Capitolo III: La donna nel Secolo d’Oro: funzione sociale, educazione e
3.1 L’immaginario femminile nella satira di Quevedo
3.1.1 La vieja
Di tutti i tipi femminili che Quevedo analizza nella sua vasta produzione satirica, uno dei modelli peggiori è rappresentato dalle viejas, che concentrano in sé tutti i difetti della donna. Sono due principalmente i temi che l’autore sviluppa in questo caso: il voler mascherare la propria età attraverso l’uso dei cosmetici e la professione di alcahuetas, unita quasi sempre al tema della stregoneria. Il
romance 708, Comisión contra las viejas, riunisce i principali motivi satirici che
Quevedo ha sviluppato contro di loro. Lo riporto solo in parte qui di seguito:
Bl 708: Comisión contra las viejas
Pantasmas acecinadas, 5 siglos que andáis por las calles,
muchachas de los finados, y calaveras fiambres. [...] Dicen, y tienen razón de gruñir y de quejarse, que vivís adredamente
engullendo Navidades; 20 que chupáis sangre de niños,
como brujas infernales; que ha venido sobre España plaga de abuelas y madres. [...]Dicen que sois como pasteles,
sucio suelo, hueca hojaldre, 30 y, aunque pasteles hechizos,
tenéis más güeso que carne. Que servís de enseñar solo a las pollitas que nacen
enredos y pediduras, 35 habas, puchero y refranes.
[...]Vieja barbuda y de ojeras, manda que niños espante,
y que el alma condenada en todo lugar retrate. [...]Vieja de boca de concha,
con arrugas y canales, 70 pase por mono profeso
y coque, pero no hable. Vieja de diente ermitaño, que la triste vida hace,
87
tenga su risa por cárcel. Vieja vísperas solenes con perfumes y estoraques, si güele cuando se acuesta,
hieda cuando se levante. 80 Vieja amolada y büida,
cecina con aladares,
pellejo que anda en chapines, por carne monia se pague.
Vieja píldora con oro 85 y cargada de diamantes,
quien la tratare la robe; quien la heredare la mate.
Interessante è il ritratto della vieja che possiamo ricavarne: il poeta si sofferma soprattutto sul suo aspetto fisico, caratterizzato dalla presenza di rughe, dalla bruttezza della donna, dal cattivo odore e dalla perdita dei denti. La descrizione fisica inizia, in particolar modo, a partire dal verso 60. La vieja viene definita come “barbuda”, ha le occhiaie, la sua bocca, a causa delle rughe, assomiglia a una conchiglia (“boca de concha” v. 69) e i denti vengono definiti come “ermitaños”, nel senso che molti hanno ‘abbandonato’ la bocca e ne sono rimasti pochi che appaiono solitari come degli eremiti. Il tutto è messo in luce per sottolineare l’età avanzata della donna e il deperimento fisico che ne deriva. L’esagerazione dei suoi anni porta a macabre associazioni: “pantasmas acecinadas” (v. 5.), “calaveras fiambres” (v. 8). Importante è anche il riferimento alla falsa apparenza attraverso l’uso dei cosmetici e altri prodotti di bellezza: in questo caso il richiamo è ai profumi e all’estoraque (un tipo di balsamo, v. 79). L’idea che si vuole trasmettere è che, pur utilizzando questi prodotti, la donna non riesce a mascherare il suo cattivo odore: se quando va a dormire, profuma, la mattina quando si sveglia, puzza (vv. 80-81). Notevole è l’allusione alla sua professione di “alcahueta” (vv. 33-36, dove si fa riferimento alla sua capacità di creare “enredos y trampas” e di indovinare la sorte con “habas y pucheros”), che come ho detto precedentemente, veniva assocciata alla stregoneria. In questo
romance il riferimento lo troviamo soprattutto ai versi 21-25, dove viene definita
88
21). Come afferma Jaime Hernández Vargas100, la presenza di viejas che conoscono l’arte della hechicería e del celestinaje è abbondante nei testi medievali, rinascimentali e barocchi della letteratura spagnola. Quevedo attribuisce alle viejas diversi crimini e difetti relazionati con queste due professioni: le rappresenta grottesche, animalizzate e, allo stesso tempo, come personificazioni del male. A partire dal Medioevo, la concezione predominante era quella della donna come essere legato alla magia e, per questo, temuto e odiato. Durante questo periodo, si credeva che la bruja fosse una donna generalmente vecchia, che non si sottometteva al potere maschile, ma che, in cambio, adorava il diavolo. Vista la sua relazione con il demonio, le si attribuiva un potere distruttivo. In questa atmosfera di repressione, è curioso notare come queste donne venissero associate tanto a una corruzione morale (malvagità, stregoneria), quanto a una fisica (vecchiaia, bruttezza). Fra tutte queste, la vieja era quella che concetrava in se stessa la maggior parte di questi difetti, se non tutti. La sua deformazione fisica veniva associata al male, era come il riflesso della sua anima. A causa di questa ‘scomposizione fisica e sociale’, alcune viejas
hechiceras e celestinas erano paradossalmente rispettate. Alcuni testi letterari
presentano viejas con grande autorità, visto il buon uso che facevano della magia e dell’arte persuasiva. La Celestina di Fernando de Rojas ne è un chiaro esempio.
