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Ventimiglia frontiera sovraesposta – riflessioni ai margini del confine Il rap sudanese ci risuona nelle orecchie, insieme al rumore cadenzato dei passi che smuovono

politiche di contenimento e pratiche di mobilità sulla frontiera di Ventimiglia

3.1 Ventimiglia frontiera sovraesposta – riflessioni ai margini del confine Il rap sudanese ci risuona nelle orecchie, insieme al rumore cadenzato dei passi che smuovono

di volta in volta le pietre grigie ed appuntite di quel frammento d’Europa che continuiamo a calpestare. L’ odore di burro di arachidi che cuoce insieme al pomodoro, si mischia nel ricordo con l’olezzo dei rifiuti abbandonati lungo l’argine del fiume Roja, ancora una volta in piena. Quella sponda scandisce la distanza di un attraversamento, Il fiume che s’ingrossa proprio mentre ci accingiamo a ripartire sotto una pioggia torrenziale. Abbiamo ascoltato molto altro, davanti agli occhi troviamo altre immagini. Vorremmo utilizzare le dita per incidere su questo foglio tutto ciò che ci rimbomba in testa in questi giorni, le riflessioni che abbiamo condiviso, ciò che abbiamo visto e il poco che siamo riusciti a fare, le parole che abbiamo udito, la pelle che abbiamo toccato. Desideriamo fortemente che, ancora una volta, la parola si faccia testimonianza. Testimonianza di questo tempo, dell’assurdità di questo Occidente, questo Occidente dei campi profughi che si allargano nel bel mezzo delle città, proprio di fronte alle case vuote. Il confine ci ha tolto la voce. la destra xenofoba ha raggiunto il 52, 7%166 alle elezioni politiche del 2018. Gli ultimi rivolgimenti politici, la repressione che si fa sempre più violenta, l’utilizzo dei poveri contro i poveri, fanno si che il racconto di ciò che davvero avviene potrebbe essere molto più facilmente non compreso, o usato ai danni dei nostri compagni viaggiatori. La neve s’è sciolta. Della rivolta, di fronte a cui in tanti hanno alzato la testa, non v’è più traccia. Iniziamo a fare i conti con ciò che vorremmo raccontare di questi giorni. Facciamo un lungo elenco di volti, di persone, di storie che vorremmo riportare. Subito realizziamo che dobbiamo invertire il criterio del ragionamento.“Questo non è il caso di raccontarlo, è un momento troppo delicato”. Poco dopo squilla il telefono, una compagna ci comunica l’ennesima perplessità sul rendere pubblico anche l’ultimo evento che volevamo

166I dati si riferiscono ai risultati delle elezioni politiche del 2018 cfr.

narrare. Ci guardiamo intorno. Non troviamo più le risposte. O meglio, molte risposte le abbiamo cercate, ma con lo scorrere delle ore capiamo che ogni singolo passaggio del nostro racconto può diventare strumento. Strumento di una guerra, quella che si consuma ogni giorno nelle zone di confine. L’ago della bilancia tra i rischi e i benefici sembra impazzire di fronte ai nostri occhi. Troppi i rischi delle strumentalizzazioni di una testimonianza. Troppa la distanza tra l’immagine e la possibilità della sua sovraesposizione. Chi resta? Chi parte? Chi è che sorveglia? Chi sono i sorvegliati? Quali i corpi docili? Chi sono le vittime? Chi i carnefici? Le tracce si fanno segni. La frontiera è una ferita aperta dove il terzo mondo si scontra col primo e sanguina, scriveva Gloria Anzaldua167. Tutto muta troppo repentinamente. Il fermo immagine, malgrado tutto, non è sufficiente. Ci sentiamo come nel mezzo di una distopia. Scegliamo perciò di alzare gli occhi dal campo di via Tenda e di prenderci un periodo di pausa, coscienti del fatto che se il pensiero si rifiuta di pesare, di violentare, corre il rischio di subire senza frutti ogni brutalità che la sua assenza ha liberato. In un testo intitolato “Immagini malgrado tutto”168 George Didi Huberman narra la storia di quattro fotografie, quattro immagini scattate da un ebreo del Sonderkommando di Auschwitz-Birkenau nell'agosto del '44. Queste rappresentano i soli frammenti visivi di quanto altrimenti inimmaginabile: in quanto tali, atto di resistenza radicale, poiché strappata al progetto dell'ingranaggio nazista che mirava alla cancellazione totale di ogni traccia della stessa operazione di eliminazione. Nella loro forma originaria, non sono altro che delle fotografie mosse, scure, sul fondo delle quali si scorgono soltanto le ombre di alcune persone, in fila verso l’inferno dell’uomo che annulla se stesso. A partire da quelle immagini, Didi Huberman scrive un testo che parla del valore della testimonianza, sostenendo che proprio l’incompletezza di quei frammenti a rendere le immagini comprensibili. In breve, le modifiche che queste subiscono nel corso del tempo, tese a definire più chiaramente l’oggetto della rappresentazione, secondo l’autore non fanno altro che trasformarle da testimonianza in feticcio. In tal modo esse mostrano esattamente ciò che ci si aspetta ed il nostro sguardo viene costretto al “riconoscimento”. Ma l'immagine, secondo il filosofo non è mai nulla, né tutta, né una. Ogni immagine è già sempre immersa in un linguaggio e può essere compresa a partire dall'atto che l'ha resa possibile. Ogni immagine, per diventare testimonianza, necessita di un contesto e di un immaginario al quale far riferimento. L'immaginario che si dispone attorno all'analisi di un evento possiede però anche il potere di definirne il regime di verità. E allora è la distanza dello sguardo che ci consente di non cadere nell'oscenità della rappresentazione:

