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una visione “aziendal-distrettuale” *

Nel documento 2016 ANNUARIO DEL LAVORO (pagine 31-45)

di Francesco Piacentini

È l’Agricoltura di Precisione (AdP) il Santo Graal dell’agricoltura italiana. E chi ne entrerà in possesso, avrà le carte per giocarsi la partita dell’espansione aziendale. Non si usa-no analogie di sorta, nelle sale gremite del Castello San Giorgio a Maccarese, sul litorale romano. Ma durante il convegno d’apertura della tre giorni Campi d’innovazione 2016 a firma Maccarese S.p.A. e New Holland, il verbo dell’agricoltura del Duemila soverchia persino i fasti antichi della famiglia Rospiglio-si, ritratti dal pennello di Adrien Manglard, all’ingresso della tenu-ta. E si ha la netta sensazione di assistere alla genesi di una nuova imprenditoria agricola: moderna, colta, global.

In uno scenario simbolo di mutamenti epocali (la località di Mac-carese fu il fulcro delle bonifiche prima dei governi liberali e poi del Regime), due leader italiani nei settori cerealicolo-zootecnico (Maccarese S.p.A.) e della produzione meccanica e tecnologica al servizio dell’impresa (New Holland), si sono dati appuntamento

* Intervento pubblicato in Boll. ADAPT, 26 settembre 2016, n. 31.

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per mettere in scena una pièce che segna un solco nella storia re-cente dell’agricoltura italiana. Davanti al Ministro Martina, il DG di Maccarese S.p.A. Claudio Destro, deus ex machina e speaker dell’evento, è riuscito in qualcosa di assai raro in Italia: far sedere accanto istituzioni governative e parlamentari, Uni-versità (quella della Tuscia), Enti di ricerca pubblica (il CREA), associazioni di categoria ed imprenditoria.

Nell’ambito di un forum tematico e di un elegante confronto, gra-zie al quale – al netto delle retoriche d’occasione – si è contribui-to a squarciare il velo di Maya sull’odierno (e più innovativo) vol-to dell’agricoltura italiana. Imprigionavol-to, troppo spesso, in un immaginario preda dei feticci virgiliani della zappa in una mano, e dello zufolo nell’altra.

Al centro dell’incontro, quella variante moderna dell’ortodossia agricola da riassumere nel motto: «Fare la cosa giusta, nel po-sto giupo-sto, al momento giupo-sto», rubando le parole di Pierce e Novak (1999), ma che – a voler essere più tecnici, dicendolo con le Linee Guida sull’AdP emanate dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali – equivale ad «una gestione aziendale […] basata sull’osservazione, la misura e la rispo-sta dell’insieme di variabili […] che intervengono nell’ordinamento produttivo, […] al fine di definire […] un sistema di supporto decisionale per l’intera gestione azien-dale, con l’obiettivo di ottimizzare i rendimenti nell’ottica di una sostenibilità avanzata di tipo climatica ed ambienta-le, economica, produttiva e sociale». Un’agricoltura di cui si palesano, tutti assieme, i principali protagonisti, in un susseguirsi di interventi tecnici (CREA ed Università della Tuscia) e politici (su tutti, il Ministro Martina), accanto alle testimonianze dirette di imprenditori che tratteggiano un quadro in cui la diffusione delle nuove tecnologie e delle nuove pratiche produttive

(sensori-stica, sistemi di geolocalizzazione, tecnologia ISOBUS, BIG DA-TA) costituisce, insieme, presupposto e volano di un nuovo modello agricolo all’italiana. Al punto che, a convegno con-cluso, verrebbe da dire che i suoi oratori – senza esserne coscien-ti fino in fondo – abbiano finito per tracciare una mappa dell’innovazione che conduce ad un unico approdo: quello delle reti della conoscenza, dei distretti culturali, scientifici ed economici in cui ricerca e impresa si fondono fino a mimetiz-zarsi, per diventare cuore del progresso economico-sociale di un territorio. A quei distretti, vale a dire, capaci di tenere assieme il meglio del know-how creato dalle diverse forze economiche e culturali di un’area geografica e di un settore, nell’ambito di un sistema circolare in cui ogni componente comunica ed age-vola il funzionamento di quella che gli è accanto.

