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3 MATERIALI E METOD

Grafico 26: Variazione della TAPSE nell'arco del ricovero nei due gruppi di pazienti 0 =

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DISCUSSIONE

Il presente studio indaga la correlazione tra insufficienza cardiaca e modificazioni dinamiche della funzione renale, con particolare riguardo all'effetto sulle stesse della terapia diuretica.

L'insufficienza renale cronica, come ampiamente documentato dalla letteratura, è altamente prevalente tra i pazienti con scompenso cardiaco cronico: nella popolazione reclutata per questo studio, il 47,5% dei pazienti presentava una precedente diagnosi di malattia renale cronica. Al momento del ricovero, tuttavia, una frazione notevolmente superiore (82,5%) di pazienti presentava una velocità di filtrazione glomerulare inferiore ai 60 mL/min, compatibile con una diagnosi di insufficienza renale. Questo aspetto può essere ricondotto al fatto che un certo numero di pazienti andava incontro a un peggioramento transitorio della funzione renale in occasione dell'episodio di riacutizzazione di insufficienza cardiaca cronica.

5.1 Scelta della modalità di somministrazione del diuretico

La letteratura sembra indicare una migliore efficacia dell'infusione continua dei diuretici rispetto alla somministrazione endovenosa in bolo92, 93,118.

Il razionale della maggiore efficacia dell'infusione continua di furosemide risiede nel costante mantenimento di concentrazioni plasmatiche superiori alla dose-soglia, nella minore attivazione dell'asse neuro-ormonale contro-regolatorio e nel superamento del problema della ritenzione sodica “di rimbalzo” e dell'effetto post-diuretico.

Inoltre, permettendo ai liquidi interstiziali di riequilibrarsi con quelli intravascolari, questa modalità di somministrazione determinerebbe una più efficace risoluzione della congestione polmonare e periferica in assenza di riduzione del volume intravascolare, potenzialmente implicata nel danno renale.

Non esistono comunque dati conclusivi che forniscano indicazioni sulla durata ottimale di tale trattamento119: in particolare, una sospensione

troppo precoce dell’infusione potrebbe comportare un’incompleta risoluzione del quadro congestizio. La durata media del trattamento nella popolazione considerata era di 3,8 giorni su una media di 7,9 giorni di degenza.

5.2 Efficacia della terapia diuretica sul sovraccarico di volume

La letteratura ha evidenziato un’associazione tra compromissione della funzione renale e resistenza alla terapia diuretica, definita come inadeguata risposta al farmaco in relazione agli obiettivi terapeutici. La resistenza alla terapia è comunque un aspetto che può essere vinto ottimizzando le dosi del farmaco e le modalità di somministrazione.

I meccanismi della resistenza ai diuretici consistono nella ridotta secrezione tubulare della molecola in caso di funzione renale compromessa, nelle alterazioni del nefrone mediate dal sistema renina- angiotensina-aldosterone e nella ritenzione sodica “di rimbalzo”.

L’infusione continua permette di mantenere in modo più costante concentrazioni plasmatiche di farmaco superiori alla dose-soglia, determina una minore attivazione degli agenti neuro-ormonali contro- regolatori e riduce l’effetto post-diuretico.

La terapia con diuretici dell'ansa, somministrata in infusione continua nell'arco di 5-10 ore, ha determinato un miglioramento del quadro congestizio, documentato, oltre che dalla sintomatologia riferita dal paziente, dall'esame clinico e dal calo ponderale: al termine dell'infusione si era ottenuta in media una perdita di peso di 3,8 kg, mentre alla dimissione il peso corporeo era diminuito di 4,8 kg rispetto all'ingresso, con una differenza statisticamente significativa rispetto al peso all'ammissione. Attestava l'azione della terapia diuretica anche un decremento statisticamente significativo dei livelli ematici di BNP (3113,55 pg/mL vs 1692,09 pg/mL).

La riduzione delle pressioni di riempimento era confermata dai dati ecocardiografici e, in particolare, dalla diminuzione statisticamente significativa della PAPs (42,72 mmHg vs 49,41 mmHg).

momento della dimissione non risultavano ancora nel range della norma: ciò implica che, nonostante la terapia diuretica ad alte dosi, persistevano pressioni di riempimento ventricolare superiori a quelle fisiologiche. La rivalutazione clinica a distanza di circa 3 mesi dalla dimissione ha evidenziato come la perdita di peso ottenuta durante la degenza si mantenesse nel tempo, con valori sovrapponibili a quelli della dimissione e significativamente inferiori rispetto a quelli del ricovero. Si evidenziava inoltre un netto miglioramento della sintomatologia soggettiva, valutata attraverso la classe NYHA, alla visita di controllo rispetto al momento del ricovero.