167G. Anzaldua, Borderlands/La Frontera: The New Mestiza, San Francisco, Aunt Lute Books, 1987. 168G.Didi-Huberman, cit., 2005.

quando lo sguardo diventa voyeuristico e l'orrore irrompe nel quotidiano. L'immaginario si traspone nel reale e si confonde con esso: in questo caso non siamo più di fronte all'evento, ma davanti alla sua spettacolarizzazione. Cercando l'immagine-tutto non facciamo altro che affermare la necessità del simbolo. Ed il simbolo dell'orrore può essere soltanto riconosciuto ed “evitato”, ma mai compreso. Di fronte al simbolo ci si limita ad individuare, a ravvisare, ciò che si presume come già conosciuto. In questo senso, è proprio il piano dell'azione ad essere negato dialetticamente: si paralizza la stessa possibilità di mettere in relazione l'immagine con l'altro da sé. Tutto di quelle immagini ci parla dell’orrore della Shoah: gli spazi, le sbavature, il fuoco con cui è stata scattata, ci consentono di “vedere” la mano tremante al di là dell'obiettivo che corre il rischio di produrla, ogni particolare ci rivela qualcosa in più di quell'evento/immagine. La negazione operata dalla trasformazione di quell’immagine in un immagine feticcio, trasforma invece l'evento, da problema semantico a “problema semiotico”: l'immagine diventa segno ed il segno può essere riconosciuto, ma mai compreso. Come sostiene Émile Benveniste, la differenza fra riconoscere e il comprendere rinvia infatti a due facoltà distinte della mente: la capacità di percepire l’identità fra l’anteriore e l’attuale da una parte, e quella di percepire il significato di una nuova enunciazione dall’altra. Negando la possibilità semantica dell'immagine, si nega anche la possibilità di agire il nuovo, intrinseca nella pratica stessa della significazione. Cosa c’entra tutto questo con Ventimiglia? Probabilmente, che in qualche modo la morsa nella quale ci siamo sentiti immersi, è la medesima. Anche noi, eravamo parte di quella scena. Ecco, in questo momento Ventimiglia è una realtà sovraesposta, ed ogni immagine che possiamo tentare di restituirne, corre il rischio di divenire necessariamente un’immagine feticcio, utile a rafforzare il regime di verità costruito da qualcun altro. In questo momento gli sguardi che si indirizzano su quella frontiera sono sguardi complici, che cercano di comprendere, ma che sanno già cosa hanno bisogno di riconoscere, a quale immaginario far riferimento.

Forse è proprio in questi giorni che abbiamo sentito sulla pelle tutta la violenza di ciò che Nicholas De Genova definisce lo “spettacolo del confine”169. Quel preciso meccanismo che si attiva sul confine, e che consente di essenzializzare l'ineguaglianza facendo sì che l'alterità prodotta giuridicamente possa essere concepita come differenza categoriale. Nello spettacolo del confine scena ed osceno sono, difatti, dialetticamente interconnessi: l'intera vita si presenta come un'immensa accumulazione di spettacoli ed alle radici di quella finzione stanno la divisione sociale del lavoro e la specializzazione del potere. Il confine è modellato

