• Non ci sono risultati.

Vincenzo Brancatisano

UNA VITA D A SUPPLENTE

Lo SFRUTTAMENTO DEL LAVORO

PRECARIO NELLA SCUOLA PUBBLICA ITALIANA

pp. 350, € 12,50, Nuovi Mondi, Modena 2010

G

e cosa direbbero i sinda-ati di fronte a un dipen-dente licenziato e assunto dal-la stessa azienda, privata, per cinquanta volte, in diciassette anni di lavoro? Eppure è ciò che può succedere, e non è ra-ro che succeda, a un insegnan-te precario. Con questo ininsegnan-terro- interro-gativo si apre il libro di Giusep-pe Brancatisano, giornalista e supplente cronico, autore di li-bri-inchiesta sul caso Di Bella, collaboratore di alcune testate locali. E la disanima dei casi e delle disavventure che capitano a un professore supplente costi-tuisce davvero una galleria degli orrori.

Estremamente documentato e aggiornato (le ultime statistiche riportate risalgono al 2009), il li-bro costituisce un esempio di denuncia delle condizioni di su-persfruttamento alle quali sono

sottoposti i precari della scuola. Eppure sono indispensabili al funzionamento della scuola pubblica: su circa 720.000 inse-gnanti, i precari sono oltre 130.000, chiamati a svolgere le stesse mansioni dei colleghi di ruolo, ma retribuiti sensibilmen-te di meno. E fuori dei meccani-smi che regolano l'avanzamento automatico di carriera. Così, un lavoratore, che per oltre vent'an-ni viene licenziato puntualmente a giugno e riassunto a settembre, non potrà usufruire degli scatti di anzianità e percepirà, alla sua ventesima riassunzione, lo stesso stipendio iniziale. Questo in un contesto di arretramento salaria-le dell'intero comparto, aggrava-to dalle recenti disposizioni del-la Finanziaria.

Ma la logica dei tagli non si è accanita solo sugli stipendi. Co-me denuncia, e docuCo-menta, Brancatisano, non si contano i casi di docenti chiamati a inse-gnare materie delle quali non hanno che una pallida idea (di-ritto costituzionale gli insegnanti di lettere, elettronica gli inse-gnanti di informatica, per citare qualche esempio) e bidelli chia-mati ad assistere le classi perché non ci sono più, a causa dei tagli del personale, gli insegnanti "a

disposizione" e i minorenni non possono essere lasciati incusto-diti. Ma se, come dice la ministra Gelmini, i bidelli "sono più dei carabinieri", qualcosa dovranno pur fare, cioè i docenti o i segre-tari! Peccato che le stazioni dei carabinieri in Italia siano circa 6.000, e le scuole circa 42.000: ma forse nel parlare dell'eccessi-vo numero di bidelli la ministra intendeva in realtà parlare del-l'eccessivo numero di scuole.

Pur concentrandosi sulla di-sparità di trattamento alla quale è costretto un precario della scuola, il libro dipinge lo scena-rio di una scuola abbandonata, e sul banco degli imputati non manca nessuna delle istituzioni che dovrebbero garantire il fun-zionamento della scuola pubbli-ca, dai vari governi ai sindacati. Scritto in un linguaggio chiaro e scorrevole, il lavoro di Branca-tisano, docente di diritto ed eco-nomia, ha il pregio inoltre di esplicitare i riferimenti giuridici della legislazione vigente in Ita-lia e la sua incompatibilità con la legislazione europea in merito al precariato. Ed è proprio nel ri-corso alla legislazione comunita-ria che individua uno spiraglio per ridare dignità e diritti a que-sti "figli di un dio minore" che

