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Verso un nuovo assetto dei controll

CONTROLLI NELL’AREA DELL’EURO

2.2 Verso un nuovo assetto dei controll

Nonostante le chiare scelte operate dal legislatore comunitario, non si è mai sopito il dibattito sull’opportunità della soluzione adottata dal Trattato, soprattutto alla luce delle radicali trasformazioni del sistema finanziario

europeo; recenti e approfondite ricerche9 individuano nel consolidamento delle

8

Non essendo possibile un maggiore approfondimento sulla questione, si rimanda a AGLIETTA, A lender of last resort for Europe, in GOODHART (a cura di), Which lender of last

resort for Europe?, London, 2000, pag. 55 ss.

9

Tra i tanti approfondimenti, si veda SANTORO V., I limiti del mercato e il fallimento della

istituzioni finanziarie e nell’affermazione di grandi intermediari operanti su vasta scala, i maggiori elementi che caratterizzano tali trasformazioni, e che pongono nuovi problemi in ordine alla conservazione della stabilità sui mercati finanziari. Ci si è quindi chiesti se nel caso di fenomeni patologici che coinvolgano intermediari operanti su scala comunitaria la rigida applicazione del principio dell’home country control, sul quale si è basato per molto tempo l’assetto della vigilanza europea, non possa manifestare lacune e possibili pericoli di conflitti tra i diversi ordinamenti: le singole autorità potrebbero cioè essere spinte ad una valutazione dei rischi prevalentemente domestici, senza una visione prospettica degli effetti di ricaduta sugli altri paesi, rendendo così difficilmente governabile la fase di crisi. Di fronte ad operatori la cui attività estera assume dimensioni analoghe se non superiori a quella domestica, si potrebbe manifestare un’eccessiva e pericolosa differenza tra la “qualità” e l’“intensità” dei controlli sulla componente locale e quelli sulla parte internazionale.

In questi casi il criterio dell’home country control si dovrebbe coniugare con un forte coordinamento tra le Autorità, ma da un lato tale coordinamento, soprattutto nelle ipotesi nelle quali siano necessari interventi di sostegno alle banche in crisi, può apparire difficile e soprattutto non sempre tempestivo, dall’altro si è messo in evidenza come sarebbe necessario che l’host country operi come una sorta di longa manus sull’autorità del paese di origine,

presupponendo “una simmetria di poteri” non sempre esistente10. In sostanza, ‹‹è probabile che nel sistema bancario europeo finiscano per consolidarsi tre diversi tipi di banche: quelle continentali, difficilmente identificabili con uno o l’altro dei paesi dell’Unione, quelle nazionali e quelle propriamente locali. Almeno per le banche del primo tipo potrebbe rilevarsi inadeguata una vigilanza ancora svolta a livello nazionale, soprattutto perché potrebbe risultare impossibile l’esercizio a livello europeo di quelle azioni di supervisione bancaria che richiedono discrezionalità››11.

Bisogna inoltre considerare che se una frammentazione dei controlli può indebolire i presidi prudenziali sui grandi operatori a “vocazione” europea, può anche rappresentare per questi stessi operatori, costretti a interloquire con più organismi con linguaggi e sensibilità spesso diversi, un incremento dei “costi” della vigilanza, con negative ripercussioni sui livelli di efficienza gestionale. Inoltre, il principio del mutuo riconoscimento e la relativa sopravvivenza delle vigilanze nazionali, non soltanto rende più difficile la prevenzione dei fenomeni di instabilità, ma rischia anche di ostacolare una più veloce integrazione dei mercati. Tale principio, infatti, se poteva essere funzionale alla fase di avvio del mercato comune con intermediari prevalentemente operanti su base nazionale,

10

Si veda più approfonditamente ONADO, La regolazione nei servizi finanziari, in

L’industria, 2000, pag. 886 ss.

11

Cfr. PAPADIA – SANTINI, La Banca Centrale Europea2, Bologna, 2000, pag 50 ss; cfr. anche LAMFALUSSY, Crisi finanziarie nei mercati emergenti, Torino, 2001, pag. 180 ss, in cui viene messa in evidenza come la struttura dei controlli basata sulla semplice collaborazione corra il rischio di essere ‹‹superata dagli eventi››.

perde la sua efficacia con il diffondersi delle attività cross-border che, per potersi sviluppare in condizioni di equilibrio, presuppongono il superamento delle differenze tra i diversi ordinamenti.

Queste differenze possono dar luogo ai ben noti pericoli di “regulatory

arbitrage” e di “competition in laxity”, già visti in precedenza: in altri termini, i

regolatori nazionali potrebbero essere tentati o di abbassare la guardia per rendere più “attraenti” i propri sistemi o, e alcune recenti vicende in parte lo confermano12, di utilizzare i poteri di vigilanza in una prospettiva di valorizzazione di eventuali “campioni nazionali”. In questo modo si introdurrebbero evidenti fattori distorsivi nel mercato comunitario, che rischierebbe di conservare, se non incrementare, una segmentazione che oltre a contrastare con i propositi del Trattato, indebolirebbe la capacità di competizione dell’area dell’euro nello scenario internazionale13.