169N. De Genova, «Spectacles of Migrant ‘Illegality’: The Scene of Exclusion, the Obscene of Inclusion», Ethnic

proceduralmente come «sito di trasgressione», e per questo, la scena che si dispone e che genera la necessità dell'esclusione, viene allestita attraverso il ricorso ad un supplemento di oscenità. Ciò che definisce tale produzione dell'oscenità è il fatto che essa venga costruita non solo da un processo di occultamento, ma soprattutto da una fase di esposizione selettiva. In questo senso, la scena dell'esclusione dischiude e riafferma compulsivamente il «fatto osceno dell'inclusione subordinata»: in questo modo, la politica della cittadinanza pone le condizioni per essere tradotta in una politica essenzialista della differenza. E’ la stessa regolamentazione istituzionale del regime migratorio a produrre nello stessoatto costituente il presupposto dell'illegalità migrante, lasciandola apparire come il frutto di una mancanza intrinseca dei soggetti, ponendo le basi del processo di razzializzazione. Lo spettro del confine intensifica il grado in cui tutta la vita del migrante è resa aliena, mobilitata a sostegno di allarmanti segnali di separazione ed allontanamento diretti contro i ''sempre già inclusi'', che fondano la partizione in cui la macchina governamentale amministra le condotte.

«Il n'existait que des bornes en pierre distantes de deux kilomètres environ et seuls les sentiers muletiers étaient fournis de poteaux frontière (...) nulle part les Italiens n'avaient installé de dispositif spécial tel que chaînes, barrières en bois.»170, si legge in un rapporto del febbraio 1929 riportato nell’Archivio dipartimentale delle Alpi Marittime. La geografia di Ventimiglia è da sempre fortemente segnata dalla dimensione frontaliera. Già alla fine del diciannovesimo secolo, a seguito della costruzione del posto di controllo di Ponte San Luigi, gli emigranti italiani che attraversavano il confine alla ricerca di un lavoro, consideravano il luogo come «il punto di passaggio verso la terra di tutte le speranze e di tutte le illusioni»171. La regione era in effetti l'anello più debole del confine, a causa dell’esistenza di un agglomerato intenso e di sentieri, ripidi ma incustoditi, che collegavano le frazioni di Grimaldi, Latte e La Mortola con Mentone, oltre che per le opportunità offerte dal mare. La maggior parte dei sentieri che consentivano l'accesso nel territorio francese erano percorribili solamente a piedi, irti di strettoie, lungo un confine che seguiva la cresta delle montagne. Alcuni di questi, come il sentiero dei Balzi Rossi, il passo del Disertore, il passo della Giraude erano percorribili senza troppi pericoli. Per altri (come il passo del Castel del lupo, il passo della Morte etc.), situati ad alta quota, era fondamentale ricevere l'aiuto di persone esperte della zona, passeurs. Le poche notizie che emergono dai rapporti della fine del diciannovesimo secolo, testimoniano tuttavia la persistenza di flussi abituali di italiani diretti verso la Francia. In particolare a seguito della stipula del trattato del 1860, atto che definì la precisa delimitazione del confine italo-francese lungo la val Roja172, separando territori uniti da secoli, il sistema di sorveglianza di frontiera venne rafforzato da parte del governo francese. Nonostante fossero entrate in vigore disposizioni atte a impedire la prosecuzione degli attraversamenti mediante l’arsenale repressivo, il nuovo dipartimento delle Alpi Marittime, in piena espansione economica, attraeva gli emigranti italiani in cerca di un lavoro al di là del confine. C’era infatti un enorme bisogno di manodopera da impiegare nei settori dell’edilizia e dell’industria pesante, oltre che di lavoratrici di cura, tate e servitori e le reti di emigranti si muovevano mediante cerchie parentali o amicali. A Fontan, Saint-Martin-Vésubie e Isola, frequenti erano gli arresti di italiani per mancanza di documenti.

170Archives départementales des Alpes-Maritimes, 4M 1401, rapporto del 16/02/1929.

171S. Tombaccini-Villefranque, «La frontière bafouée : migrants clandestins et passeurs dans la vallée de la Roya

(1920-1940)», Cahiers de la Méditerranée, 58(1), 1999, p. 80.

172A. Gandolfo, «Il confine italo-francese nelle Alpi Marittime dal Settecento ai nostri giorni», Il presente e la storia,

Rivista dell’Istituto storico della Resistenza e della Società contemporanea in provincia di Como, n. 71, 2007, p. 153.