L'assenza di alterazioni della natriemia media e della potassiemia media (entrambe nel range dei valori fisiologici al ricovero come alla dimissione) nella popolazione di pazienti sottolinea come la terapia diuretica, somministrata per via infusionale e associata a opportuno reintegro salino ove necessario, non sia responsabile di squilibri elettrolitici.

Analogamente, i livelli di emoglobina e l'ematocrito misurati alla dimissione apparivano sovrapponibili a quelli dell'ingresso. L'assenza di emoconcentrazione indica che il diuretico, somministrato per via infusionale, ha eliminato i liquidi interstiziali e sequestrati nel terzo spazio senza produrre una diminuzione della volemia: tale modalità di somministrazione permetterebbe infatti un più costante riequilibrio tra i fluidi extravascolari e quelli intravascolari su cui si esplica l'azione

diuretica. D’altra parte, l'emoconcentrazione è stata proposta in alcuni studi come biomarker di efficace decongestione ottenuta mediante terapia diuretica, pur risultando associata in modo indipendente con il peggioramento della funzione renale durante il ricovero120.

5.3 Effetti della terapia diuretica sulla funzione renale

Nella popolazione in studio, la valutazione della funzione renale durante la degenza ha evidenziato un progressivo miglioramento della stessa, documentato da una riduzione statisticamente significativa della creatininemia tra il giorno del ricovero e quello della dimissione (da 1,82 mg/dL a 1,55 mg/dL) e da un incremento vicino alla significatività (P = 0,057) del filtrato glomerulare stimato in base alla formula MDRD (da 41,77 mL/min/1,73m2 a 48,54 mL/min/1,73m2). La non significatività di

questo dato può essere spiegata in base all’esiguo numero dei pazienti reclutati e all’ampio range di valori di distribuzione.

Risultava invece più modesto l'incremento della velocità di filtrazione glomerulare calcolata con formula di Cockroft-Gault (da 43,41 mL/min a 46,76 mL/min): questo aspetto, comunque, si è considerato da ascrivere alla perdita di peso avvenuta durante il ricovero, che non riguardava la massa magra implicata nella produzione della creatinina ma i liquidi accumulati. Si è dunque considerato meno attendibile il valore del filtrato stimato secondo la formula di Cockroft-Gault all'ingresso, perché calcolato in base a un peso superiore a quello effettivo, in accordo con quanto riportato dalla letteratura.

Il monitoraggio a medio termine (circa 3 mesi) ha evidenziato un modesto peggioramento della funzionalità renale rispetto alla dimissione, con aumento non statisticamente significativo della creatininemia (1,68 mg/dL vs 1,55 mg/dL) e lieve riduzione del filtrato glomerulare (45,82 mL/min vs 46,76 mL/min secondo Cockroft-Gault; 47,46 mL/min/1,73m2 vs 48,54 mL/min/1,73m2 secondo MDRD).

Occorre comunque notare che i livelli medi di creatinina dosati al follow-up si mantenevano inferiori rispetto a quelli dosati al ricovero: questo confermerebbe come il deficit di funzione renale documentato al momento del ricovero non fosse espressione di una sottostante condizione cronica, ma fosse almeno in parte riconducibile alla riacutizzazione di insufficienza cardiaca e al conseguente effetto sul rene.

5.4 Confronto tra gruppi in base alla funzione renale

Una volta suddivisi i pazienti in base alla compromissione più o meno marcata della funzionalità renale che presentavano al ricovero, si è osservato come il miglioramento della stessa fosse più evidente nel gruppo di pazienti che all'ingresso avevano un filtrato inferiore a 45 mL/min/1,73m2, mentre si rivelava più modesto nell'altro gruppo. La

riduzione della creatininemia appariva infatti proporzionalmente più consistente (13,3% vs 3,9%) nei pazienti che all'ammissione avevano un deficit più importante di funzione renale; questa differenza nell'entità del decremento della creatinina sierica appariva statisticamente significativa sia al termine dell'infusione di diuretico, sia al momento della

dimissione.