sono i supplenti. •

gino001?gmail.com

G. Candreva insegna al Conservatorio di Milano

Le regole? Solo quelle del capo

Le regole? Solo quelle del capo

<f

x

X X

s

X

<<

X

s

X << X

s

X

<<

X

<<

X X X

s

X • X s X X X

^

X

Semiologia didattica

di Fausto Marcone

Luana Collacchioni

B A R B I A N A E IL M U G E L L O UNA SCUOLA PER L'INTEGRAZIONE IL DIFFICILE INCONTRO TRA TEORIA E PRASSI

prefaz. di Luigi Goff redi, pp. 215, € 20, Ets, Pisa 2009

G

»n la classe o il gruppo l'insegnante è re-ponsabile di ciò che dice e fa, il che si-gnifica intenzionalità, consapevolezza, perizia nel condurre il gioco, oltre che conoscenze va-ste, non solo nella disciplina che è chiamato a insegnare, ma anche in tutte le altre che sono sup-porto e strumenti per la sua didattica, non esclusa l'etica. Questo in breve uno schizzo della sua pro-fessionalità. Come l'acquista, però? Basta quello che ha studiato all'università e in seguito la pratica acquisita sul campo? Luana Collacchioni nel suo li-bro dice di no: l'insegnante ha il dovere, scritto e non scritto, di ri-formarsi continuamente. E, consi-derando il carattere personale della professione, oggi sono da introdurre nuovi ingredienti per il vecchio modello di insegnante, mai tramontato ve-ramente, alcuni dei quali provengono dal campo della comunicazione e della relazionalità, dove l'in-segnante si misura con il magma crescente del sen-tire più diverso e più pulsante dell'allievo. Comu-nicazione e relazionalità sono banconi, però, su cui si richiedono particolari capacità e Collacchioni in-dica con più insistenza capacità come l'ascolto e l'interpretazione di tutti i segni che, insieme alla pa-rola, completano il rapporto relazionale tra l'allievo e l'insegnante. Una vera e propria semiologia di-dattica, con attenzioni inusuali all'universo emorivo degli allievi. Il libro è composito: a una prima par-te che descrive lo svolgersi di un programma inno-vativo su un gruppo di bambini dell'Istituto com-prensivo di Dicomano nel Mugello segue una bre-ve rassegna della letteratura pedagogica più

signifi-cativa, per l'autrice, degli ultimi dieci anni. Forte, però, si sente un'idea di scuola alimentata dal gran-de filone gran-della pedagogia gran-dell'emancipazione.

La preoccupazione dichiarata e costante del li-bro mota sulla grande difficoltà del passaggio dal-la teoria aldal-la prassi e sulle condizioni che traduco-no in essere le idee della pedagogia: che è, soprat-tutto in Italia, un pesante rammarico (penso, per fare un piccolo esempio eclatante, alla teoria degli stili cognitivi, ma pure al fatto che mai è stato de-finito con rigore un curriculum dell'insegnante). Molte forse le ragioni: il perdurante scollamento tra l'università e l'istruzione sottostante, la resi-stenza di paradigmi pratici di insegnamento che dal dopoguerra non sono mai venuti meno, l'au-tonomia dell'insegnamento e la difensività degli insegnanti, che non governano completamente il linguaggio, appunto, delle emozioni. E ancora, le cattive gestioni del cosiddetto aggiornamento, l'affievolirsi di spinte ideali che qualche decennio fa modificarono pratiche e contenuti, la debolez-za di idee che non si sono trasformate in senso co-mune, fino alla causa più profonda: il declassa-mento progressivo dell'istruzione e della forma-zione pubblica. L'autrice fa ben riferimento alle disattese "Indicazioni per il curriculum" del mini-stero (2007), ma ogni intervento legislativo e non, dopo il varo dell'autonomia e l'avventura dei "saggi", ha esibito solo la diminuita importanza della funzione-istruzione. Eppure una legge do-vrebbe avere al fondo robusti sostrati di teoria, deputata a vedere lontano. Stephen Nickell, in In-ghilterra, nel 2004 ha pubblicato una ricerca (Po-verty and work-lessness in Britain, "The Economie Journal") in cui dimostrava la relazione tra occu-pazione e livelli di istruzione e indicava proprio negli insegnanti una chiave risolutiva.

C'è da meravigliarsi se ancora nelle nostre scuole vi sia una generale ricerca di esperienze di valore e se la scuola elementare mantiene stabil-mente quel quadro di qualità, vanto del sistema.

• X

>>

X •

X

>>

X

>>

X >> X y > X

>>

X >> X >> X

>>

X >> X >> X • X • X >> X y > X • X

s

X • X • X

: Q

Enrico Badellino

e Francesco Benincasa

BULLI DI CARTA LA SCUOLA DELLA CATTIVERIA

IN CENTO ANNI DI STORIA

introd. di Vincenzo jacomuzzi, pp. 230, € 13,50,

Sei, Torino 2010

I

comportamenti aggressivi degli adolescenti sono stati ritenuti in passato aspetti del-l'età evolutiva necessari alla sopravvivenza della specie (Lorenz) o manifestazioni na-turali dell'istinto di morte e distruzione (Freud). Per le vit-time, poi, le vessazioni sono sta-te rista-tenusta-te anche esperienze ne-cessarie per crescere, secondo la logica del "fatti furbo, impara a difenderti". Il bullismo sarebbe quindi una tappa della evoluzio-ne giovanile, da sopportare sen-za farne troppo

scan-dalo, come un tempo il "nonnismo" nelle caserme e la giornata di san Firmino nelle università. Ma negli ultimi decenni il feno-meno delle violenze di gruppo si è diffuso in maniera abnorme e ciò impone almeno un tentativo di interpreta-zione psicologica e so-ciologica.

