda per un tasso di remunerazione. In definitiva, secondo i citati Auto-

164 Cfr. A. M

ECHELLI, La stima del valore congruo del canone di locazione nell’ipotesi di

ri, il valore così calcolato rappresenterebbe l’ammontare che giustifica la realizzazione di un’operazione di affitto d’azienda da parte di un imprendi- tore, oppure la decisione di un curatore di subentrare in un contratto stipula- to prima dell’accesso alla procedura di fallimento o di concedere in affitto l’azienda successivamente all’apertura del fallimento.

6.3.2. La prassi applicativa

L’affitto dell’Azienda, teso ad evitare l’interruzione della continuità aziendale, salvaguardando al meglio la clientela e di conseguenza la forza lavoro della società dichiarata fallita, si presenta normalmente con le caratte- ristiche dell’affitto “minimale”, senza trasferimento di crediti e debiti, di magazzino, con spese di manutenzione ordinaria a carico dell’affittuario e di quelle straordinarie eventualmente sostenute dall’affittuario, a carico della concedente.

Alla luce delle sopra richiamate considerazioni teoriche, il valore del congruo canone di affitto visto in funzione del valore economico dell’azien- da concessa in affitto può essere individuato con la seguente espressione:

FR = W x R

dove:

FR = Fair Rent (Congruo canone di affitto); W = Valore economico dell’Azienda;

R = Tasso di congrua remunerazione del capitale investito che tenga con- to del rischio sottostante.