Un sistema di cui Maccarese S.p.A. ha cominciato a segnare i confini, attraverso la costruzione di un’impresa agricola digitaliz-zata, gentile e smart. In cui l’innovazione è determinante di di-vario competitivo, ma allo stesso tempo, grazie al forte radica-mento nella realtà geografica in cui opera, modello economico di crescita territoriale. Perché concepito quale “generatore ed aggregatore del progresso” insito in tutte quelle forze culturali, sociali, umane ed economiche presenti sul territorio di riferimen-to. Ed imperniato su un sistema misto di strategia di mercato e di strategia di ricerca in capitale umano e tecnologico, in cui progettualità produttiva, scientifica e tecnologica si tendono continuamente la mano. Dando vita ad un organismo di scambio pluri-dimensionale ed orizzontale, dove l’Università assume la du-plice funzione di sviluppatore tecnico dell’innovazione e di formatore di professionalità ricamate sulle necessità stesse dell’impresa che ne usufruirà.

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In questo palcoscenico di innovazioni, caratterizzato dall’affermarsi di nuovi processi tecnologici e di imprese (come, appunto, Maccarese S.p.A.) che segnano il passo delle nuove rot-te di settore, viene da chiedersi dove vogliano collocarsi le associazioni di categoria e di rappresentanza. Se in posizio-ne arretrata e statica rispetto alle avanguardie imprenditoriali, in funzione meramente ancillare di interessi parziali; o se in posi-zione avanzata e dinamica, al fianco (certo di quella imprendi-toria “indipendente”, già in sé capace di tracciare l’orizzonte del progresso, ma soprattutto) di interessi collettivi, ossia di quegli imprenditori agricoli meno pronti ad accogliere le sfide del futu-ro, perché meno dotati di capitali da destinare agli investimenti, con meno possibilità di interagire con il sistema universitario, meno “forti” sul mercato, e geograficamente oppressi da dinami-che economidinami-che, politidinami-che e sociali dinami-che portano il marchio dell’illegalità.

Solo favorendo i processi di innovazione per l’intero settore agricolo, e per ogni realtà territoriale in esso ricompresa – di modo da renderli disponibili per il maggior numero possibile di aziende – sarà possibile rendere un servizio realmente de-mocratico alle condizioni del suo progresso generale. Limi-tarsi all’osservazione e al “presenzialismo” del progresso di taluni operatori d’eccellenza, per quanto utile, equivarrebbe ad alimen-tazione delle disparità economiche e a conservazione delle sacche di sottosviluppo territoriale (meridionale soprattutto), presenti nel Paese, a livello scientifico, culturale, politico, sociale ed economico.

Un’organizzazione di rappresentanza agricola moderna, consape-vole realmente del concetto di “circolarità delle economie”, declinato territorialmente, dovrebbe sapersi fare ambasciatore di

condizioni istituzionali e culturali favorevoli alla diffusione de-mocratica, ossia ampia, del nuovo modello dell’Agricoltura di precisione. La tensione scientifico-produttiva tra Maccarese S.p.A., Università della Tuscia e New Holland creatasi nel Litora-le romano grazie ad una “visione aziendal-distrettuaLitora-le”

dell’economia, dovrebbe allora diventare la tensione di un’intera imprenditoria agricola, anche medio-piccola, attraverso la mozione di “reti della conoscenza” tecnico-produttive pro-grammate sull’interscambio degli input e degli output a monte e a valle dei processi produttivi (1). In un simile conte-sto, si aprirebbero spazi anche per una nuova funzione della contrattazione collettiva provinciale agricola: non più sola-mente strumento statico della salvaguardia del potere economico della categoria, ma variabile dinamica del progresso tecnolo-gico, culturale, scientifico e professionale in seno ad una comunità. Capace di fissare standard qualitativi e quantitativi contrattuali in tema di accesso all’innovazione (altra veste del di-ritto alla conoscenza), rapporti con le Università, formazione

(1) È la prospettiva accolta da M. Tiraboschi, L’inquadramento giuridico del la-voro di ricerca in azienda e nel settore privato: problematiche attuali e prospettive future, in DRI, 2016, 4. L’Autore, prendendo in prestito la locuzione anglosassone utilizzata da Enrico Moretti (La nuova geografia del lavoro, Mondadori, 2012), ossia “brain hubs”, intravede nei corrispondenti “distretti della conoscenza”

all’italiana quelle “agglomerazioni” «di idee, progetti, risorse, personale altamente qualificato» capaci di «creare vera innovazione e con essa maggiore produttività e cresci-ta». Rapportando l’intuizione alla dimensione agricola, tuttavia, verrebbe da chiedersi quanto l’idea del venire meno di una certa “spazialità” tradiziona-le, politica ed amministrativa, di pari passo con l’affermazione dei nuovi processi produttivi dell’Industry 4.0, sia estensibile anche ad un settore (e per taluni comparti specialmente: ad es. cerealicoltura, viticoltura, ortofrutta), come quello agricolo, in cui la “gestione” degli spazi fisici e naturali rappre-senta presupposto dell’esistenza o della sopravvivenza di determinate attivi-tà economiche.

