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MONSIGNOR GIOVANNI MARIA BERENGO

3.4 LA VISITA PASTORALE COME FONTE STORICA

La visita pastorale ha un grande valore per l’indagine storica: le informazioni che se ne possono ricavare sono molteplici e preziose perché offrono indizi inerenti a diversi campi d’indagine: dalla demografia all’urbanistica, dall’economia alla cultura, ma soprattutto rappresenta la fonte più sicura per lo studio della pratica religiosa.

Gli atti visitali, dunque, fornivano notizie soprattutto sull’organizzazione ecclesiastica, pastorale, giuridica del territorio diocesano, sullo stato patrimoniale ed economico delle parrocchie e del clero, su aspetti istituzionali, religiosi, morali, culturali, sociali, mentre risultavano scarse le informazioni relative alle forme aggregative e alle istituzioni come le confraternite o le altre associazioni laicali. Conseguentemente l’abbondanza di alcune informazioni e l’assenza di altre porta alla conclusione che gli atti visitali sono da considerare una fonte parziale, soprattutto perché la stessa visita pastorale è per sua natura limitata, in quanto rappresenta in modo particolare lo “sguardo del vescovo”. Fondamentale nello studio delle fonti relative alle visite è quindi la conoscenza approfondita della personalità e dell’attività pastorale del vescovo, della situazione storica, religiosa, sociale ed istituzionale della diocesi e delle parrocchie. Inoltre si deve tener conto dei

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meccanismi socio-antropologici che influenzano i rapporti di potere tra fedeli e gerarchie ecclesiastiche o quelli interni alle comunità.

I verbali di visita e i questionari compilati dai parroci venivano preparati precedentemente le visite attraverso l’elaborazione di una serie di domande contenenti gli argomenti che si intendevano approfondire e le informazioni che si ritenevano importanti raccogliere. Nel caso dell’arcidiocesi di Udine alla fine del XIX secolo, determinante fu la figura dell’arcivescovo e delle sue linee pastorali che da subito indicarono gli obiettivi e lo stile delle visite. Monsignor Berengo teneva molto all’insegnamento morale dei propri fedeli chiedendo per questo la Grazia a Dio nel compito che gli era stato affidato. Fondamentale era il rapporto che si instaurava tra il vescovo, il clero e i laici, tenendo presente la dimensione gerarchica tipica della Chiesa di fine Ottocento. Dai verbali redatti e dalle notizie fornite dal clero e dai parrocchiani si deve tener conto dei rapporti con le gerarchie ecclesiastiche: se il parroco intendeva collaborare o meno, se preferiva tacere alcune cose o rivelarle parzialmente, se sceglieva la solidarietà verso i parrocchiani e se aderiva ai valori e agli obiettivi del vescovo. Non mancavano i litigi tra vescovi e delegati per le applicazioni, per la modalità dei controlli all’interno delle diocesi e in alcune occasioni si verificavano episodi di concorrenza fra i visitatori per l’esercizio del diritto, per la riscossione del tributo o per eventuali e particolari privilegi; ciò non si verificò durante l’episcopato di monsignor Berengo che si dimostrò un vescovo corretto nell’amministrazione pastorale ed economica della diocesi.

Sempre riguardo all’ottica parziale della fonte, circa la documentazione vera e propria, è necessario considerare, ad esempio, la mediazione del notaio che compilava i verbali, la precisione o meno circa la trascrizione degli interrogatori di sacerdoti e laici; se i verbali erano gli esemplari ufficiali oppure solo dei riassunti. Nella considerazione delle visite pastorali bisogna tenere conto che gli ordini e le congregazioni sia maschili che femminili erano esenti dalla giurisdizione vescovile e quindi anche dalle visite pastorali. In generale gli ordini religiosi esercitavano una grande influenza sulla devozione popolare e sull’istruzione; fino al XIX secolo le scuole e l’istruzione così come gli ospedali e l’assistenza erano stati gestiti in larga parte da religiosi.

Nel XVI secolo le visite pastorali non consideravano molto la realtà delle associazioni laicali, mentre nel XIX secolo, nell’ambito della vita religiosa dei fedeli, le confraternite rispetto alle parrocchie acquistarono una grandissima importanza soprattutto per quel che riguarda le attività devozionali e caritative.

