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«Nel mese di Marzo del 1841 mio marito fece quattro vedute della Città di Cagliari colla speranza di presentarle al Re Carlo Alberto, e terminate che furono andò ad annunziarle al Conte Castagnetto sovra intendente generale della Casa del Re pregandole di annunziarle a Sua Maestà: ma il Sign.r Conte le disse di portale una memoria in Scritto. Il giorno 6 maggio 1841 mio marito le portò la memoria scritta, e da lì a quatro giorni ebbe la risposta che S. M. non era disposta di fare acquisto di quadri: perciò mio marito se ne servì per

ornare la nostra camera di ricevimento»156

Le quattro tempere su carta sono le uniche opere di Giuseppe Verani conservate dai suoi eredi e pubblicate per la prima volta in occasione di questo studio. Sono tutte corredate di un titolo e in due casi compare anche il riferimento alle date, 1814 e 1815, relative evidentemente al momento di esecuzione dei disegni realizzati durante gli anni del soggiorno cagliaritano. La Veduta della Città di Cagliari dalla parte di levante presa

dalla salita di Montizeddu da Verani [sic] il 4 giugno 1814 (Fig. 21), in una singolare

commistione tra natura e architettura, offre il panorama della città verso nord ovest con la ripresa dello storico quartiere di Villanova in primo piano e del quartiere di Castello, nella parte superiore del dipinto; nel primo si individuano la Chiesa di San Lucifero e quella di San Saturnino, nel secondo emergono la cupola della Cattedrale, il prospetto posteriore del Palazzo Regio e la torre di San Pancrazio. La Veduta d’una parte delle fortificazioni della

città di Cagliari verso Levante: col sobborgo Villanova, Monte Urpino, la chiesa di San Lucifero, quella di Bonaria, li Cappuccini di S. Benedetto, ec.. La torre del Forte detta dei segnali, il Lazaretto, lo Stagno di quarto [sic], il villagio di quarto [sic], quartuccio [sic] e

Piri Ecc Disegnata da sovra un terrazzo del R. Palazzo di Cagliari da Giuseppe Verani nel mese di Maggio 1815 (Fig. 22) rappresenta, invece, la visione della parte orientale

della città ripresa, come recita il titolo, dalla facciata posteriore del Palazzo Regio, con una ampiezza di sguardo che arriva a comprende anche i territori limitrofi fino al mare; oltre gli edifici del quartiere di Villanova, estesi lungo tutta la linea orizzontale, si scorgono la collina di Monte Urpino, lo stagno di Molentargius e il Capo Sant’Elia che si affaccia sul Golfo degli Angeli. Un’esatta veduta d’insieme del profilo della città visto da nord si osserva nel dipinto intitolato Cagliari verso Tramontana (Fig. 24), come è scritto su una roccia affiorante nel terreno collocata in basso a sinistra. Si segue il lungo percorso tracciato dalle mura che dalle pendici del quartiere di Castello arriva fino ai quartieri di Marina e Stampace; oltre alle due torri di San Pancrazio, a nord, e dell’Elefante, a sud, si individuano i bastioni di Santa Croce e del Balice e gli elementi architettonici appartenenti a importanti edifici religiosi della città, dalla facciata della Cattedrale al campanile di Sant’Eulalia, fino alle due cupole delle chiese di Sant’Anna e di San Michele che guardano verso il mare. Un singolare panorama della città visto in lontananza, con la torre dell’Elefante che spicca dal profilo, si presenta nella Veduta di Cagliari dal ponte della

Scaffa (Fig. 23). Il punto di osservazione coincide con la laguna di Santa Gilla situata ad

est della città e precisamente con il ponte ligneo che prende il nome dal canale sul quale si erge.

Sono quattro inediti scorci di Cagliari che si distanziano notevolmente dalle altre rappresentazioni della città realizzate da Giuseppe per i suoi committenti durante i dieci anni di permanenza in Sardegna. Il manoscritto, infatti, documenta soprattutto di vedute interne che interessano in genere la riproduzione di singoli edifici con una frequente ricorrenza della rappresentazione del Palazzo Regio. Tra il 1809 e 1810 Giuseppe realizzò

