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I cloni immaginati da Ishiguro giungono in questo mondo con un solo scopo, ovvero quello di donare i propri organi per guarire malattie che, fino a pochi anni prima, erano considerate incurabili. I cloni, inseriti in un complesso sistema statale di raccolta, vengono cresciuti e curati in strutture, molte delle quali sono luoghi terribili, dove essi sono equiparati a meri “contenitori” di organi, in attesa di essere “unzipped”. In questo senso, l’istituto di Hailsham spicca come una realtà quasi idilliaca, dove essi sono incoraggiati a studiare e a coltivare il talento artistico: ai ragazzi viene fornita una parvenza di normalità, benché ciò non possa cambiare ciò che essi incarnano, il motivo per cui sono stati messi al mondo. I cloni risultano quindi un “educated cattle. Like cows, pigs and sheep, they are so inured to their fates that the thought of escape never crosses their minds”188. Come ripetuto più volte, Kazuo Ishiguro vede nel tema della clonazione un palinsesto per analizzare

186 Dori Laub, “Bearing Witness, or the Vicissitude of Listening”, in Shoshana Felman- Dori Laub (eds.),

Testimony. Crises of Witnessing in Literature, Psychoanalysis and History, cit., pp.55-56.

187 Barry Lewis, in “The Concertina Effect: Unfolding Kazuo Ishiguro’s Never Let Me Go”, definisce in questi

termini il processo mediante il quale la vita dei cloni viene limitata e “compressa”, Cfr.Sebastian Groes, Barry Lewis (eds.), Kazuo Ishiguro: New Critical Visions of the Novels, cit., pp. 199-210.

188 Barry Lewis, “The Concertina Effect: Unfolding Kazuo Ishiguro’s Never Let Me Go”, in Sebastian Groes, Barry

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tematiche profonde e universali quali la morte, la condizione umana, il sottile rapporto fra memoria ed immortalità e la capacità umana di reagire davanti all’oppressione:

This extraordinary and, in the end, rather frightening clever novel isn’t about cloning, or being a clone, at all. It’s about why we don’t explode, why we just don’t wake up one day and go sobbing and crying down the street, kicking everything to pieces out of the raw, infuriating, completely personal sense of our lives never having been what they could have been.189

Ishiguro ha scelto quindi di far leva su un contesto immaginario che delimita e definisce il corso di una vita, la quale risulta per l’appunto “concertina-ed”, avvolta in una spirale e compressa in un lasso di tempo limitato. In questa prospettiva, chiunque si trovi a dover fronteggiare la fine in modo prematuro, prima di essersi realizzato, si pone drammaticamente delle domande: “What are the things you hold on to, what are the things you want to set right? What do you regret? What are the consolations?”190.Seguendo le vicende di tre cloni inseriti nella macchina dell’“organ harvesting programme”, Ishiguro concentra il loro corso esistenziale in poco più di trent’anni. La loro breve vita non termina per cause naturali, bensì in conseguenza di una sottrazione di organi preventivata. Spesso alla comunità dei cloni viene chiesto di “donare” il fegato, i reni, il pancreas, un polmone, a volte tutti questi organi; ciò non sarebbe né scientificamente né bioeticamente plausibile, ma, come Ishiguro ha sempre affermato, il motivo della clonazione e della donazione hanno per lui un interesse metaforico. Anche il processo di “squeezing time” è voluto ed ha una grande potenza drammatica, nonché perturbante. Per Ishiguro, “concertina-ing of time is principally a defamiliarization device”191, in quanto implica uno straniamento rispetto al tempo esistenziale reale e una messa a fuoco concentrata su uno spaccato ridotto ai minimi termini.

L’autore delimita il tempo anche attraverso la memoria: Kathy, protagonista e narratrice della storia, ritorna al passato per dare un senso al suo presente, analizzando la relazione che si è creata tra lei, Ruth e Tommy, e agli sviluppi emersi una volta arrivati ai Cottages. Al fine di comprendere appieno lo sviluppo dei loro rapporti, Kathy deve necessariamente tornare agli anni passati a Hailsham, muovendosi fra i vari e inseparabili livelli della memoria. Come afferma la stessa Kathy, “And if these incidents now seem full of significance and all of a piece, it’s probably because I’m looking at them in the light of

189 M. John Harrison, “Clone Alone”, Guardian, 26 February 2005,

http://www.theguardian.com/books/2005/feb/26/bookerprize2005.bookerprize [consultato in data 15/12/2017].

