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La violazione dell’obbligo di fedeltà

IL DOVERE DI OBBEDIENZA ED IL PRINCIPIO DI FEDELTÀ

3.7 La violazione dell’obbligo di fedeltà

Dopo aver analizzato il contenuto dell’art. 2105 c.c. è opportuno comprendere le possibili conseguenze in termini di comportamento scorretto, ossia, di violazione della norma sopracitata.

Deve, anzitutto, osservarsi come la violazione dell’obbligo di fedeltà costituisca inadempimento contrattuale che può dar luogo a responsabilità disciplinare e, di conseguenza, può rappresentare giusta causa di licenziamento. Peraltro, essendo considerata, l’infedeltà, grave violazione dei doveri fondamentali del lavoratore dipendente, la validità dell’eventuale licenziamento non è inficiata dalla mancata sua previsione del codice disciplinare.72 Tuttavia, la giurisprudenza ha più volte ribadito che la fonte del potere disciplinare demandato al datore di lavoro va individuato nell’art. 2106 c.c. che sanziona l’inosservanza degli obblighi di diligenza e di

72 Cfr. Cassazione, 5 luglio 1995, n. 7427, in Foro it., 1995, I, p. 3491; Cassazione, 3 febbraio 1989, n. 679, in

fedeltà del lavoratore e che il primo dei limiti all’esercizio del potere disciplinare è costituito dal principio di legalità, in forza del quale le fattispecie cui si ricollegano conseguenze sanzionatorie devono essere codificate e le norme di riferimento devono essere portate a conoscenza dei lavoratori. Di conseguenza, il perimetro normativo entro il quale il datore di lavoro può esercitare il potere disciplinare è predeterminato.

Si osservi, ancora, che in materia di licenziamento disciplinare «il principio di necessaria pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica nei casi in cui il licenziamento sia irrogato per sanzionare condotte del lavoratore che concretizzano violazione di norme penali o che contrastano con il cosiddetto “minimo etico”, mentre deve essere data adeguata pubblicità al codice disciplinare con riferimento a comportamenti che violano mere prassi operative, non integranti usi normativi o negoziali».73

La violazione dell’obbligo di fedeltà espone, altresì, il lavoratore al risarcimento dei danni nei confronti del datore di lavoro.74 L'inosservanza dei doveri di diligenza comporta, infatti, «non solo l'applicazione di eventuali sanzioni disciplinari, ma anche l'obbligo del risarcimento del danno cagionato all'azienda per responsabilità contrattuale, qualora si provi che l'evento dannoso subito dall'azienda sia correlato a una condotta colposa del prestatore d'opera e dunque si sia in presenza di un casus culpa determinatus ricollegabile, sulla base di un rapporto di causalità, a una condotta colposa del dipendente sotto i profili della negligenza, dell'imprudenza o della violazione di specifici obblighi contrattuali o istruzioni legittimamente impartitegli dal datore di lavoro».75

Sotto questo profilo, peraltro, il comportamento non fedele del dipendente potrebbe anche

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Cassazione, 3 ottobre 2013, n. 22626, in Diritto & Giustizia , 2014, 23 gennaio.

74 Cfr. Cassazione, 10 giugno 1993, n. 6437, in Massimario giurisprudenza lavoro, 1993, p. 475; Cassazione, 3

giugno 1985, n. 3301, in Rivista it. diritto lavoro, 1986, II, p. 362.

essere imputato all’impresa concorrente che se ne è avvalsa per porre in essere concorrenza sleale.76 La violazione da parte del lavoratore degli obblighi di diligenza e fedeltà, come specificati dal codice disciplinare, può essere, come detto, sanzionata dal datore di lavoro in maniera proporzionata alla gravità dell’infrazione.77 Le procedure attraverso le quali il datore di lavoro può esercitare il proprio potere disciplinare sono previste all’art. 7 dello Statuto dei lavoratori di cui alla legge n. 300/1970.

Il procedimento disciplinare inizia con la contestazione, in forma scritta, del fatto addebitato al lavoratore. Il fatto deve essere contestato in maniera specifica e immediata. Il datore di lavoro può sospendere in via cautelare il lavoratore, quando i tempi del procedimento disciplinare siano incompatibili con la presenza di quest’ultimo nell’azienda.

Va rilevato come l’intero procedimento disciplinare sia diretto a garantire il contraddittorio tra le parti e il pieno esercizio del diritto di difesa da parte del lavoratore. Entro 5 giorni dalla ricezione della contestazione il lavoratore può chiedere un’audizione al datore di lavoro per rendere le proprie giustificazioni anche con l’assistenza di un rappresentante sindacale o può esporre le proprie ragioni per iscritto. La sanzione non può essere irrogata prima che siano decorsi 5 giorni dalla contestazione, a meno che il lavoratore abbia già pienamente esercitato il proprio diritto di difesa facendo pervenire al datore le proprie giustificazioni. Anche il provvedimento con cui viene comminata la sanzione deve avere forma scritta e contenere la motivazione, ma solo se espressamente previsto dal contratto collettivo.

