Capitolo 4 ⁓ Le tecniche lean in α ⁓
4.2 Vantaggi operativi per gli artigiani
Come già precisato nel primo paragrafo, è stata svolta un’analisi sull’implementazione delle tecniche lean nel reparto intreccio di α.
Esso costituisce il vero e proprio collo di bottiglia dell’azienda e, per questo motivo, risulta necessario riportare alcune precisazioni e trarre delle conclusioni ragionate da quanto è emerso dall’analisi riportata.
Nel seguente paragrafo si vogliono ripercorrere questi miglioramenti, evidenziando l’impatto che essi hanno avuto sulle performance dell’azienda.
Il primo step è stato calcolare quale fosse il ritmo di produzione dell’azienda per le due principali famiglie di prodotto (handbags e smlg), sottolineando il fatto che il tempo dedicato alla creazione di un pezzo handbags è il doppio rispetto ad uno smlg. Da qui in poi l’analisi si concentra sui prodotti handbags, essendo le conclusioni estendibili anche ai prodotti smlg.
Ricavato il ritmo di produzione e compresa la configurazione della supply chain (MTO ovvero produzione ibrida tra quella su previsione e su commessa), si è passati al primo intervento lean: portare il tempo ciclo ad un valore minore o uguale al takt time tramite un process kaizen. La riassegnazione degli operatori alle diverse fasi ha consentito di avere un rapporto unitario tra le lavorazioni di taglia fettucce e trancia bandine, consentendo un bilanciamento in termini di tempo, una sincronizzazione tra fasi successive e di diminuire drasticamente la possibilità che vi sia un accumulo di scorte tra di esse.
L’identificazione di un pacemaker (la fase d’infilatura) ha consentito una diminuzione e una semplificazione (meno errori e maggiore precisione) del carico
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di lavoro dell’ufficio Pianificazione della Produzione. A valle dell’infilatura, quindi, è stato necessario adottare un sistema di pianificazione Heijunka che consentisse di ottenere un flusso di tipo one-piece-flow. Questo è stato sicuramente il punto più critico dell’implementazione, dovendo fare i conti con il fatto che si parla sempre di lavorazioni artigianali e le tempistiche sono difficilmente standardizzabili e definibili con precisione. Qui la capacità si snoda sull’adattamento della tecnica lean al contesto in questione: si è rivelato necessario generare una classificazione dei prodotti sulla base dei tempi di lavorazione (classi d’infilatura) e assegnare un range sensato di classe che riuscisse a risolvere un trade-off critico: non avere un numero di classi troppo elevato (difficoltà di gestione) e non avere un range di classe troppo ampio (carenza di precisione e d’efficacia dell’Heijunka).
Dapprima, si è svolto un livellamento dei volumi. Tuttavia, si è riscontrato come nelle commesse contenti lo stesso articolo variasse molto la quantità (variabilità dei tempi d’infilatura tra le commesse troppo elevata). Di conseguenza si è rivelata necessaria la realizzazione di una produzione di tipo “mix modelling” che garantisse la creazione di piccoli lotti di produzione frequenti e uguali fra loro, in modo tale da garantire una distribuzione il più possibile uniforme di una così elevata varietà di produzione (8 classi solo per le handbags).
Una volta progettati i lotti di produzione, non resta che gestire l’aspetto operativo. Garantire che fosse rispettata la sequenza e la tempistica, riducendo al minimo i tempi morti e massimizzando l’efficacia della comunicazione, è il motivo principale per cui si è ritenuta necessaria l’adozione di un sistema kanban (implementato sul tabellone Heijunka).
Risultato globale: dimezzamento del lead time complessivo (da 15 a 7 giorni) che quindi va a diminuire il gap esistente tra processing time e lead time.
I vantaggi ottenuti con l’Heijunka sono così riassumibili:
❖ i piccoli lotti e la distribuzione equilibrata nel tempo non privilegiano articoli particolari;
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❖ i piccoli lotti versati vengono consumati in tempi brevi e reintegrati solo da altri piccoli lotti: i magazzini sono bassi o, addirittura, non esistono;
❖ piccoli lotti necessitano di poco materiale per volta: la loro distribuzione nel tempo consente un agevole ripristino del supermarket che si può mantenere basso e proporzionale al consumo medio;
❖ il livellamento del mix consente nel breve termine di assorbire agevolmente variazioni di fabbisogni improvvise;
❖ nel caso mancasse materiale, solo particolari modelli ne verrebbero coinvolti: il lavoro potrebbe continuare sugli altri modelli, modificando temporaneamente il
pattern; all’arrivo del materiale, si riprende la produzione dei modelli sospesi,
che continuerebbe fin quando il deficit non fosse colmato.