In verità, sia dal Report on Financial Stability del 200014, sia dal più recente rapporto Lamfalussy15 in materia di servizi finanziari e mercati mobiliari, già

12

Cfr. VIVIES, Banking supervision in the European Monetary Union, relazione presentata al convegno ‹‹Financial Supervision of Banks and Specialized Banks in the EU››, Firenze, 15 dicembre 2000, pag. 16 ss.

13

Si veda più nel dettaglio MINERVINI – ONADO, Efficienza dei sistemi finanziari e tutela

del risparmio: disciplina o deregolamentazione?, in TESAURO – D’ALBERTI (a cura di), Regolazione e concorrenza, Bologna, 2000, pag. 125 ss.

14

Cfr. Report on financial stability, in EUROPEAN COMMISSION, Economic papers, n. 143/2000, pag. 14 ss.

15

Cfr. Final Report of The Committee of Wise Man on The Regulation of European Securities

preso in considerazione nel capitolo precedente, sembra emergere la consapevolezza di questi rischi e l’insoddisfazione per il grado di omogeneizzazione dei mercati europei (e infatti, come è noto, si individuano le tappe per giungere rapidamente a più elevati livelli di armonizzazione), ma la proposta di definire norme comuni non si è ancora tradotta in un’analoga proposta di riforma degli assetti dei controlli, nella convinzione che sia sufficiente un rafforzamento della rete di cooperazione già esistente tra le diverse autorità di vigilanza e che un ‹‹regolatore unico europeo sia incompatibile con la presenza di profonde differenze legislative e regolamentari››16. Solo oggi, alla luce di tutti gli avvenimenti economico e politici che hanno colpito il sistema finanziario europeo in generale, si è giunti all’elaborazione di un sistema più accentrato di controlli, proprio con la direttiva che andremo a considerare nello specifico nel prossimo capitolo e che sta al centro di questo lavoro.

Deve essere infine sottolineato come una efficiente supervisione richieda ‹‹disponibilità di informazioni dirette, tempestive e approfondite, la vicinanza ai soggetti sorvegliati, la conoscenza del contesto in cui essi operano››, elementi questi tipici di una vigilanza bancaria ‹‹incardinata negli ordinamenti giuridici nazionali per la stretta connessione delle sue attribuzioni con istituti normativi

16

Si veda sull’argomento SPAVENTA, Discorso del Presidente Consob al mercato

pubblici e privati, per l’assicurazione dei depositi, per i possibili riflessi delle insolvenze sulle finanze pubbliche››17.

Non vi è dubbio quindi che questi profili rappresentino importanti presupposti per il successo dell’attività di controllo, ma se da un lato ‹‹il vantaggio informativo dovuto alla prossimità geografica vale solo per le attività finanziarie che mantengono una dimensione e una rilevanza regionali o nazionali››, rivelandosi insufficiente per intermediari con ampia operatività all’estero18, dall’altro la sensibilità ai mercati locali, e la capacità di disporre di un adeguato patrimonio di conoscenze, non necessariamente sono incompatibili con la definizione di criteri sovranazionali nello svolgimento dei controlli stessi. In un contesto che si ispiri a strutture di tipo “federale”19, l’Autorità Comunitaria potrebbe definire gli indirizzi generali ai quali, con la necessaria duttilità, i singoli organismi di vigilanza degli Stati membri dovrebbero poi attenersi20, conservando poteri ispettivi e informativi21. È infatti evidente che la

17

Cfr. FAZIO, Finanza, stabilità e sviluppo, in BANCA D’ITALIA, Documenti, n. 697, marzo 2001, pag. 15 ss.

18

Cfr. BRUNI, Alla ricerca di una regolamentazione finanziaria per l’Europa: fra vecchi e

nuovi problemi, in FONDAZIONE ROSSELLI, Dalla banca all’euro-bank. Nuovi mercati e nuove regole, Milano, 2001, pag. 86 ss.

19

Sull’argomenta si veda CASSESE, L’‹‹unica moneta›› senza stato. Dalle monete nazionali

alla moneta unica, in Dir. ban. merc. fin., 2001, pag. 188 ss; ZILIOLI – SELMAYR, The European Central Bank, Its System and Its Law, in Euredia, 1999, pag. 187 ss.

20

Auspica un simile modello per la vigilanza sui mercati COSTI, Struttura proprietaria e

diritto dell’impresa, in Banca, impr. soc., 2001, pag. 252 ss.

21

Si veda GUALANDRI, Unione monetaria europea: temi di vigilanza, in Banche e

vigilanza europea non potrebbe realizzarsi se non in un contesto di valorizzazione delle competenze e delle capacità delle singole Autorità nazionali (correndosi altrimenti il rischio di creare un’architettura istituzionale dei controlli incentrata su grandi ed inefficienti strutture burocratiche), competenze che però dovrebbero esercitarsi nell’ambito di indirizzi unitari provenienti dall’organo centrale.