La sanzione comminata deve essere proporzionale all’infrazione commessa dal lavoratore.

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Cfr. Cassazione, 20 novembre 1985, n. 5708, in Massimario giurisprudenza lavoro, 1986, p. 116.

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«Anche dopo l'entrata in vigore della cd. legge Fornero, continua a sussistere nell'ordinamento il principio di proporzionalità nel rapporto tra condotta addebitata e sanzione irrogata di cui all'art. 2106 c.c. e continua, pertanto, a sussistere il potere-dovere del giudice di valutare l'effettiva sussistenza, nel caso concreto, del rispetto di tale principio» (Tribunale Ravenna, 18 marzo 2013, in Riv. critica dir. lav., 2013, fasc. 1-2, p. 163).

Così, in tema di licenziamento, ad esempio, «la valutazione della condotta del lavoratore in contrasto con obblighi che gli incombono, deve tenere conto anche del “disvalore ambientale” che la stessa assume quando, in virtù della posizione professionale rivestita, essa può assurgere per gli altri dipendenti a modello diseducativo e disincentivante dal rispetto di detti obblighi. Ne deriva che la sanzione espulsiva è proporzionata alla gravità dell'addebito, anche in presenza di un unico episodio di insubordinazione, qualora questo consista, nonostante il diniego formale di concessione delle ferie per le giornate richieste, in una prolungata assenza ingiustificata dal servizio e la condotta sia stata posta in essere da una educatrice della prima infanzia, che, data la sua considerevole anzianità di servizio e lo svolgimento di attività sindacale, era consapevole del disservizio educativo cagionato».78

Una deroga al principio di proporzionalità è prevista solo in caso di recidiva, ossia quando il lavoratore reiteri un comportamento illecito che ha già dato luogo, nel biennio precedente, a un provvedimento disciplinare. In questo caso il datore può comminare una sanzione più grave rispetto a quella normalmente applicabile, ma solo ove la recidiva, o i precedenti disciplinari che la

78 Cassazione, 6 giugno 2014, n. 12806, in Giustizia civile Mass., 2014. Sempre in tema di proporzionalità della

sanzione rispetto alla violazione del lavoratore, Cassazione, 4 dicembre 2002, n. 17208, in Giustizia civile Mass., 2002, p. 2116, ha così affermato: «L'operazione valutativa compiuta dal giudice di merito nell'applicare clausole generali come quella dell'art. 2119, c.c. che, in tema di licenziamento, reca una "norma elastica", non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità, sotto il profilo della correttezza del metodo seguito nell'applicazione della clausola generale, che esige il rispetto di criteri e principi ricavabili dall'ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali sino alla disciplina particolare (anche stabilita dai contratti collettivi), in cui si colloca la fattispecie. In particolare, l'operazione valutativa non è censurabile, se il giudice di merito abbia applicato i principi costituzionali che impongono un bilanciamento dell'interesse del lavoratore, tutelato dall'art. 4 Cost., con l'interesse del datore di lavoro, tutelato dall'art. 41 Cost., bilanciamento che, in materia di licenziamento disciplinare, si riassume nel criterio dettato dall'art. 2106 c.c., della proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto all'infrazione contestata, conformandosi altresì agli ulteriori standards valutativi rinvenibili nella disciplina collettiva e nella coscienza sociale, valutando la condotta del lavoratore in riferimento agli obblighi di diligenza e fedeltà, anche alla luce del “disvalore ambientale” che la stessa assume quando, in virtù della posizione professionale rivestita, può assurgere per gli altri dipendenti dell'impresa a modello diseducativo e disincentivante dal rispetto di detti obblighi».

integrano, abbiano formato oggetto della preventiva contestazione al lavoratore, a pena di nullità della sanzione. Le sanzioni possono essere di vario tipo: rimprovero verbale e l’ammonizione scritta (per le infrazioni più lievi); multa (corrispondente alla trattenuta in busta paga di un massimo di 4 ore di retribuzione base); sospensione (interruzione della erogazione retributiva per un massimo di 10 giorni); licenziamento. L’art. 7, comma 4, dello Statuto dei lavoratori esclude la legittimità di sanzioni disciplinari che «comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro», ma ciò non vuol dire che il datore di lavoro non possa procedere al licenziamento, in quanto il potere di recedere dal rapporto è attribuito direttamente dalla legge al verificarsi di situazioni che ne integrino la giusta causa o il giustificato motivo.

Capitolo 4