Negli ultimi due punti si anticipa già la problematica della “flessibilità” che verrà ripresa nel capitolo 5.
Infine, da un punto di vista riorganizzativo (del lavoro e del layout), si è rivelato estremamente efficace il metodo delle 5S.
Per quanto riguarda l’aspetto lavorativo, in un contesto fortemente artigianale, il banco di lavoro è il luogo fisico dove si genera il valore del prodotto α. Il fatto che questo sia organizzato (ordinato, pulito e libero dal superfluo) porta dei vantaggi consistenti in termini di velocità (agevolare le diverse operazioni eliminando tempi morti inutili) e di qualità del luogo di lavoro (che ha la stessa importanza della performance tempistica).
L’implementazione dell’approccio 5S ha consentito di raggiungere diversi risultati e in particolare:
❖ rendere evidenti a chiunque i comportamenti del sistema e delle persone che si discostano dagli obiettivi o dagli standard definiti;
❖ creare nelle persone l’abitudine mentale di mantenere il proprio posto di lavoro ordinato e pulito e di realizzare piccoli ma continui miglioramenti delle condizioni di lavoro;
❖ utilizzare in modo ottimale lo spazio disponibile;
❖ ridurre le perdite di tempo per la ricerca di materiali, attrezzi e documenti; ❖ ridurre i fermi impianto dovuti a malfunzionamenti;
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❖ rendere il posto di lavoro più ordinato e, quindi, più sicuro. [29]
Infine, per quanto riguarda le implicazioni sul layout del reparto, derivanti dall’applicazione del metodo delle 5S e dall’assunzione dell’ottica proposta dalla value stream futura, ha denunciato la necessità di una riprogettazione del reparto planimetria: infatti, le micro-fasi della taglia fettucce e della trancia bandine sono dei processi sincronizzati (per motivi legati, soprattutto, alla stessa lavorazione artigianale dei prodotti di α); pertanto, non avendo senso che siano fisicamente separate (lontane), si potrebbe pensare nel medio-lungo termine ad un profittevole progetto per α che dia il via a un ri-layout del reparto intreccio, tenendo conto delle premesse precedentemente elencate (Appendice C).
Si può affermare che le applicazioni delle diverse tecniche lean, analizzate nel paragrafo precedente (e rese qui esplicite), hanno portato non pochi miglioramenti (nel reparto intreccio), chiaramente diversi a seconda della tecnica presa in esame. Nel loro insieme, questi miglioramenti hanno permesso un incremento a cascata delle performance primarie dell’azienda.
❖ Prima fra tutte le performance, va citata quella di costo: l’implementazione delle tecniche lean ha, infatti, permesso all’azienda di standardizzare il flusso della maggior parte dei processi produttivi ed eliminare sprechi causa di inutili costi (riduzione tempi e spazi necessari alla produzione), comportando così una riduzione del costo unitario totale (per prodotti borse e smlg) del 15%, grazie anche all’eliminazione quasi definitiva delle scorte;
❖ Come si è visto, una diminuzione dei diversi lead time del reparto intreccio, che, ricordiamo, costituisce il collo di bottiglia della filiera α, ha permesso una riduzione in generale del takt time di α (12% circa) tramite una riduzione del lead time del reparto intreccio che da 15 giorni iniziali è stato ridotto a soli 7 giorni (riduzione del 53%): miglioramento della velocità.
❖ È stata garantita una gestione differenziata dei prodotti (Appendice F) tramite commesse con enti che definiscono diversi percorsi e tempistiche attraverso i diversi indotti, in modo tale da servire con performance diverse clienti con esigenze diverse circa il servizio di fornitura (nei modi e nei tempi); inoltre, l’azienda applica una gestione differenziata anche tra prodotti stagionali e special (con caratteristiche particolari che li pongono fuori dal carry-over); in
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ogni caso, di base l’azienda presenta un comportamento ‘agile’ che le permette di essere sempre reattiva e veloce nei confronti delle variazioni a valle della catena di fornitura: miglioramento dell’affidabilità.
❖ Sono state effettuate integrazioni di diversi sistemi informatici per la gestione lean del controllo qualità: prodotti fallati ridotti dell’8%; diminuzione del numero di fornitori tramite tecniche di sourcing providing (tecnica che permette di concentrare su un unico fornitore, definito provider, più codici d’acquisto, generalmente forniti da più fornitori) e system supplying (tecnica che consiste nel delegare ad un fornitore, definito system supplyer, la gestione di uno o più fornitori, definiti sub-supplier), oltre al miglioramento nel supporto dei fornitori derivante sempre dalla maggiore integrazione dei sistemi informatici aziendali con quelli dei fornitori: miglioramento della qualità.