Un’ulteriore descrizione fisica e morale della vieja la troviamo nel sonetto 618 A una vieja, del mismo. L’autore si concentra nuovamente sull’aspetto repellente della donna, utilizzando metafore e riferimenti arguti.
Bl 618: A una vieja, del mismo.
En cuévanos, sin cejas y pestañas, ojos de vendimiar tenéis, agüela; cuero de Fregenal, muslos de suela; piernas y coño son toros y cañas.
100 VARGAS HERNÁNDEZ, Jaime (2015), Dos viejas celestinas y hechicheras en la lírica
quevediana: fisionomía y retratos sociales como instrumentos punitivos, in La Perinola, 19, pp.
89
Las nalgas son dos porras de espadañas; 5 afeitáis la caraza de chinela
con diaquilón y humo de la vela, y luego dais la teta a las arañas.
No es tiempo de guardar a niños, tía;
guardad los mandamientos, noramala; 10 no os dé San Jorge una lanzada un día.
Tumba os está mejor que estrado y sala; cecina sois en hábito de arpía,
y toda gala en vos es martingala.
In questo sonetto il poeta ci presenta il ritratto della donna come se fosse una specie di collage, in cui predominano i riferimenti all’ambito culinario e botanico. Quevedo utilizza una tecnica che consiste in una varietà parodica del “blasón”, un tipo di componimento caratterizzato dalla descrizione fisica ed ordinata della dama, le cui parti del corpo sono paragonate ad oggetti preziosi come gioielli, fiori o stelle. Quello di Quevedo è chiaramente un “contrablasón”, come suggerisce la studiosa Ana Maria Snell101, e si sviluppa in maniera disordinata, passando da una parte del corpo all’altra, senza continuità, iniziando dal volto della donna. La descrizione fisica comincia nella prima quartina dove la donna è descritta come priva di ciglia e sopracciglia; gli occhi ricordano le ceste da vendemmia per quanto sono infossati nel volto102; la pelle, facendo riferimento al “cuero” (v. 3), viene presentata come dura e secca; ed infine, attraverso il verso 4, vuole esprimere l’idea di una donna che appena riesce a sostenersi a causa delle gambe magre e poco stabili come “cañas” (v. 4). La rappresentazione prosegue poi nella seconda quartina dove il poeta fa riferimento alle natiche, definite come “porras de espadañas” (v. 5) e nuovamente al volto, definito come “caraza de chinela” (v. 6), che la donna abbelisce con “diaquilón y humo de vela”(v. 7), unguenti che venivano usati per coprire imperfezioni. Interessante è il verso 8, dove, attraverso una metafora (“dar la teta a las arañas), l’autore allude alla professione della donna come “mentora de arañas”. “Arañas” era un termine
101 SNELL, Ana María (1981), Hacia el verbo: signos y significación en la poesía de Quevedo,
Tamesis Books Limited, London, p. 71.
102 Quevedo utilizzerà una metafora analoga per la descrizione degli occhi del Licenciado Cabra,
90
appartentente al linguaggio della germanía con cui si identificavano le “mozas pedigüeñas”, poiché la loro funzione era quella di sedurre gli uomini per rubargli la “mosca”, ossia il denaro. Nelle terzine Quevedo si concentra soprattutto sulla moralità della donna. La vieja viene infatti associata al demonio, attraverso il riferimento a San Jorge (v. 11) che, secondo un detto popolare, era il santo che si occupava di “matar la araña”, e all’arpia (v. 13). Ricordiamo che le arpie erano bestie mitologiche con il volto di donna che si recavano ai banchetti per defecare sui cibi e bevande. È evidente quindi un riferimento escatologico, il tutto per sottolineare nuovamente l’aspetto repulsivo e sgradevole della donna103.
