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4. Analisi e interpretazione dei dati

4.4. La collaborazione tra famiglia affidataria, ATFA e la rete sociale più estesa

4.4.1. Il vissuto dei genitori affidatari rispetto il sostegno fornito dall’Associazione

Dall’analisi delle interviste emerge che tutte le famiglie affidatarie si sono sentite sostenute dalla rete nel percorso di affido. Le famiglie riferiscono di essersi sentite sostenute in particolare dai consulenti sociali di ATFA. Emergono anche di sostegno i gruppi di supervisione, l’assistente sociale di riferimento del caso, il curatore e il terapeuta (Intervista 1, 10 aprile 2020; Intervista 2, 14 aprile 2020; Intervista 3, 15 aprile 2020; Intervista 4, 15 aprile 2020). Due famiglie espongono come a volte la famiglia affidataria possa sentirsi sola o non compresa da parte degli operatori, non vivendo in prima persona l’esperienza d’affido. L’intervistata numero tre espone: “Loro hanno fatto di tutto per sostenerci per quanto possibile. Ma loro sono assistenti sociali, quindi capisci non sono al mio posto.” (intervista, 15 aprile 2020). Mentre l’intervistata numero uno afferma: “[…] partecipavamo anche ai gruppi d’incontro che organizza l’ATFA e anche lì indirettamente un supporto c’è. Lo scambio con altri che magari non vivono la stessa cosa, però sono anche loro genitori affidatari, ti fa sentire magari un po’ meno solo. Perché a volte ci si sente un po’ soli rispetto a dei genitori normali classici.” (Intervista, 10 aprile 2020).

Cosa sono i gruppi d’incontro, anche chiamati di supervisione, offerti da ATFA ai propri soci? Tiziana Marcon (Intervista, 22 maggio 2020), supervisore dei gruppi di ATFA, applica nella sua professione la pedagogia dei genitori. Per lei è dunque necessario lavorare “con” i genitori affidatari e non “per” i genitori. È per questo motivo che sono i genitori affidatari a proporre il tema o la situazione che si andrà a discutere durante l’incontro. La pedagogista all’inizio dell’incontro propone ai genitori un giro di tavolo ed esplicita la precedenza ai genitori che sentono l’urgenza di esporre una situazione che stanno vivendo. Gli incontri sono consigliati anche agli affilianti che non accolgono al momento un minore. Questo poiché l’affido porta le famiglie a vivere nell’imprevedibilità. Ascoltando l’esperienza di altri genitori affidatari è possibile acquisire delle competenze utili a far fronte a delle situazioni che si potrebbero presentare in un’accoglienza futura. Il gruppo di supervisione permette inoltre di ampliare la lettura e la visione di una determinata situazione, consentendo ai genitori di elaborare arricchenti riflessioni. La pedagogia dei genitori proprio per questi motivi viene effettuata nella maggior parte dei casi in gruppo.

I gruppi di supervisione offerti da ATFA sono dislocati in tutte le regioni del Canton Ticino, ovvero Mendrisiotto, Luganese, Bellinzonese e Locarnese. Si svolgono a cadenza mensile e al momento sono facoltative per le famiglie affidatarie family e obbligatorie per le famiglie SOS. L’intento di ATFA è quello di offrire alle famiglie affidatarie uno spazio sicuro di condivisione, di sostegno tra famiglie, che permetta loro di togliersi dubbi, preoccupazioni,