Masse di disertori, comunisti, anarchici, socialisti rivoluzionari, aderenti delle cooperative operaie calpestarono illegalmente la frontiera ventimigliese nei primi anni venti del ‘900: un’ “invasione di transalpini”, diretti verso la Francia, spesso aiutati dai contrabbandieri, alla volta di Nizza, ove trovavano riparo. Venivano definiti nei rapporti: «extrémistes italiens compromis dans les récents événements de ce pays qui passeraient clandestinement la frontière en se servant de barques». Percorrevano itinerari perigliosi, rodati da intere generazioni di fugitivi173, passando attraverso le montagne o sbarcando sulle coste, principalmente di notte. E frequenti erano gli arresti dopo l’effettiva chiusura della frontiera nel 1929, i refoulements effettuati nel corso delle ronde delle guardie francesi. Alla fine degli anni trenta fu il turno dell’odissea ebraica, masse in fuga prima dall’Europa orientale del terzo Reich e poi dall’Italia fascista174. Nel 1918 i documenti ufficiali segnalano per la prima volta l’esistenza di un traffico clandestino effettivamente organizzato da reti di passeurs: si parla di una rete operativa sul fronte di Grimaldi, che passando per le montagne, accompagnava gli spostamenti verso Garavan. Un’ "organizzazione occulta" che giocava un ruolo assai attivo tra i calabresi, teramani e napoletani, che donavano un tetto, falsi documenti stranieri a coloro che si trovavano nell’illegalità175: «Il s'agissait d'une vaste association de malfaiteurs -rapporte le commissaire de Menton à propos de l'une d'elles - calquée sur le type d'une véritable société commerciale, avec ses bureaux, ses agents et ses représentants tant à Savona qu'à Sanremo, Vintimille, Monaco et Marseille et en correspondance au moyen d'un langage conventionnel, avec de nombreux agents de l'Italie méridional»176.

Oggi, a distanza di un secolo dalla scrittura di quei carteggi, il confine di Ventimiglia è un «laboratorio di polizia per il pattugliamento congiunto»177, un’area altamente militarizzata che vede la co-presenza di numerose forze dell’ordine ed enti di sorveglianza privata. L’assidua attività di controllo transfrontaliero è regolata, oltre che dal Regolamento di Dublino, dall'intesa di cooperazione bilaterale per il controllo della zona di confine tra Francia e Italia, il cosiddetto

173Archives départementales des Alpes-Maritimes, 4M 1079, dossier d'expulsion de Pasquale Toscano, e 4M 103 1,

4M 1067.

174Archives départementales des Alpes-Maritimes, 4M 1362, rapporto del 26/02/1924.

175 Archives départementales des Alpes-Maritimes, 4M 1079, dossier d'expulsion de Pasquale Toscano, e 4M 103 1, 4M 1067.

176Archives départementales des Alpes-Maritimes, 4M 1362, rapporto del 26/02/1924.

177 M. Santacroce, Capo della Polizia di Frontiera cfr. http://www.lastampa.it/2018/02/14/imperia/polizia-di-

frontiera-di-ventimiglia-numeri-da-record-nel-bilancio-rPwCi1vgdBxPL664NwvUiM/pagina.html (consultato il 10 giugno 2017).

accordo di Chambery, risalente al 1997178, che prevede la stretta collaborazione tra le forze di polizia dei due Paesi e la possibilità di riammettere sul territorio italiano i cittadini che attraversano la frontiera senza un titolo di viaggio valido. Secondo i dati diffusi dalla Prefettura di Imperia, solo nel 2017 sono state 23.834 le riammissioni dalla Francia.

I refus d’entrée, vengono consegnati quotidianamente alle decine di persone che tentano di attraversare la frontiera per raggiungere il territorio francese. La prassi seguita dai funzionari di polizia francese comporta nella maggior parte degli episodi, il trattenimento illegale di adulti e minori nei locali della polizia ferroviaria o nei container disposti in frontiera. Come mostrano numerose testimonianze, i trattenimenti avvengono in un regime punitivo-deterrente. Le persone vengono lasciate nei locali deputati ai controlli in uno stato di promiscuità, spesso sono costretti a dormire sui pavimenti, senza coperte, cibo, acqua e in assenza di interpreti e legali in grado di fornire loro informazioni minime in merito alle procedure a cui vengono sottoposti. Come denunciano gli attivisti179 e i numerosi rapporti delle ONG presenti sul territorio frontaliero180, gli abusi fisici e verbali sono la norma. Urla, botte, spinte, minacce, ferimenti, di cui pagano quotidianamente le conseguenze più gravi soprattutto le donne e i minori. Numerosi migranti continuano a raccontare che nel corso dei controlli in frontiera la PAF (Police Aux Frontières) sottrae loro il cellulare o ne espelle la scheda sim con i dati e i contatti utili al loro viaggio o taglia loro le suole delle scarpe. Molto spesso il fermo dei minori, in violazione delle norme europee e francesi, segue alla registrazione degli stessi come maggiorenni nei database, o alla falsificazione delle dichiarazioni sulla volontà di tornare indietro. Percorrendo la strada che conduce da Pont S. Louis verso Ventimiglia capita spesso di incontrare uomini, bambini, famiglie e donne sole, che calpestano scalzi quei sette chilometri d’asfalto, intenti a raggiungere per l’ennesima volta la cittadina ligure.