103 SNELL, Ana María (1981), Hacia el verbo: signos y significación en la poesía de Quevedo,
91
3.1.2 La mujer postiza
Nelle poesie precedentemente analizzate, abbiamo potuto notare come uno dei numerosi attacchi che Quevedo rivolge alla vieja è quello di voler nascondere i segni dell’età che avanza, attraverso l’uso di cosmetici. L’ipocrisia e l’inganno diventano quindi parte essenziale di questa figura femminile. Abbiamo deciso, perciò, di analizzare una serie di testi, sia in prosa sia in verso, dove questo elemento viene rappresentato al meglio. Partendo dall’ambito poetico, commenterò le seguenti poesie: i sonetti Bl 551, Pinta el «Aquí fue Troya» de la
hermosura, Bl 522, Desnuda a la mujer de la mayor parte ajena que la compone
ed infine Bl 553, Hermosa afeitada de demonio.
Bl 551: Pinta el «Aquí fue Troya» de la hermosura
Rostro de blanca nieve, fondo en grajo; la tizne, presumida de ser ceja;
la piel, que está en un tris de ser pelleja; la plata, que se trueca ya en cascajo;
habla casi fregona de estropajo; 5 el aliño, imitado a la corneja;
tez que, con pringue y arrebol, semeja clavel almidonado de gargajo.
En las guedejas, vuelto el oro orujo,
y ya merecedor de cola el ojo, 10 sin esperar más beso que el del brujo.
Dos colmillos comidos de gorgojo, una boca con cámaras y pujo, a la que rosa fue vuelven abrojo.
In questo sonetto Quevedo rappresenta la degradazione corporale della donna a causa dello scorrere del tempo: la componente misogina si mescola con il cliché del tempus fugit. Partendo dal primo verso, il lettore ha come l’impressione di trovarsi di fronte all’incipit tipico del ritratto della dama nella poesia amorosa di matrice petrarchista. Tuttavia, proseguendo con la lettura, è costretto a correggere
92
la sua prima impressione, poiché il modello viene invertito, parodiato. Tradizionalmente la descrizione fisica seguiva un ordine discendente, dai capelli al collo, passando per la fronte, gli occhi, le guance, le labbra ed infine la bocca. In questo caso, invece, non esiste un ordine apparente, Quevedo passa da un riferimento generale a uno più specifico. Nel primo verso, per esempio, il volto della donna viene descritto metaforicamente come “fondo en grajo”, ossia, attraverso il riferimento al corvo (impiegando la tecnica di animalizzazione tipica della satira quevedesca), come uno sfondo scuro sul quale viene applicato artificialmente, attraverso l’uso di cosmetici, uno strato bianco, una sorta di cipria coprente, che nasconde la vera essenza della donna. Il colore bianco rimanda, infatti, al “solimán”, che era uno dei prodotti di bellezza tipici dell’epoca. Il riferimento ai cosmetici si intensificherà poi ai versi 2, 6, 7 e 8. La vieja non ha sopracciglia, che ha perso sicuramente a causa dell’età e della sifilide (una malattia sessualmente trasmissibile) e la sua pelle si sta trasformando in “pelleja”(v. 2), sostantivo che veniva generalmente usato per riferirsi alla pelle degli animali. Ne deriva un’ulteriore animalizzazione, anche se in questo caso più implicita. Importante è il verso 4, che instaura un parallellismo con il verso precedente mediante la relazione tra le parola “plata” e “piel”, che sono collocate nella stessa posizione; “piel” diventa il referente di “plata”, per cui è la pelle della donna che si “trueca ya en cascajo” (v. 4). “Trocar” y “cascajo” sono due termini appartenenti al linguaggio monetario e colloquiale: il primo è un verbo che serve per indicare il cambio di moneta, mentre il secondo è un sostantivo che indica una moneta di poco valore. La pelle è cambiata a causa dell’età che avanza. Possiamo, già dai primi versi, notare che gli espedienti linguistici utilizzati da Quevedo sono, per il lettore contemporaneo, difficili da capire a una prima lettura. La seconda quartina si apre con il riferimento al modo di parlare della donna, “habla”, tramite l’espressione “fregona de estropajo”, una parlata sbiascicata da sguattera. L’espressione “fregona de estropajo” rimanda a una frase fatta, “lengua de estropajo”, che vuole alludere all’incapacità comunicativa della donna104. Al
verso 6 è presente una nuova animalizzazione esplicita, in cui la donna viene
104 ARELLANO, Ignacio (1984), Poesía satírico burlesca de Quevedo: estudio y anotación
93