190 John Freeman, “Ishiguro Novel Explores Theme of Memory”, cit.,

http://www.nzherald.co.nz/lifestyle/news/article.cfm?c_id=6&objectid=10116202 [consultato in data 27/11/2017].

191 Barry Lewis, “The Concertina Effect: Unfolding Kazuo Ishiguro’s Never Let Me Go”, in Sebastian Groes, Barry

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what came later […]”192. Il suo processo memoriale può essere immaginato come la scrittura su un foglio di carta destinato ad essere piegato più volte: una volta piegato un lato del foglio, una parte rimane nascosta, e questi angoli oscuri si ripresentano più volte. Analogamente, la memoria mostra queste pieghe con il decorrere del tempo. Esiste quindi il momento presente, in cui Kathy ricorda, e i momenti del passato semi-oscurati, che vengono riportati in superficie e a tratti sovrapposti in modo simultaneo. In questo riemergere del vissuto si innesca anche una catena di ricordi traumatici per la narratrice, che, volta a intraprendere un processo di integrazione, non riesce ancora chiaramente a distinguerli e a classificarli. I ricordi si affollano senza seguire un ordine cronologico, coerentemente con l’“emotional logic”193 associata alla psiche.

Nel momento in cui Kathy e Tommy si scontrano con la dura realtà, ovvero con il fatto che non esiste per loro la possibilità di un rinvio, il giovane ha una reazione riconducibile alla sua infanzia, ovvero si mette ad urlare e lancia i pugni in aria. Il trasporto con cui Kathy lo abbraccia segnala il raggiungimento della consapevolezza, ovvero la certezza di una morte imminente. L’unico appiglio che possono trovare risiede nell’attaccamento reciproco, nel “non lasciarlo andare”, in sintonia con il titolo del romanzo: “We were holding to each other because that was the only way to stop us being swept away into the night”194.

Sin dalle prime righe del romanzo, Kathy si presenta semplicemente come “Kathy H.”, forse per mantenere il semi-anonimato (strategia usata, ad esempio, nelle narrazioni autobiografiche sette-ottocentesche, così come nei casi anamnestici degli psicoanalisti). Tuttavia, il non avere un cognome integro a cui legarsi rende ancor più evidente il senso di estraneità e di “incompletezza” decretato dalla sua natura di clone rispetto alla comunità “biologicamente integra”. In quanto prodotti in laboratorio, i cloni non hanno legami familiari, ed inoltre non possono procreare, per cui non è loro concesso di trasmettere in eredità il cognome. Queste caratteristiche enfatizzano il senso di privazione o menomazione, poiché i cloni risultano pedine in un gioco più grande e brutale, in cui l’identità individuale passa in secondo piano. Il fatto che la narrazione di Kathy crei un senso di intimità col lettore induce, d’altro canto, a riflettere sulla natura imposta dalle gerarchie, su come spesso si releghi l’“altro” nella categoria del “subumano” in modo affrettato e opportunistico. Il clone, cioè, finisce per incarnare la tipologia di soggetto che

192 Kazuo Ishiguro, Never Let Me Go, cit., p. 77.

193 Barry Lewis, “The Concertina Effect: Unfolding Kazuo Ishiguro’s Never Let Me Go”, in Sebastian Groes, Barry

Lewis (eds.), op. cit., p. 209.

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tende ad essere automaticamente emarginato, reso invisibile perché disturbante o inquietante. Il testo di Ishiguro ci invita ad ascoltare questo soggetto e a riconoscerne l’umanità.