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professionale ed imprenditoriale, diffusione di best practices in te-ma di sostenibilità ambientale, economica e sociale a favore del progresso delle comunità locali.

Le Linee Guida per lo sviluppo della c.d. Agricoltura di Precisione

*

di Francesco Piacentini

La recente diffusione, datata al 22 settembre scorso, del c.d. Pia-no Calenda (depurata dei significati economico-produttivi di cui è intrisa) è valsa a consacrare l’impegno che talune parti socia-li e taluni serbatoi di pensiero itasocia-liani, su tutti, hanno riser-vato al fenomeno dell’Industry 4.0. Ne portano testimonianza le cronache recenti – stampate, digitali, televisive – di tutte quelle iniziative sostenute da chi, davanti all’incedere delle grandi tra-sformazioni produttive del nuovo millennio, ha saputo declinar-ne i possibili tratti salienti, per tracciare direttrici di sviluppo e di interpretazione dei nuovi processi, del mercato del lavoro e del relativo sistema di relazioni industriali (1). Tra di esse, in parti-colare, Federmeccanica e Fim-Cisl le quali, coerenti con le funzioni a disposizione di chi tutela interessi collettivi, hanno fat-to luce, rispettivamente, sui possibili nuovi paradigmi di un’impresa manifatturiera 4.0 capace di competere sul mercato

* Intervento pubblicato in Boll. ADAPT, 3 ottobre 2016, n. 32.

(1) È d’obbligo, qui, il rimando al lavoro di F. Seghezzi, Lavoro e relazioni in-dustriali in Industry 4.0, Posizione del problema e prime interpretazioni, DRI, 1/2016, rinvenibile al link http://www.bollettinoadapt.it/lavoro-e-relazioni-industriali-industry-4-0/.

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globale, nonché sui nuovi orizzonti strategici davanti a un sinda-cato radisinda-cato in quell’esatto sistema produttivo. La prima, legit-timando quell’impegno con la redazione di un’inchiesta resa no-ta nei giorni a ridosso della diffusione del Piano Calenda (2); la se-conda, per il tramite dell’indubbio contributo offerto dal Segreta-rio Generale, Marco Bentivogli, da tempo fautore di una inelu-dibile necessità di ripensamento della funzione sindacale, in risposta alle percezioni “popolari” di corresponsabilità del sinda-cato nella rovina attuale del Paese, nonché alle «retoriche morte» (3) di chi lo vorrebbe perennemente ostaggio di un “personaggio”

inattuale, tenacemente arroccata sul “benaltrismo” ideologico.

Al di là delle possibili critiche sul loro operato in tema di Industry 4.0, la sensazione è che senza il contributo materiale ed in-tellettuale delle parti sociali, il tenore del dibattito pubblico sul punto, e lo stesso Piano Calenda, avrebbero assunto un colore meno intenso. Al punto che viene da domandarsi se il piano governativo, senza quell’apporto, non sarebbe passato in sordina. Allo stesso modo, peraltro, di quanto accaduto a simila-ri documenti governativi recenti e relativi ad altsimila-ri settosimila-ri.

Meno “chiacchierati”, certo, ma non marginali nell’economia ita-liana. Settori ugualmente coinvolti in altre forme di rivoluzioni

(2) I cui esiti, peraltro – accantonata l’analisi delle risultanze specifiche – valgono di per sé a suscitare forte preoccupazione, laddove si certifica il basso tasso di imprenditoria manifatturiera disposta ad investire in tecnolo-gia e innovazione 4.0. Per una lettura del report si rimanda al seguente link:

http://www.federmeccanica.it/images/eventi/Industria40-in-Italia-indagine-di-federmeccanica.pdf.

(3) Prendendo in prestito la locuzione utilizzata dal sindacalista

nell’intervista rinvenibile su

http://agensir.it/italia/2016/06/06/bentivogli-fim-cisl-non-si-puo-fare-a-meno-del-sindacato-ma-per-noi-e-tempo-di-cambiare/.

produttive di cui, tuttavia, non molto si discute, perché non mol-to si conosce (4).