paragonata a una cornacchia. Per comprendere questa similitudine è necessario ricordare una favola di Esopo dove una cornacchia, per abbellirsi, indossa piume di altri uccelli, ma rimane nuda quando ognuno di loro le richiede indietro. In questo caso le piume rappresentano i cosmetici, a cui il poeta fa riferimento attraverso immagini repulsive: al verso 7, per esempio, torna alla descrizione del volto che, con “pringue e arrebol”, assomiglia a un “clavel almidonado de gargajo”, dove il “pringue” (una specie di grasso) e il “gargajo” (saliva) alludono al colore bianco del volto (si ritorna all’immagine del primo verso), mentre “arrebol” (un cosmetico) e “clavel” (garofano) alludono al colore rosso, generalmente utilizzato nella poesia petrarchista per indicare il colore delle guance della donna. Nella prima terzina il poeta passa poi a descrivere i capelli, che non sono di color oro come nel ritratto femminile tradizionale, bensì rossi (l’oro si traforma in “orujo”). Ricordiamo che, secondo un’idea popolare del tempo, il rosso dei capelli indicava un’indole malvagia. In questo caso fondamentale sarà il verso seguente dove, attraverso la degradazione di un altro elemento del ritratto (gli occhi), il poeta allude al mondo della stregoneria. Il riferimento è a un solo occhio, che viene identificato con “el ojo trasero” del diavolo, baciato dalle streghe durante i rituali. È come se il volto venisse confuso con il sedere. Questa metafora arguta viene utilizzata, non per descrivere la donna in quanto strega, bensì per sottolineare il fatto che, a causa della vecchiaia, gli occhi sono talmente orrendi da sembrare “ojos traseros”. Il sonetto termina con la descrizione della bocca: i denti, definiti come “colmillos”, termine utilizzato per indicare le zanne degli animali (nuova animalizzazione implicita), hanno la carie (i denti sono “comidos de gorgojo”, dove il “gorgojo” è un parassita). Significativo è il verso conclusivo: “a la que rosa fue vuelven abrojo”, in cui la rosa diventa uno sterpo spinoso. Come abbiamo potuto vedere, l’autore intende qui presentare una lezione del tempo sull’aspetto fisico della donna, mostrando tutti gli effetti della vecchiaia con l’obiettivo di provocare nel lettore una risata amara, unita a una sensazione di repulsività. Come afferma Ignacio Arellano, tutto il sonetto si presenta come un’accumulazione di similitudini diverse, realizzate con termini appartenenti al mondo naturale, animale, vegetale e minerale105.
94
Bl 522: Desnuda a la mujer de la mayor parte ajena que la compone
Si no duerme su cara con Filena, ni con sus dientes come, y su vestido las tres partes le hurta a su marido, y la cuarta el afeite le cercena;
si entera con él come y con él cena, 5 mas debajo del lecho mal cumplido,
todo su bulto esconde, reducido a chapinzanco y moño por almena,
¿por qué te espantas, Fabio, que, abrazado
a su mujer, la busque y la pregone, 10 si, desnuda, se halla descasado?
Si cuentas por mujer lo que compone a la mujer, no acuestes a tu lado la mujer, sino el fardo que se pone.
Il sonetto è diviso in quattro strofe: le due quartine sono rivolte a Filena, mentre le terzine sono dirette al marito Fabio. Il poeta adotta il ruolo di locutore che vuole persuadere o avvertire di una determinata situazione. Nelle quartine, seguendo il modello rappresentato da Marziale nell’epigramma IX, 37, il poeta rappresenta la degradazione corporale della donna. Invece di lodarne la bellezza fisica, Quevedo ne analizza i difetti con un’attenzione maniacale, tanto da scomporre il corpo in tante piccole parti che sembrano assumere un’identità autonoma. Questa idea viene rafforzata, non solo dal fatto che Filena non dorme con la sua faccia (v. 1), ma anche perché il suo corpo sembra essere suddiviso in quattro parti, tre delle quali nascoste dai vestiti e una dai cosmetici. È nelle terzine dove il poeta utilizza un’interrogativa retorica per interpellare Fabio e convincerlo che sua moglie non è la donna che lui crede che sia. Filena, composta da parti a lei estranee, si presenta come una specie di manichino formato da “dientes postizos, afeites, vestidos y dos desproporciones: los chapines altísimos por abajo (ridiculizados en el ingenioso e hiperbólico neologismo chapinzanco) y el mono por arriba”106. Oltre a questi elementi non c’è nulla; nuda, Filena non esiste e risulta invisibile a suo marito che “la pregona” come se l’avesse persa. Tutto il sonetto è un’iperbole continuata che
254-256.