Bulli di carta, costruito in mo-do originale, riesce a evidenziare analogie e differenze tra la so-cietà di ieri e la nostra e giunge a conclusioni sicuramente interes-santi per il mondo della scuola. Nasce dalla rivisitazione di opere famose di Dickens, De Amicis, Collodi, Dahl, Musil, Horvàth, Pasolini, King e altri. Dai loro racconti ci si accorge che la psi-cologia dei bulli e delle vittime non è cambiata con il tempo. Il palcoscenico su cui recitano è quasi sempre la scuola, ma può essere anche il mondo del lavoro (Oliver Twist). Le vicende lette-rarie sono introdotte da articoli di giornale su episodi avvenuti di recente in città italiane o stranie-re, a dimostrazione che dai tem-pi di Dan Olweus il bullismo si è globalizzato, in particolare nel mondo occidentale. Nel dram-matico racconto di De Amicis Non sono stata io è descritto un tipico esempio di bullismo al femminile: alla violenza fisica si sostituisce un'aggressione rela-zionale fatta di biglietrini insul-tanti inviati alla vittima attraver-so le compagne di classe. Ne na-sce un dramma e la responsabile, con un'insensibilità straordina-ria, si autoassolve ripetendo sem-plicemente e cocciutamente "Non sono stata io". Uno spira-glio positivo appare solo negli ul-timi due racconti, tratti da It e da L'àcchiappasogni di Stephen King. Il ragazzo Ben (che ha ri-fiutato di passare al bullo il com-pito di matematica) è capace di continuare a pensare mentre su-bisce l'aggressione punitiva, e riesce a scappare pur essendo un ciccione; in L'àcchiappasogni tre ragazzi delle medie osano

con-trapporsi a tre bulli più grandi per difendere un piccolo disabile che suscita in loro tenerezza. L'indignazione e la solidarietà af-finano la capacità intellettiva dei ragazzi e il piccolo viene salvato. La ragione vince sulla violenza.

Il comportamento dei bulli è, in ogni vicenda, codificato: l'ag-gressore agisce intenzionalmente per ferire, l'attacco è reiterato nel tempo, la relazione con la vittima è asimmetrica, ci sono spettatori complici o compiacenti, i quali, anche se non approvano, mai si oppongono. Non esiste alcuna empatia con le vittime, i senti-menti sono considerati una de-bolezza. I pestaggi, ovviamente di gruppo, vengono quasi sem-pre giustificati dai giovani re-sponsabili come necessità di vin-cere la "noia" (creata dalla scuo-la) o con frasi del tipo "stavamo scherzando", "è lui che mi ha provocato", "ho solo ubbidito gli ordini del capo". Ovvero

di-simpegno morale e sottomissione al più forte. Scatta allora nel-la mente del lettore l'a-nalogia con altre vi-cende: le azioni squa-dristiche degli ultras, le sevizie ai nemici pri-gionieri di guerra, i massacri nei lager hi-tleriani. In quei conte-sti l'ubbidienza al capo era ed è un dovere cie-co, l'autonomia di giudizio e di comportamento appariva (e nei gruppi di bulli appare sempre) inammissibile e inaccettabile.

Inoltre noi siamo passati da una società della disciplina (ri-cordiamo le severe punizioni delle malefatte dei bambini nei secoli passati) a una società della "performance". Oggi l'impor-tante non è tanto rispettare le re-gole, quanto dimostrare che si è più potenti e più forti degli altri. Crescono le violenze contro i di-versi, omosessuali o extracomu-nitari che siano, aumentano le sevizie sugli animali ma anche sui barboni che dormono indife-si su una panchina.

L

e vittime vengono deuma-nizzate, considerate alla stregua di animali, così l'aggres-sore non prova sensi di colpa. Paradossalmente, osserva lo psi-coterapeuta Benincasa, il bulli-smo attuale potrebbe essersi ag-gravato con la proclamazione del principio di uguaglianza e con la giusta pretesa che ogni cittadino, anche se appartenente a una minoranza o a un gruppo debole, abbia gli stessi diritti dei più forti. I quali però non lo ac-cettano e reagiscono con la vio-lenza. Né ci rassicurano le ulti-me ricerche di psicologi e socio-logi: pare che gli attuali bulli, una volta adulti, abbiano buone probabilità di diventare aggres-sori relazionali e molestatori ses-suali.

Un libro da leggere e discute-re in classe insieme con gli

stu-denti. •

jolgar?fastwebnet.it

J. Garuti dirige il Centro Studi S.A. Omicron di Milano

Documenti correlati