per la Regina «la veduta del Real Palazzo, vista dal Palazzo della Città»; nel 1812 si cimentò nella realizzazione dello stesso tema per soddisfare una richiesta del Duca del Genevese, il quale gli chiese anche «un ventaglio dipinto sopra la pelle rappresentante nove vedute le più belle, che si trovassero nelle vicinanze di Cagliari, ornate da vari villani sardi […]». L’anno dopo per il Ministro inglese William Hill realizzò due dipinti «uno rapresentante il bastione di S. Caterina in Cagliari» e l’altro con la veduta della residenza di Hill, individuata nell’attuale Palazzo Cugia in via dei Genovesi. Al primo Maggio del 1815 risale un’altra riproduzione del Palazzo Regio dipinta per il Re Vittorio Emanuele, rientrato in patria ormai da diversi mesi; la veduta è arricchita dalla presenza della real famiglia che ancora risiedeva in città. Scrive, infatti, Monica che in quell’occasione Giuseppe dipinse «S. M. la regina al balcone colle due Principessine, ed ad un altro balcone, mise la Principessa Cristina; nella strada dipinze tutta la Guardia del Palazzo, e mise la sua stessa figura in primo innanzi, acciò fosse più visibile, e che S. M. il Re lo avesse presente,

temendo di essere da lui dimenticato».157

I disegni dei panorami cittadini tradotti nelle quattro tempere dopo oltre vent’anni sono, invece, da ricondurre, per le loro prerogative contenutistiche e stilistiche, all’attività di Verani cartografo maestro delle Scuole pratiche di Topografia, il quale molto frequentemente doveva ritrovarsi a “ritrarre” la città nella totalità dei suoi spazi durante le esercitazioni con i suoi allievi. Seppur risalenti agli anni Quaranta dell’Ottocento, le vedute mantengono un gusto dichiaratamente settecentesco in accordo con la mentalità scientifica del secolo dei lumi e con l’attitudine peculiare al vedutismo topografico propria di Giuseppe Verani.

Una ripresa lucida del dato reale e una ricercata sintesi tra certezze matematiche e sensibilità pittorica caratterizzano le visioni della città, intesa come luogo topografico, da levante, da tramontana, da occidente e da sud ovest, secondo prospettive rialzate oppure scegliendo un punto di ripresa da terra. Le architetture sono assembrate secondo una scansione caratterizzata da regolarità ed euritmia e il taglio vedutistico di ampio campo concede alla luce e all’atmosfera di diffondersi per tutta l’estensione del panorama. Il processo di visualizzazione e oggettivazione, ottenuto con notevole fedeltà topografica, si compie, dunque, attraverso un sapiente uso di luce e colore, con uno sguardo cristallino che approda ad una definizione luminosa e analitica di ogni dettaglio; domina un’atmosfera tersa e preziosamente colorata, nella quale l’elemento urbano è perfettamente combinato con quello naturale. Ampie porzioni di cielo attraversate da candide nubi contribuiscono ad infondere nelle vedute un tono suggestivamente lirico, che sembra rimandare direttamente all’esempio torinese del già citato Giuseppe Pietro Bagetti, il quale, molto frequentemente, aveva riservato alla volta celeste e alle sue vaporosità uno spazio corrispondente a oltre la metà del dipinto, in una sapiente mescolanza di topografia scientifica e apporti provenienti

dalla pittura di paesaggio158. Non manca, inoltre, nel lavoro di Verani un’attenzione per gli

aspetti della “realtà” cagliaritana come testimonia in particolare la Veduta di Cagliari dal

ponte della Scaffa, nella quale si può ammirare la vivacità di caratteristiche scene di vita

quotidiana, soprattutto popolare, con le barche dei pescatori nello stagno di Santa Gilla e gli

158 L’attenzione per gli aspetti metereologici del cielo e per la mutevolezza della luce attestano nell’opera di

Bagetti la sua peculiare sensibilità di acquarellista. Si ammirano nelle tavole le infinite varianti delle coloriture che, oltre ai toni dell’azzurro, riguardano anche e soprattutto le variabili del verde atte a disegnare gli aspetti naturalistici del paesaggio. La «fedele rappresentazione», come scrive lo stesso artista, non deve mai ostacolare la resa del «massimo effetto» pittorico. P. Bagetti, Arti belle - Analisi dell'unità d'effetto nella

uomini a cavallo sopra il ponte abbigliati con i costumi tradizionali, tra i quali si individuano facilmente quelli tipici del rigattiere e del carrettiere.