ma anche di arricchire le proprie competenze genitoriali, educative. Per rendere maggiormente confidenziale questo momento, non partecipano a questi incontri di supervisione i professionisti della rete, se non il conduttore, il quale però è esterno alla rete primaria dell’affido (S. Caffi, intervista, 18 maggio 2020). “Il fatto che i conduttori del gruppo siano diversi dai selezionatori facilita anche, sia agli operatori che agli affidatari, la differenziazione tra i due contesti: molto più paritario quello del gruppo, in cui operatori e affidatari lavorano insieme per una positiva evoluzione di un gioco relazionale di cui sono entrambi membri; nettamente asimmetrico quello della selezione, in cui operatori e candidati ricoprono ruoli diversi e complementari.[...]” (Cirillo, 1986, p. 115). Questa differenziazione dei ruoli permette ai genitori affidatari di usufruire di uno spazio unico e privilegiato in cui esporre le situazioni che vivono e le emozioni che provano senza il timore di un giudizio. Secondo i consulenti sociali di ATFA sarebbe utile rendere i gruppi di supervisione obbligatori, in modo che tutte le famiglie possano avere più strumenti a disposizione per affrontare l’affido (A. Milio, intervista, 19 maggio 2020; S. Caffi, intervista, 18 maggio 2020). L’ATFA crede molto nella formazione continua delle famiglie affidatarie, la società è sempre in mutamento e questo spesso influisce anche sull’affido. Come ad esempio il COVID-19 che ha comportato per la maggior parte delle famiglie la sospensione dei diritti di visita. Secondo Stefania Caffi la formazione è molto importante, proprio per il ruolo di responsabilità che rivestono i genitori affidatari, essa infatti permette alle famiglie di mettersi in discussione e permette inoltre di acquisire maggior sicurezza nei propri interventi (S. Caffi, intervista, 18 maggio 2020).

Secondo Scabini e Cigoli (1991) la facilitazione offerta dai servizi, come in questo caso i gruppi di supervisione di ATFA, costituiscono “il «guadagno» dell’esperienza compiuta; in tal senso esso aiuta ad affrontare in modo costruttivo lo svolgimento dell’affido ed in particolare il momento di separazione dal minore: il dispiacere legato alla perdita diviene in questo modo l’occasione per riconoscere il valore di quanto si è ricevuto e si è riusciti a trasmettere.”(p.26).

Secondo Cirillo (1986) vi sono delle ricerche di follow-up sull’affidamento di un consistente numero di affidi che “[…] confermano che c’è una differenza altamente significativa tra la percentuale di successi degli affidi in cui la famiglia affidataria è stata seguita dagli operatori e quella, molto più bassa, dei casi in cui gli affidatori sono stati lasciati a loro stessi.” (p.113). La formazione delle famiglie affidatarie dunque permetterebbe di ottenere maggior successo nei percorsi di affido.

Tiziana Marcon (Intervista, 22 maggio 2020) suppone però che l’obbligatorietà infantilizzi i genitori affidatari. Secondo lei il passaparola delle famiglie che frequentano i gruppi di supervisione è sufficiente.

Alcune famiglie intervistate sembrano condividere il pensiero della pedagogista, riportando che i gruppi d’incontro non dovrebbero essere resi obbligatori, anche perché non tutte le famiglie avrebbero la possibilità di partecipare, come ad esempio le coppie che lavorano a turni anche nei festivi (Intervista 1, 10 aprile 2020; Intervista 3, 15 aprile 2020). Mentre le due famiglie rimanenti sostengono che l’obbligatorietà sarebbe d’aiuto per aumentare la partecipazione ai gruppi, a volte molto scarsa. L’intervistata numero quattro afferma:

Perché come ti dicevo prima volontariamente la gente non ci va tanto, lasciano cadere o perché si pensano di essere super woman o superman o perché, perché è chiaro come umani uno tende a dire «Ma no noi siamo una famiglia apposto, possiamo accogliere un minore in difficoltà, perché

noi ormai siamo della gente giusta.» Tra virgolette quello è l’immaginario. Poi però l’affidamento ti mette a dura prova normalmente, anche perché c’è la famiglia naturale che ti mette sottopressione, poi tutta la rete che non funziona come tu vorresti, ci sono troppe pressioni e la gente dovrebbe almeno andare per un minimo di tempo. [agli incontri di supervisione]” (Intervista, 15 aprile 2020).

Proprio per questo motivo secondo l’intervistata le famiglie dovrebbero aderire ai gruppi d’incontro da prassi. Una famiglia propone inoltre di suddividere i gruppi di supervisione per le famiglie intra-parentali ed extra-parentali come Andrea Milio (intervista, 19 maggio 2020) spiega era consuetudine una quindicina di anni fa. Questa modalità è stata sospesa a causa della scarsa partecipazione ai gruppi da parte delle famiglie intra-parentali. Il consulente sociale di ATFA espone come negli anni vi sia stato comunque un aumento della partecipazione ai gruppi di supervisione.