Il riferimento è, da un lato, al fenomeno dell’Agricoltura di precisione (AdP) e, dall’altro, alle Linee Guida per lo svi-luppo dell’Agricoltura di precisione emanate dal Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali lo scorso luglio, cui ha fatto da pendant la pubblica consultazione on line sul te-ma, promossa dallo stesso MIPAAF negli stessi giorni, e tutt’ora in corso. Del fenomeno della cd. AdP, dei suoi caratteri eminenti e delle prospettive interpretative riconnesse alla sua diffusione, si è già detto in questo Bollettino, in due precedenti contributi, ai quali si rimanda (5). Quanto al contenuto delle Linee Guida, più che soffermarsi su ciò che il documento rappresenta (un’indagine sullo status quo delle tecnologie di AdP utilizzabili nelle attività agricole praticate in Italia) e su ciò che ci dice in rapporto alla sua attuale diffusione e alle prospettive d’espansione del mercato (l’uso della tecnologia AdP, ad oggi, è prerogativa dell’1% del totale degli operatori del settore) (6),

(4) Curioso come uno dei maggiori quotidiani italiani releghi l’argomento

nella sezione Motori:

http://www.repubblica.it/motori/sezioni/attualita/2016/09/08/news/cn

h_industrial_mostra_l_evoluzione_dell_agricoltura_di_precisione-147385528/.

(5) Per gli scenari connessi all’impatto delle nuove tecnologie sul lavoro, si

veda:

http://www.bollettinoadapt.it/wp-

content/uploads/2016/06/Limpatto-delle-nuove-tecnologie-in-agricoltura.pdf; per la cronaca di un modello aziendale e distrettuale di ge-stione del fenomeno AdP, si veda il caso di Maccarese S.p.A:

http://www.bollettinoadapt.it/maccarese-s-p-e-lagricoltura-di-precisione-una-visione-aziendal-distrettuale/.

(6) Nelle Linee Guida si legge che obiettivo del Governo è pervenire ad una percentuale pari al 10% entro il 2021.

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quello che preme in questa sede è focalizzare l’attenzione soprattutto su ciò che il documento non dice. O meglio: a chi non si rivolge.

All’opposto di quanto accade nel Piano Calenda, in effetti – dove divengono parte integrante del “Digital Innovation Hub” a so-stegno dello sviluppo aziendale, accanto a Governo, Centri di ri-cerca, PMI, Università e Player industriali – le “Associazioni di categoria” (7), in 102 pagine di testo, sono contemplate una volta sola, tra parentesi, a pagina 87, in riferimento alla neces-sità di divulgare gli avanzamenti tecnologici AdP ad imprenditori e liberi professionisti, anche per il tramite di «canali tematici» pro-mossi da tali enti (8).

Basterebbe prendere atto delle parentesi in cui le Associa-zioni di categoria sono relegate, per avere sia la misura della volontà governativa di coinvolgerle nel processo di sviluppo dell’AdP (pressoché nulla), sia l’entità del peso attuale della rap-presentanza agricola nella definizione dei modelli economici set-toriali del Paese. Timido, impalpabile, ai limiti dell’inconsistenza, verrebbe da dirsi.

(7) Altro discorso implicherebbe l’analisi del perché, perfino nel Piano Ca-lenda, non si ritenga opportuno ampliare lo spettro delle partecipazioni tecniche alle “parti sociali”, e dunque ai sindacati: come se il lavoro non fosse il terreno privilegiato degli esiti concreti di ogni sviluppo tecnologico.

(8) Si riporta il passo: «La formazione di sistema gioca un ruolo chiave […];

all’uopo è necessario investire su opportune azioni di formazione sia del personale delle amministrazioni pubbliche coinvolto nella gestione foresta-le, sia sulla divulgazione degli avanzamenti tecnologici agli imprenditori e liberi professionisti, utilizzando canali tematici (eventi formativi promossi presso Associazioni di categoria, Ordini professionali ecc. ), sviluppando azioni strategiche e coordinate di settore che mirino a favorire il recepi-mento e la diffusione dell’ICT».

Come non rilevare, d’altronde, che per un’associazione di categoria una consultazione pubblica on line su di un fe-nomeno decisivo per il futuro dell’agricoltura italiana, equi-vale di per sé ad un flop incosciente, ad indizio di scarsa rappresentatività sociale ed istituzionale. Perché, tramite es-sa, il Governo bypassa la consultazione diretta di quelle rappre-sentanze che dovrebbero essere naturalmente preparate alla co-struzione di piani di sviluppo per un intero settore, tali da indiriz-zare le direttrici pubbliche. Tanto che viene da chiedersi se il trarsi d’impaccio governativo dalle farraginosità che (per forza di cose) deriverebbero da un loro coinvolgimento tecnico, non sia esso stesso la traccia della superfluità attuale delle asso-ciazioni agricole rispetto alla elaborazione delle politiche eco-nomico-sociali del settore agricolo (9).