Anche la rivalutazione al termine della degenza ha permesso di apprezzare un miglioramento più marcato della funzionalità renale nel gruppo 1 (eGFR < 45 mL/min/1,73m2), sottolineato da una differenza

statisticamente significativa nella riduzione della creatininemia (da 2,18 a 1,77 mg/dL nel gruppo 1; da 1,28 a 1,21 mg/dL nel gruppo 2). La riduzione relativa della creatininemia risultava rispettivamente del 18,81% nel gruppo 1 e del 4,72% nel gruppo 2.

Analogamente, il filtrato glomerulare stimato attraverso le due formule evidenziava un miglioramento proporzionalmente superiore nei pazienti con eGFR <45 mL/min/1,73m2, sia al termine della terapia infusionale

(10,70% vs 0,27% secondo formula di Cockroft-Gault, 19,11% vs 5,79% secondo MDRD), sia alla dimissione (15,15% vs 1,52% secondo formula di Cockroft-Gault, 27,45% vs 7,14% secondo MDRD ).

Tale risultato apparirebbe in contrasto con quanto diffusamente affermato dalla letteratura, che riconosce nei pazienti con preesistente grave deficit di funzione renale una popolazione altamente suscettibile al danno renale acuto indotto dalla terapia diuretica14.

Il fatto che proprio i pazienti con iniziale più importante riduzione del filtrato glomerulare beneficiassero in modo più marcato del trattamento diuretico induce a ritenere che la compromissione della funzione renale documentata all'ingresso fosse, almeno in parte, secondaria all'aggravamento dello stato congestizio, e che, pertanto, tendesse alla

risoluzione con il ridursi della del sovraccarico di fluidi.

Va comunque sottolineato che, alla dimissione, i livelli di creatininemia erano ancora superiori e il filtrato glomerulare era inferiore nei pazienti del primo gruppo rispetto a quelli del secondo: questo potrebbe dipendere dall'esistenza di una componente intrinseca nel deficit della funzione renale, indipendente dalla condizione cardiaca, oppure dalla non completa rimozione del sovraccarico di fluidi.

Durante il follow up, l'andamento degli indici di funzione renale non differiva in modo significativo nei due gruppi; i pazienti che al ricovero presentavano GFR < 45 mL/min/1,73m2 mostravano livelli di creatinina

ed eGFR sovrapponibili a quelli della dimissione, mentre un certo peggioramento si evidenziava per i pazienti che all'ingresso avevano GFR > 45 mL/min/1,73m2.

Questa apparente discrepanza risultava comunque condizionata in modo rilevante da due pazienti appartenenti al gruppo 2 (eGFR > 45 mL/min/1,73m2), i quali manifestavano un incremento imponente (> 3

mg/dl) della creatininemia al momento della rivalutazione: uno di questi pazienti era affetto da amiloidosi con coinvolgimento renale, mentre l'altro paziente aveva presentato un evento cardiaco acuto che aveva portato a insufficienza multiorgano e successivo decesso. L'interessamento renale riconosceva dunque, in questi due casi, un meccanismo indipendente dall’insufficienza cardiaca.

Escludendo i due pazienti dal confronto, si è evidenziato come i due gruppi mostrassero un andamento parallelo degli indici di funzione renale durante il follow-up, con mantenimento di valori della

creatininemia simili a quelli dosati alla dimissione.

La perdita di peso ottenuta nei due gruppi di pazienti e l’andamento del peso stesso durante la degenza e il periodo di follow-up erano simili nei due gruppi.

I parametri ecocardiografici risultavano sovrapponibili nei due gruppi di pazienti; ciò porterebbe a concludere che i pazienti con funzione renale più compromessa non presentassero uno stato congestizio più marcato. Tuttavia, precedenti studi che si sono avvalsi di metodiche invasive per la misurazione delle pressioni di riempimento cardiache hanno individuato nella pressione atriale destra, non valutabile attraverso parametri ecocardiografici, l'unico fattore correlato alla disfunzione renale46, 48, in accordo con l'ipotesi secondo cui l'incremento della

pressione venosa centrale ostacolerebbe il processo di filtrazione attraverso la membrana glomerulare.

Il BNP risultava in media superiore (3425,67 pg/mL vs 2739 pg/mL), in modo non statisticamente significativo, nei pazienti con filtrato < 45 mL/min/1,73m2. Alla dimissione tale differenza non era più

riconoscibile, con valori, rispettivamente, di 1818,5 vs 1450 pg/dL.