95
raggiunge il suo culmine nella terzina finale, dove è evidente la satira contro le donne che utilizzano i cosmetici e i vari prodotti di bellezza.
Bl 553: Hermosa afeitada de demonio
Si vieras que con yeso blanqueaban las albas azucenas; y a las rosas
vieras que, por hacerlas más hermosas, con asquerosos pringues las untaban;
si vieras que al clavel le embadurnaban 5 con almagre y mixturas venenosas,
diligencias, sin duda, tan ociosas, a indignación, dijeras, te obligaban.
Pues lo que tú, mirándolo, dijeras,
quiero, Belisa, que te digas cuando 10 jalbegas en tu rostro las esferas.
Tu mayo es bote, ingüentes chorreando; y en esa tez, que brota primaveras, al sol estás y al cielo estercolando.
In questo sonetto la repulsione verso i cosmetici è presente già a partire dal titolo attraverso l’espressione “afeitada de demonio”. Secondo la visione dell’epoca, come ricorda Alicia Martínez Crespo, le donne peccatrici erano coloro che si imbrattavano la pelle del viso con varie sostanze, coloravano le guance, truccavano gli occhi, poiché, così facendo, commettevano il peccato di falsificare l’immagine naturale avuta da Dio, creando una nuova apparenza sulla quale agiva il diavolo. I moralisti erano d’accordo nell’associare la cura del corpo ai peccati di superbia, vanità, lussuria e all’inganno. Attraverso la bellezza artificiale, le donne potevano ingannare gli uomini107.
L’opposizione tra bellezza e disgusto è espressa nel componimento attraverso una serie di immagini che rimandano, da un lato, ad elementi tipici della tradizione petrarchista come i fiori (“azucenas, rosas, claveles”) e metafore appartenenti al
107 MARTÍNEZ- CRESPO, Alicia (1993), La belleza y el uso de afeites en la mujer del siglo XVI,
96
campo semantico del sole (“esferas, cielo, sol”) , mentre, dall’altro, si riferiscono a una serie di termini che rivelano un giudizio satirico esplicito nei confronti dei cosmetici (“yeso, asquerosos pringues, almagre, mixturas venenosas, ingüentes que chorrean”). Il tutto viene sintetizzato nella terzina conclusiva attraverso l’immagine del letame. L’aspetto fisico della donna viene talmente degradato da aver bisogno di un vero e proprio restauro.
97
Spostandoci nella produzione in prosa, possiamo notare che il tema della “mujer postiza” è presente in due “sogni” quevediani: el Sueño del Infierno ed El
Mundo por de dentro.
Nel Sueño del Infierno, la descrizione della “mujer postiza” è affidata a uno dei demoni che il narratore incontra durante la sua visita nell’Inferno. Il demone descrive gli elementi da cui questo corpo artificiale è composto. È come se la donna, ogni mattina, si cucisse addosso un abito diverso che, con lo scorrere del tempo, deve essere sempre più rammendato.
-Mira lo que hacen las feas. Y veo una muchedumbre de mujeres, unas tomándose puntos en las caras, otras haciéndose de nuevo, porque ni la estatura en los chapines, ni la ceja con el cohol, ni el cabello en la tinta, ni el cuerpo en la ropa, ni las manos con la muda, ni la cara con el afeite, ni los labios con la color eran los con que nacieron ellas, y vi algunas poblando sus calvas con cabellos que eran suyos solo porque los habían comprado. Otra vi que tenía su media cara en las manos, en los botes de unto y en la color. -Y no queráis más de las invenciones de las mujeres- dijo un diablo-, que hasta resplandor tienen, sin ser soles ni estrellas. Las más duermen con una cara y se levantan con otra al estrado, y duermen con