Nella cittadina ventimigliese il clima generale è piuttosto teso: la maggior parte dei locali chiude l’accesso ai transitanti e in particolare a partire dal 2015, parallelamente alla presenza del presidio noborder dei Balzi Rossi181, si sono ripetute numerose manifestazioni organizzate di

178 Accordo fra il Governo della repubblica italiana e il Governo della repubblica francese sulla cooperazione

transfrontaliera in materia di polizia e dogana del 3 ottobre 1997

http://www.camera.it/_bicamerali/schengen/docinte/ACCITFR.htm. (consultato il 12/12/2018)

179 Si consultino in particolare i numerosi rapporti mensilmente pubblicati dagli attivisti del blog

parolesulconfine.com https://parolesulconfine.com/numero-persone-respinte/ (consultato il 20/11/2019).

180 Si veda in particolare: Oxfam, Asgi, Diaconia Valdese, Se questa è Europa – Minori stranieri respinti dalla

Francia all’Italia,17/06/18 https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2018/06/Se-questa-%C3%A8- Europa_BP_15giugno2018.pdf (consultato il 20/09/18).

cittadini incitanti alla stigmatizzazione della presenza migrante, progressivamente entrata in collisione con l’industria turistica e la popolazione locale. La retorica imperante si fonda sull’artificio della lotta al degrado e del decoro urbano. Come sottolinea Bonnin182 la maggioranza della popolazione autoctona tende a percepire la presenza delle persone bloccate al di qua della frontiera come pericolosa, o quantomeno dannosa, per la messa a valore delle risorse territoriali attraverso l’industria turistica. Tra numerosi abitanti di Ventimiglia è percezione diffusa che i migranti compromettano le possibilità di guadagno, allontanando la presenza dei turisti. Nella stessa morsa che qualifica la presenza migrante come elemento di perturbazione ricade anche quella dei solidali e degli attivisti presenti sul territorio, che nel corso delle interviste hanno denunciato la presenza di un generale clima di diffidenza e di stigma da parte dei locali. Come conferma la testimonianza della rappresentante di una delle ONG presenti sulla cittadina di frontiera, che per tre anni ha abitato stabilmente a Ventimiglia:

In generale c’è un conflitto molto alto. Sono sdoganate tutta una serie di posizioni, la gente non ha minimamente più pudore e paura di mostrare, esprimere posizioni. Ad esempio vai in stazione, parli con un ragazzo, senti il signore di cinquant’anni dietro di te che inizia a dirti: «Questa è qua perché sta cercando qualcuno da portarsi a casa per avere rapporti sessuali con lui». Allora ti alzi e te ne vai e ti dicono: «Ah, si vede che non ha trovato nessuno che possa soddisfare i propri bisogni». No, non sono proprio educati! Sulla zona di Gianchette quando i ragazzi passano c’è la tipica signora appostata che insulta te, i tuoi colleghi, i ragazzi, che insulta con qualsiasi tipo di frase. A Ventimiglia in tre mesi hanno fatto tre manifestazioni contro i migranti. Direi che è abbastanza significativo del conflitto che c’è qui. A ragione, non a ragione, sicuramente ci sono dei profili da considerare anche nella loro condizione, non lo metto in dubbio.

D.Z., operatore Intersos, Ventimiglia, 12/06/18.

Nonostante l’innegabile impatto di questo tipo di tensione, sebbene la mia attività di campo si sia svolta in un periodo in cui andava progressivamente scemando l’attenzione mediatica sulla frontiera italo-francese, presidi informali e realtà solidali hanno continuato a svolgere una quotidiana attività di supporto e di monitoraggio del confine. Tra questi, si segnala la presenza del gruppo di attiviste e attivisti che successivamente al violento sgombero del campo dei Balzi Rossi hanno dato vita al blog Parole sul confine183, continuando a svolgere un’intensa attività di