La remissività con cui la maggior parte dei cloni accetta il proprio destino si manifesta con il desiderio di adempiere al meglio ai ruoli di “carers” e successivamente di “donors”: non vengono mai espresse chiaramente le pene che essi devono affrontare, e Kathy sembra impassibile davanti al dolore. Ciò, però, evidenzia anche un fatto anomalo, ovvero una frattura nel rapporto fra la coscienza del clone ed il suo corpo, con ulteriori effetti perturbanti195. Il distanziamento e la reificazione del corpo sono siglati dall’impiego di un linguaggio che tende a disumanizzarlo e a ridurlo a strumento. La critica ha ricollegato questo atteggiamento a un naturale meccanismo di difesa nei confronti di un destino predeterminato: consci del fatto che la loro esistenza è controllata da forze superiori e di non avere piena facoltà sul loro corpo, i cloni se ne distaccherebbero come strategia di sopravvivenza psicologica.

Ma come si è arrivati al clone e alla sua disumanizzazione? Nella società immaginata da Ishiguro, ogni gesto brutale nei confronti dei cloni è giustificato dalla necessità di curare malattie terribili per gli “umani”, senza volutamente prestare attenzione a tutte le implicazioni morali. È chiaro che il testo istituisce un dialogo implicito con i molti i dibattiti a riguardo, sorti sull’onda della clonazione della pecora Dolly, avvenuta alla fine degli anni Novanta del secolo scorso. Michael J. Sandel, filosofo americano, e Leon Kass, medico, scienziato e ricercatore americano, sono tra coloro che si sono opposti con fermezza alla possibilità di creare individui ex novo da materiale genetico preesistente, poiché “cloning disfigures human relations, most often the relationship between generations”196. Secondo Kass, in particolare, questo procedimento andrebbe a violare i diritti e l’identità di un presunto bambino così generato: “I regard cloning to be in itself a form of child abuse, even if no one complains, and a deep violation of our given nature as gendered and engendering beings”197. Essendo una “copia” genetica di un individuo preesistente, i cloni non potranno mai portare avanti sul piano antropologico le “narrative expectations” di cui ogni persona è investita, ovvero “becom[ing] human through processes of separation and individuation,

195 Sigmund Freud, nell’opera Das Unheimliche (1919), ha notoriamente illustrato il concetto di “perturbante”: per

lo psicoanalista, il termine esprime un aspetto del sentimento più generico della paura che si sviluppa quando un oggetto, una persona, un’impressione vengono avvertiti come familiari ed estranei contemporaneamente, causando una generica angoscia unita ad una spiacevole sensazione di confusione ed alienazione. Si crea nell’individuo, quindi, una sorta di dualismo affettivo che culmina con il ritorno, dai meandri del subconscio, del materiale rimosso, “nascosto”, in grado di suscitare angoscia e turbamento.

196 Cfr. Mark Jerng, “Giving Form to Life: Cloning and Narrative Expectations of the Human”, Partial Answers:

Journal of Literature and History of Ideas, Volume 6, number 2, June 2008, p. 374.

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[…] hav[ing] an inherent human dignity, however vulnerable”198. La dignità dell’essere umano risiede anche nella possibilità di autodeterminarsi e nell’esercizio del libero arbitrio, facoltà che ai cloni sono socialmente negate. Francis Fukuyama, noto politologo statunitense, nel volume Our Posthuman Future: Consequences of the Biotechnology

Revolution, ha enfatizzato l’idea che alla base della dignità umana risieda la possibilità di

realizzarsi pienamente, in una sinergia di qualità, scopi e opportunità:

Factor X [i.e. that which makes us human] cannot be reduced to the possession of moral choice, or reason, or language, or sociability, or sentience, or emotions, or consciousness, or any other quality that has been put forth as a ground for human dignity. It is all of these qualities coming together in a human whole that make up Factor X. Every member of the human species possesses a genetic endowment that allows him or her to become a whole human being, an endowment that distinguishes a human in essence from other types of creatures.199

Per Fukuyama, quindi, l’essere umano e la sua essenza sono imprescindibili dalla costruzione dell’io e della sua totalità. Per far sì che ciò accada, l’individuo deve affrontare un percorso che lo porterà ad essere un “discrete, separate, individuated whole out of an initial state that is incomplete and dependent”200. Questo processo di crescita e definizione è negato ai cloni, la cui vita viene segnata ed indirizzata, come da un percorso di filo spinato sin dalla nascita, ad uno scopo che li condanna all’abnegazione più totale. Quello che si presenta agli occhi del lettore è quindi un “evil scenario”201 in cui la possibilità di scelta è preclusa.

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