La visita pastorale, che secondo le disposizioni del concilio doveva essere fatta obbligatoriamente ogni due anni, aveva il compito di raggiungere precisi obiettivi riguardanti un’istruzione morale e sociale: proporre una dottrina pura e ortodossa, mantenere buone azioni di vita cristiana, consigliare i fedeli con esortazioni ed ammonimenti, stimolandoli alla collaborazione sociale e alla purezza di

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vita. Obiettivi che potevano essere raggiunti solo grazie ad un clero preparato spiritualmente e culturalmente.

Dopo il concilio di Trento e la conseguente istituzione dei seminari erano pochi i verbali delle visite che riportavano giudizi negativi sulla preparazione culturale e sacerdotale del clero e il livello culturale - pastorale rispondeva in modo adeguato alle attese e alle aspettative del vescovo e dei parrocchiani. La stessa cosa riguardava la pulizia e il decoro degli edifici ecclesiastici e delle suppellettili sacre. Se nel Cinquecento erano molte le segnalazioni di chiese e cappelle spoglie e sporche, utilizzate come depositi profani di strumenti agricoli o come stalle, due secoli più tardi tali abitudini erano scomparse; nei secoli XVIII e XIX gli edifici di culto dovevano contenere il meglio in fatto di arte e di arredo.

Al luogo sacro veniva riservato un ruolo fondamentale per favorire la socializzazione comunitaria perché nella chiesa parrocchiale si riunivano le assemblee della popolazione come espressione della comunità locale.

Analizzando le visite pastorali di monsignor Berengo si scopre come lo schema proposto dal concilio di Trento venga sommariamente seguito:

 la visita pastorale inizia dalla città principale della diocesi, per poi proseguire nelle altre parrocchie;

 uno degli obiettivi è la conoscenza del popolo da parte del vescovo;  amministrazione dei sacramenti dell’eucarestia e della cresima;

 emanazione di decreti, cioè quei provvedimenti ritenuti utili per quella specifica realtà, con eventuali interventi sulla stessa dal punto di vista amministrativo e pastorale.

Per amministrare correttamente ed efficacemente una diocesi è necessario conoscere la realtà in modo da poter esercitare un controllo sia sul clero che sulla popolazione dei fedeli, tenendo in considerazione le diverse caratteristiche. Questo procedimento consente al vescovo e ai suoi delegati di conoscere la realtà limitando eventuali motivi di divisione all’interno delle comunità e valorizzando quelle che sono le peculiarità di ciascuna parrocchia. Grande attenzione è riservata al clero soprattutto perché il sacerdote rappresenta il buon pastore e come tale diventa l’unico punto di riferimento per i fedeli e di controllo della parrocchia.

Attraverso un clero residente che esercita le funzioni amministrative, si cerca di favorire il controllo della comunità, puntando al raggiungimento di una buona formazione ed educazione grazie all’insegnamento della dottrina cristiana. Il ruolo del parroco assume un’importanza istituzionale maggiore rispetto al passato, così come quello del laico di cui si possono evincere le caratteristiche di battezzato o catecumeno, confermato, sposato, confessato, grazie alla compilazione aggiornata

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dei libri dei battesimi, delle cresime, dei matrimoni, dei morti, come dimostrato dalle banche dati relative alle tre visite pastorali del vescovo Berengo.

In un’epoca di profonde trasformazioni vissute sia a livello religioso che civile e nei rapporti tra Stato e Chiesa, le visite pastorali sono uno strumento adatto per evidenziare la realtà storico-sociale secondo le indicazioni condizionate dalla sensibilità particolare del vescovo ma anche dalle istruzioni e dalla prassi della Chiesa. È anche vero che le visite pastorali risentono degli uomini come del tempo. Più concentrate nella prima metà del XVIII secolo, diminuiscono nella seconda metà, per poi riprendere in modo graduale nel corso del XIX. È il periodo in cui si può avvertire maggiormente il rapporto con la società civile e politica soprattutto nel Nord della penisola durante la stagione dei moti risorgimentali, evidenziati dalle visite nelle diocesi venete e friulane. Spesso dalle risposte dei parroci della diocesi di Udine, emerge la percezione di come problemi e cambiamenti di vasta portata si riflettano nel microcosmo della parrocchia. I parroci esprimono preoccupazione per il diffondersi delle idee e della stampa socialista, chiedono indicazioni su come reagire di fronte alle emergenze sociali. Le visite pastorali sono dunque una fonte preziosa, ma le informazioni raccolte devono essere contestualizzate, confrontate, arricchite, integrate con altre fonti.

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