I pazienti del primo gruppo presentavano all'ingresso valori di natriemia significativamente inferiori rispetto a quelli del secondo gruppo (136,04 mEq/L vs 139,06 mEq/L), nonostante la natriemia media per entrambi i gruppi rientrasse nel range fisiologico. La potassiemia mostrava differenze opposte nei due gruppi, con valori superiori, in modo tuttavia non statisticamente significativo, nei pazienti con funzione renale più

compromessa (4,17 mEq/L vs 3,85 mEq/L): anche in questo caso, comunque, i livelli medi non evidenziavano franca ipokaliemia o iperkaliemia.

I bassi livelli di sodio sono una caratteristica comune tra i pazienti con insufficienza cardiaca e in particolare in coloro che presentano compromissione della funzione renale; alcuni studi hanno riscontrato una relazione tra l'iponatriemia e l'aumento delle pressioni atriali destre e della pressione di incuneamento polmonare121, identificando nei bassi

livelli di sodio un indice di gravità dello stato congestizio.

È comunque difficile concludere se i bassi livelli di sodio si associno alla compromissione della funzione renale perché riconoscono un meccanismo patogenetico comune o se siano a loro volta una conseguenza della riduzione del filtrato glomerulare.

Le differenze nei livelli di elettroliti tra i due gruppi si annullavano nell'arco del ricovero, con valori di sodio ematico alla dimissione sovrapponibili (137,58 mEq/L vs 137,00 mEq/L) e nel range della norma.

I livelli sensibilmente inferiori di emoglobina (11,55 g/dL vs 14,24 g/dL) ed ematocrito (35,79% vs 43,21%) nel gruppo con funzione renale più compromessa potrebbero essere ricondotti sia a una ridotta funzione emopoietica associata a una sottostante patologia renale organica122, sia a

una maggiore gravità del sovraccarico di volume123, 124 in questo gruppo

mL/min/1,73m2 presentavano valori inferiori al limite della norma.

L'emoglobinemia e l'ematocrito risultavano sostanzialmente invariati al momento della dimissione, nonostante il decremento ponderale, la riduzione dei livelli ematici di BNP e la diminuzione della PAPs indicassero una riduzione del quadro congestizio.

Si può ipotizzare che i pazienti che hanno una maggiore compromissione della funzione renale presentano un sottostante deficit intrinseco che rende il rene più suscettibile a un'ulteriore riduzione del filtrato provocata dall'aggravamento del quadro congestizio: la riduzione del sovraccarico di fluidi per mezzo della terapia diuretica migliora la funzionalità renale, ma non ripristina valori di filtrato normale. Ciò può dipendere da una componente organica, irreversibile, dell'insufficienza renale, oppure dal fatto che una terapia diuretica pur aggressiva non è sufficiente a risolvere completamente il quadro congestizio.

Limitatamente al periodo di follow-up disponibile (6 mesi), non si sono riscontrate differenze nell'incidenza di recidiva di scompenso nei due gruppi né nella distribuzione della mortalità.

5.5 Confronto tra gruppi in base alla recidiva

Il confronto delle caratteristiche di base tra i pazienti che presentavano recidiva nei successivi 6 mesi e quelli che non andavano incontro a un nuovo episodio di riacutizzazione ha identificato una correlazione statisticamente significativa tra sesso femminile e verificarsi di recidiva.

Non è emersa alcuna correlazione statisticamente significativa tra l'eziologia dello scompenso cardiaco e la probabilità di recidiva; tuttavia, la frequenza con cui si verificava recidiva appariva massima nei pazienti con cardiomiopatia restrittiva (50%) e minima nei pazienti con scompenso secondario a valvulopatie (11,1%), con probabilità di recidiva intermedia per i pazienti con cardiopatia ischemica (36,8%) e cardiomiopatia dilatativa (30%).

Sorprendentemente, il numero di comorbidità documentate al ricovero non è risultato predittivo per la probabilità di recidiva.

A differenza di quanto atteso, inoltre, non si evidenziavano differenze significative tra i due gruppi nel grado di dispnea stabilito in base alla classe NYHA all'ingresso.

La correlazione statisticamente significativa tra l'incidenza di recidiva e la presenza di pacemaker-ICD biventricolare è probabilmente indicativa di una maggiore gravità della storia di scompenso nei pazienti portatori di device.

I parametri ecocardiografici documentati al ricovero mostravano una funzione cardiaca generalmente più compromessa nel gruppo di pazienti che sarebbero andati incontro a recidiva. In particolare, risultava statisticamente significativa la differenza nella TAPSE (13,25 mm vs 17,14 mm), identificando nella disfunzione del ventricolo destro un fattore predittivo di recidiva.