Forse c’è qualcosa di più in quella parentesi, e nel mancato coinvolgimento delle associazioni di categoria. La prova del ri-tardo storico, strategico ed operativo, della rappresentanza agricola nella elaborazione di una visione del futuro dell’agricoltura che sia minimamente paragonabile a quella di cer-ta imprenditoria capace, da sola, di detcer-tare il passo del futuro (10).

(9) All’eventuale eccezione di chi, tacciando di ingenuità, desumesse da quell’esclusione nient’altro che una delle tante forme concrete dell’assassinio odierno di ogni forma di concertazione, anche sostanziale, giocoforza si potrebbe ribattere che la concertazione muore solo quando finisce, una volta per tutte, il potere di influenza delle organizzazioni inter-medie nella corpo vivo della società.

(10) Esempi concreti di avanzamento tecnologico e visione aziendal-distrettuale, oltre dalla già citata Maccarese S.p.A., possono essere offerti dalla Arnaldo Caprai S.r.l: azienda leader nel settore vitinicolo italiano e nella produzione del Sagrantino di Montefalco, da anni ha reso operativo un si-stema di rete d’innovazione che coinvolge il suo territorio di riferimento, le

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Ma, altresì, minimamente utile a chi a quell’eccellenza mira o vor-rebbe tendere, sprovvisto, autonomamente, di strumenti adegua-ti. In quell’essere relegati in una parentesi, forse, ci sono i segni vivi delle ferite autoprocuratesi dall’associazionismo odierno: il suo aver barattato, in fondo, la rappresentanza politi-ca, economica e culturale del mondo variegato e dinamico dell’agricoltura con i CAF e i Patronati.

In un momento di “rivoluzioni tecnologiche” in atto, il pe-so di quel ritardo rischia di tradursi in divario competitivo intrasettoriale; in fattore di disuguaglianza imprenditoriale tra territori; in impossibilità di espansione diffusa per l’intero settore. Dando per scontato che ad ogni associazione di categoria corrisponda l’interesse specifico di un tipo di impresa, più o meno grande, e vocata ad un tipo di mercato (11), ai fini di un recupero di peso istituzionale e di rappresentatività fedele al nuovo corso dell’agricoltura, il “riallineamento conoscitivo” ri-spetto alla fenomenologia dell’AdP esistente e praticata dalle im-prese più avanzate in Italia, dovrebbe diventare il faro di ogni associazione di categoria moderna. Attraverso l’indagine creta, fondata sull’osservazione e l’analisi delle declinazioni con-crete fornite dalle imprese nei diversi settori (cerealicoltura, zoo-tecnia, viticoltura), si perverrebbe ad una “mappatura dei mo-delli AdP” praticati da quell’1% di imprenditoria avanzata, in quel dato territorio, con quel paesaggio agrario e naturale, con

Università, la ricerca privata, i centri di formazione associativi e i suoi lavo-ratori.

(11) In tale ottica, gli interessi da tutelare da Confagricoltura, che raccoglie in sé, sostanzialmente, i grandi produttori, non potranno mai corrispondere e sovrapporsi a quelli della Coldiretti, che tutela i coltivatori diretti: e, dun-que, il modo di intendere la funzione e l’accesso alle nuove tecnologie non potrà che dipanarsi secondo percorsi differenti.

quella vocazione produttiva, inserita in quella specifica filiera pro-duttiva. Valutato il reale “fabbisogno tecnologico e d’innovazione” delle associate meno avanzate, si avrebbero tra le mani gli strumenti per stimare quanto quei modelli di svi-luppo possano poi essere riprodotti in altre realtà, con caratteri-stiche affini o similari, in vista dell’accesso più ampio possibile all’innovazione; quanto possa essere fatto in termini di divulga-zione e formadivulga-zione; dove e come indirizzare la lobbying istituzio-nale da qui ai prossimi anni.

Bene farebbero a chiedersi le associazioni di categoria se un sistema di ricerca scientifica interno, funzionante ed in-tegrato, non sia indispensabile al progresso strategico della rappresentanza odierna, in funzione delle esigenze dell’universo agricolo. Dell’importanza della ricerca, e dell’analisi empirica dei dati offerti dalla realtà, ne fornì testimonianza impe-ritura, nel lontano 1877, il Conte Stefano Jacini. Il quale, fa-cendo della sua Inchiesta agraria un atlante dell’esistente e delle politiche a venire per l’agricoltura italiana – certo che essa si tro-vasse «in un periodo di transizione», «incalzata dai problemi dell’avvenire»

– si domandava, banalmente: «Che cosa è destinata ad essere l’Italia agricola?»

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