❖ L’unica performance che ha risentito leggermente negativamente dell’implementazione delle tecniche lean è stata la flessibilità [Appendice D]; nel successivo capitolo si analizzerà meglio questa performance, critica per la gestione snella, cercando di capire quali siano le nuove soluzioni attualmente a disposizione nella letteratura e quali le future in via di sviluppo per compensare questo deficit.
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Capitolo 5 ⁓ Dal lean, il craft managment di α ⁓
Si è già largamente discusso di come il lean management e i suoi metodi riescano sul lungo periodo ad aumentare l’efficienza di un’azienda in termini di tempi e costi.
Tuttavia, quando si tratta di un’azienda come α e di un mercato come quello del lusso, si soffre di un forte deficit in termini di flessibilità nel momento in cui si fa affidamento a un approccio puramente lean.
L’alta flessibilità richiesta, nel caso studio in questione, è legata alle caratteristiche della domanda e alla potenziale variabilità dei tempi di lavorazione; in particolare, quest’ultimi sono, a loro volta, funzione di:
❖ abilità dell’operatore (artigiano);
❖ processo: spesso difficilmente automatizzabile; come già visto, le grandi realtà aziendali tendono sempre di più a compensare questo “vincolo” con una strategia di marketing che ponga il lavoro artigiano come vantaggio competitivo strategico (per la sua intrinseca manualità, manifestazione reale dello sforzo e della tradizione che il prodotto incarna);
❖ materiale: l’alto valore monetario unitario del materiale, oltre al dispendioso (in termini di costi e tempi) controllo della qualità del materiale stesso, dei semilavorati e dei prodotti finiti.
Questa variabilità genera dei colli di bottiglia che possono essere limitati soltanto tramite una supply chain che, oltre ad adottare le tecniche lean per snellire e, quindi, velocizzare il flusso, segua un modello agile (flessibilità alla variazione della domanda) integrato con un “nuovo modello di lean management” (che permetta sì di sistematizzare il flusso, ma anche di assorbire le variazioni dei tempi di lavorazione, senza lasciare che la rigidezza del modello puramente lean lasci che queste causino ritardi nelle consegne o generino eccessivi accumuli di scorte).
Queste considerazioni trovano conferma nello stesso caso studio di α: infatti, l’azienda applica molti metodi di lean management già da diversi anni. Tuttavia, l’utilizzo di queste tecniche ad oggi si rivela necessario ma non sufficiente per poter
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competere con successo nel mercato del lusso; in risposta a ciò, negli ultimi anni α ha saputo mettere in atto una serie di riprogettazioni di alcuni processi fortemente trasversali (con forti ripercussioni sull’organizzazione aziendale in toto) che l’hanno portata pian piano ad incrementare il grado di flessibilità dei processi. Un ruolo importante si può, certamente, attribuire all’introduzione di nuove tecnologie e sistemi informativi tramite i quali, una volta implementati, α è riuscita a incrementare il grado d’integrazione tra le diverse funzioni aziendali e i fornitori esterni con importanti ripercussioni sulla reattività di risposta dell’intera supply chain agli improvvisi mutamenti della domanda.
Nel seguente elaborato non si scende nel dettaglio di queste riprogettazioni. Si preferisce, tuttavia, fornire una descrizione generale circa la flessibilità di α e della sua supply chain in termini di agility, per continuare verso un disegno più completo di un modello di supply chain craft. [12]
5.1 La flessibilità di α
La flessibilità è, in generale, la capacità di adattamento e adeguamento, una forma di elasticità al cambiamento nel tempo di un “oggetto” (volume produttivo, tipologia di prodotto, tipologia di processo).
Spesso la flessibilità è stata considerata solo in un’ottica di prestazione temporale; a rigore, la flessibilità va intesa come capacità di variare qualcosa non solo velocemente, ma anche con bassi costi e senza peggioramenti nella qualità.
I diversi indotti di α (taglio, trancia, intreccio, assemblaggio) si mescolano frequentemente con vincoli e caratteristiche ogni volta differenti. Questa particolare configurazione influenza, chiaramente, la reattività dell’intera supply chain.
Nell’appendice D si riportano dati relativi a misurazioni di flessibilità, effettuate presso i singoli indotti di α e alcuni dei suoi fornitori (20xx).