Alla dimissione persisteva una differenza statisticamente significativa nella TAPSE tra i due gruppi (16,17 mm vs 18,04 mm), sebbene i pazienti con recidiva avessero mostrato, nell'arco del ricovero, un miglioramento significativamente superiore della TAPSE stessa.

All'ingresso, il gruppo dei pazienti in cui si manifestava recidiva nei successivi 6 mesi presentava valori di natriemia significativamente più bassi rispetto all'altro gruppo, con un valore medio (135,5 mEq/L) vicino al limite inferiore della norma.

Da anni la letteratura ha descritto la correlazione esistente tra bassi livelli di sodio al ricovero ed aggravamento della prognosi nell'insufficienza cardiaca121, 125-127. È interessante notare come la correzione

dell'iponatriemia durante il ricovero, con valori alla dimissione sovrapponibili nei due gruppi, non influisse sulla prognosi di questi pazienti. L'iponatremia esistente all'epoca del ricovero apparirebbe dunque un marker di una condizione di scompenso più avanzata piuttosto che un ulteriore meccanismo implicato nella progressione dello stesso.

I livelli di creatinina e il filtrato glomerulare stimato non differivano significativamente nei due gruppi di pazienti; non si riscontravano inoltre differenze nell'andamento della funzione renale durante il ricovero o durante il follow-up. Non è stata pertanto identificata, contrariamente a quanto atteso, una correlazione tra l'incidenza di recidiva e l'entità del deficit di funzione renale attestato al ricovero o il

mancato miglioramento della stessa durante la degenza.

I pazienti che avrebbero in seguito manifestato riacutizzazione di scompenso hanno ricevuto, durante la degenza, dosi mediamente più alte di diuretici dell'ansa (239,58 mg/die vs 176,96 mg/die), in accordo di un maggiore dosaggio assunto in terapia domiciliare precedentemente al ricovero.

Il dosaggio di diuretico dell'ansa è stato da tempo riconosciuto come un indicatore surrogato della gravità dello scompenso ed esprime il grado di resistenza alla terapia diuretica, associato a un aggravamento della prognosi102. In modo concorde, nei pazienti che avrebbero presentato

recidiva il dosaggio di diuretici dell'ansa prescritti in terapia domiciliare alla dimissione era significativamente superiore rispetto all'altro gruppo (2032,29 mg/sett vs 1349,11 mg/sett).

Le maggiori dosi di diuretico assunte in terapia domiciliare potrebbero giustificare la mancata differenza nella NYHA all'ingresso nei due gruppi di pazienti, in accordo con il fatto che i diuretici hanno impatto sulla sintomatologia soggettiva, ma non sulla prognosi dello scompenso.

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CONCLUSIONI

Malattia renale cronica e insufficienza cardiaca, nella popolazione di età avanzata, sono condizioni ampiamente rappresentate e frequentemente coesistenti; ancora superiore risulta l’incidenza di alterazioni della funzione renale, di entità compatibile con la definizione di insufficienza renale, riscontrate nei pazienti ricoverati per riacutizzazione di scompenso cardiaco congestizio.

I pazienti con grave deficit di funzione renale configurano una popolazione a rischio, presentando frequentemente alterazioni associate, quali anemia e bassi livelli plasmatici di sodio.

Una terapia diuretica aggressiva è stata spesso considerata causa di aggravamento della disfunzione renale e i pazienti con preesistente riduzione del filtrato glomerulare sono considerati maggiormente a rischio per un ulteriore danno a carico del rene.

Nella nostra esperienza, condotta su 40 pazienti con riacutizzazione di scompenso cardiaco congestizio, trattati con alte dosi di diuretico in infusione, si documenta nell’arco del ricovero un miglioramento significativo degli indici di funzione renale nell’ambito della popolazione totale. Si rileva inoltre, come aspetto ancor più notevole, che tale miglioramento appaia significativamente più marcato in coloro che all’ingresso presentavano funzione renale più compromessa.

I risultati ottenuti permettono di concludere che i pazienti con compromissione della funzione renale beneficiano di una terapia diuretica ottimale sia per quanto riguarda la risoluzione del quadro congestizio, sia relativamente alla funzione renale stessa. L’esistenza di un deficit di funzione renale non dovrebbe pertanto scoraggiare l’impiego di alte dosi di diuretici dell’ansa nel trattamento della riacutizzazione di scompenso cardiaco, ma indurre all’ottimizzazione della terapia stessa in base a un attento monitoraggio del bilancio elettrolitico e della risposta ottenuta.

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