Rispetto ai gruppi di supervisione l’intervistata numero due riporta la sua esperienza: “[…]io partecipo sia al gruppo d’incontro family che il gruppo d’incontro SOS. C’è stato un periodo in cui non potevo partecipare proprio per la difficoltà che gli affidi comportavano […]in quei momenti a me mancava molto avere la possibilità d’incontro e confronto. È un peccato vedere che ai gruppi d’incontro family, quando va bene siamo in tre famiglie su tutto il territorio, quando va male mi sono ritrovata soltanto io a dover confrontarmi con il terapeuta che si mette a disposizione […] Mi sono resa conto che questa cosa davvero non viene sfruttata invece per le potenzialità che potrebbe avere.” (Intervista 2, 14 aprile 2020). L’intervistata numero due riporta inoltre di non sentirsi libera in questo momento di condividere con il gruppo di supervisione le situazioni che affronta, poiché le narrazioni portate al gruppo in precedenza sono state riportate anche al di fuori del gruppo genitori (Intervista 2, 14 aprile 2020).

Questo aspetto di riservatezza è molto importante, le famiglie all’interno dei gruppi di supervisione devono potersi sentirsi liberi di esprimere. Tiziana Marcon (intervista, 22 maggio 2020) spiega infatti che le “[…] due regoli basi sono, sempre secondo la pedagogia dei genitori, la sospensione del giudizio, perché in supervisione si può e si deve dire tutto, poi valutiamo insieme come si può parlarne all’esterno. Tenere gli stessi contenuti, ma lavorare sulla forma. La confidenzialità ovvero quello che si dice lì rimane lì, per tutti, se c’è una fuga non funziona più. Se io sento che un genitore ha delle particolari difficoltà nella relazione con i minori che accoglie o personalmente perché vive un momento di difficoltà, insieme con lui ne parlo e poi ne riferisco ad Andrea o Stefania, si lavora sempre insieme […].”

Il campione di famiglie intervistate riferisce che il sostegno offerto attraverso la formazione e i gruppi di supervisione sono sufficienti a dare sostegno alle famiglie affidatarie (Intervista 1, 10 aprile 2020; Intervista 2, 14 aprile 2020; Intervista 3, 15 aprile 2020; Intervista 4, 15 aprile 2020). Due famiglie riportano che sarebbe opportuno che ATFA modificasse i temi delle formazioni adattandoli di più alle esigenze delle famiglie. In particolare viene esposto come i temi si focalizzino spesso sull’infanzia, tralasciando la pre-adolescenza e l’adolescenza (Intervista 1, 10 aprile 2020; Intervista 2, 14 aprile 2020). I consulenti sociali di ATFA si dicono disposti a variare i temi delle formazioni sollecitando le famiglie ad esporre le tematiche che vorrebbero approfondire in formazione (S. Caffi, intervista, 18 maggio 2020). Una famiglia in particolare afferma rispetto all’implemento della formazione offerta da ATFA:

No! No, una formazione, non ne potrei più. Io non ne posso più, no. [ride] Anche no. Sai che è stanchevole di parlare sempre di affido, di ricordarti sempre che la bambina che hai non è tua. Mi stanca tantissimo. C’è la nostra vita non gira attorno a Sara e all’affido. Evito che tutto gira attorno perché per alcuni forse è così, io sono stufa. Già ho i diritti di visita che me lo fa ricordare, già ogni chiamata che devo fare, un rapporto, devo ricordare. Dunque qualche volta mi piacerebbe che nessuno più me lo ricorda e che posso vivere la mia vita sai senza dover ancora rendere conto, valutarmi e essere valutata, e io vorrei essere una mamma semplicemente (Intervista 3, 15 aprile 2020).

Andrea Milio (intervista, 19 maggio 2020) afferma che la formazione permette alle famiglie di riflettere sugli aspetti dell’affido, ma anche a ricordarsi che di affido si tratta. Si rende conto però che le famiglie affidatarie confrontandosi con la rete quasi quotidianamente, come riporta anche l’intervistata numero tre, sono ben consapevoli di non essere i genitori naturali dei minori che accolgono. La formazione non ha comunque l’intento di pesare sugli affilianti, ma vuole essere un’occasione di arricchimento per le famiglie (A. Milio, Intervista, 18 maggio 2020).

4.4.2. Il vissuto degli affidatari rispetto la relazione “formalizzata” con l’istituzione pubblica

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