Per avere un’analisi più completa di α, si vuole dare un giudizio di sintesi sulla flessibilità della sua supply chain (in riferimento ai dati riportati nell’appendice D).
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È, oramai, chiaro che il complesso flusso produttivo seguito dal prodotto medio rappresenta, di per sé, un vincolo molto forte per una sistematizzazione rigida, suggerita da un approccio puramente lean.
All’interno dell’insieme dei vincoli che influenzano la macro pianificazione si aggiungono i vincoli di assegnazione legati alle particolari combinazioni di flessibilità ed efficienza di ogni singolo fornitore. Il processo di pianificazione diventa, quindi, un trade–off tra le esigenze di mercato e le efficienze (tempo, costo e qualità) dell’indotto produttivo.
Scendendo nel dettaglio, è possibile definire una classifica di priorità tra i trade-off dei singoli indotti: infatti, nel contesto aziendale di α riveste un ruolo prioritario la fase di assemblaggio, principalmente, per l’elevata quota parte di valore aggiunto che viene conferita al prodotto durante quest’operazione (qui è necessario mettere in gioco la massima reattività disponibile sia a livello gestionale che operativo); di seguito si può collocare la fase d’intreccio che (come già analizzato dettagliatamente nel capitolo 4) vincola pesantemente il processo produttivo in termini di tempo; infine, si valutano le fasi di taglio e trancia che non vanno sottovalutate, per esempio, decidendo, per motivi di costo, di centralizzare il taglio di un materiale in una singola taglieria senza tenere conto di tutte le complicazioni logistiche e gestionali o ignorando l’importanza del know-how di alcuni fornitori in merito a certi tipi di lavorazione su certi tipi di materiali.
In questo complesso sistema produttivo α si pone l’obiettivo di strutturare un processo che ottimizzi la programmazione in termini di tempo e capacità, senza trascurare qualità e costi.
L’analisi riportata nell’appendice D sull’indotto ha evidenziato alcune criticità palesi. La più evidente è legata all’alta varietà di strutture differentemente integrate lungo la supply chain che il pianificatore deve riuscire ad alimentare uniformemente. Allo stesso modo, si può evidenziare un forte sbilanciamento all’interno dell’indotto dell’assemblaggio di borse e valigie dove convivono realtà produttive assai differenti: in quest’ultimo contesto, si passa, infatti, dalle piccole realtà artigianali alle grandi strutture industriali, caratterizzate da differenti gradi di efficienza e flessibilità. All’interno di questo stretto “labirinto” di fornitori molte
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sono le criticità e le problematiche di bilanciamento dei carichi e non è sempre facile individuarle. Alla luce di questa situazione, oltre a implementare software più performanti per la pianificazione, con l’obiettivo di ottenere il massimo rendimento dal proprio indotto, preservandone i criteri di flessibilità, è necessario rivalutare e ristrutturare il parco fornitori.
Quest’iter è stato, infatti, successivamente intrapreso dall’azienda (a partire dall’anno 20xx) con l’introduzione di strutture integrate (come l’azienda β) e il cambiamento del ruolo di alcuni players nella supply chain, trasformati dallo stato di fornitori più piccoli a quello di subfornitori di strutture più grandi. Il percorso che porta però al corretto bilanciamento del parco fornitori non passa solo attraverso la creazione di grosse strutture integrate, ma deve altresì creare nuove relazioni di crescita condivisa che portino i fornitori con deficit di efficienza o di flessibilità ad allinearsi alle esigenze di α. Tuttavia, l’integrazione non va intesa come ‘l’annullamento delle piccole realtà artigiane’. Al contrario, ciò che si vuole ottenere è dall’integrazione è un maggiore supporto da parte delle grandi aziende come α nei confronti delle piccole botteghe artigiane (che a stento sopravvivono nel contesto odierno) nel mantenere la loro indipendenza e nel dar loro modo di rimettersi in gioco tramite una pubblicità su larga scala che andrebbe, inoltre, a favorire quel ‘ritorno ai valori artigianali’ di cui si parlava nel primo capitolo. In cambio un player come α, oltre ad avere una produzione propria, frutto di tradizioni e anni d’esperienza (ricordiamo che la stessa α nasce come piccola bottega artigiana negli anni ’60), incrementerebbe il proprio mercato, proponendo prodotti innovativi e ponendosi come protagonista, interfaccia, fautore e promotore del Made in Italy che esso stesso pone come colonna portante del proprio business. [26] [33] [34]