Nella definizione delle scelte stilistiche adottate per la realizzazione delle quattro tempere, oltre al determinante apporto dell’esperienza artistica torinese, che aveva segnato profondamente la formazione di Giuseppe Verani, emerge l’influenza che l’importante esempio del vedutismo napoletano settecentesco aveva esercitato nell’artista topografo. Durante i lunghi mesi di permanenza nella città partenopea, tra il 1800 e il 1801, Giuseppe ebbe modo, infatti, di frequentare il fervente ambiente artistico cittadino entrando in contatto con la circolazione dei modelli più diffusi, verosimilmente presi ad esempio per la realizzazione delle sue vedute relative non soltanto al capoluogo campano ma anche alle isole del suo golfo, ai resti della città di Pompei e alla città di Caserta. La multiforme produzione legata al ritratto della città aveva conosciuto a Napoli un considerevole arricchimento con l’affermarsi, nel XVII secolo, del fenomeno culturale del Grand Tour, un vero e proprio viaggio nella storia e nella conoscenza che aveva incluso fin da principio la capitale del regno meridionale, tra le più grandi d’Europa, con la sua ricchezza e incredibile

varietà di bellezze naturali e testimonianze artistiche159. L’afflusso costante dei viaggiatori

stranieri aveva procurato occasioni continue per incontri internazionali e soprattutto aveva significato un graduale aumento delle commissioni di vedute volte ad immortalare la singolarità dei luoghi. Nei primi anni del Settecento, l’olandese Gaspar van Wittel, durante il suo soggiorno campano, aveva inaugurato un nuovo modo di intendere la veduta topografica di tradizione nordica concepita come un lucido documento di intensa capacità

percettiva del reale colto nella sua verità e sicura immediatezza visiva160. L’esempio venne

159

Si vede il recente C. De Seta, L’Italia nello specchio del Grand Tour, Rizzoli, Milano 2014.

160

Per un panorama generale dell’evoluzione del vedutismo napoletano settecentesco si vedano N. Spinosa, L. Di Mauro, Vedute napoletane del Settecento, Electa, Milano 1993; A.A.V.V., All’ombra del Vesuvio. Napoli

ereditato dalle generazioni successive fino all’evoluzione articolata e complessa del vedutismo illuminato dei pittori attivi negli ultimi decenni del secolo, da Antonio Joli a Pietro Fabris, da Gian Battista Lusieri a Gabriele Ricciardelli, per citare soltanto alcune delle personalità più influenti. Un ruolo di fondamentale importanza, inoltre, nella complessità del percorso intrapreso dal vedutismo napoletano, è attribuita alla breve ma intensa presenza a Napoli di Claude-Joseph Vernet. Al pittore francese si devono le due bellissime tele conservate al Louvre nelle quali la città non è più ritratta nella sua interezza, in un’unica immagine frontale, ma «si frantuma» in più parti, per citare l’efficace espressione di De Seta, in quanto troppo estesa per essere percepita in un unico colpo

d’occhio161. La nuova tipologia vedutistica inaugurata a metà del secolo si imporrà

nell’iconografia napoletana per molti decenni a venire. Nella visione “frantumata” della città di Cagliari dipinta da Giuseppe Verani, oltre alla scelta dei punti di vista evidentemente influenzati dal diffondersi dei topoi vedutistici di derivazione partenopea, riverberano il ricordo della Napoli dipinta da Ricciardelli per la peculiare resa analitica dell’elemento urbano, pur nella ripresa da lontano del panorama cittadino, oppure la solare luminosità degli acquarelli del romano Gian Battista Lusieri, artista molto influente nella temperie culturale locale. A quest’ultimo può aver guardato ancora Verani per la meticolosa cura nella definizione degli elementi vegetali che domina nel primo piano della

Veduta della Città di Cagliari dalla parte di levante presa dalla salita di Montizeddu da verani [sic] il 4 giugno 1814. Il riferimento, in particolare, è agli stupendi brani vedutistici

del pittore nei quali l’immensità degli spazi paesaggistici è orchestrata sulle infinite tonalità

nella veduta europea dal Quattrocento all’Ottocento, Catalogo della mostra, Napoli, Castel Sant'Elmo, 12

maggio - 29 luglio 1990, Electa, Milano 1990.

161

Si tratta della Veduta del Golfo di Napoli da oriente e della Veduta di Napoli con il Vesuvio da occidente, entrambe datate 1748. C. De Seta, Ritratti di città. Dal Rinascimento al secolo XVIII, Einaudi, Torino 2011, p. 295.

del verde contenute in un disegno che definisce con accuratezza estrema la ricchezza delle varietà arboree.162

162

Si vedano L’insenatura di Baia nei pressi di Napoli e Il golfo di Napoli da Portici appartenenti a collezione privata e pubblicati in A. Ottani Cavina ed E Calbi (a cura di), La pittura di paesaggio in Italia cit., pp. 247-248.

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