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I vizi degli atti impositivi: tra teoria e prassi

PRIMA PARTE

Il presente contributo si propone, quale finalità, quella di focalizzare l’attenzione sui vizi che, più frequentemente, sono riscontrabili negli atti impositivi.

La prima parte verrà dedicata ai vizi di sottoscrizione degli atti ed alle conseguenze (in termini di nullità o meno) degli stessi.

di Elisa Manoni

Ai sensi dell’art. 42, comma primo, del D.P.R. n. 600 del 1973, “gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”.

Il comma terzo del medesimo articolo dispone che “l’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni, la motivazione di cui al presente articolo e ad esso non è allegata la documentazione di cui all’ultimo periodo del secondo comma”.

A ben vedere la disposizione disciplina solo gli avvisi di accertamento con i quali vengono elevate contestazioni ai fini delle imposte dirette: sorge subito il quesito circa la sorte degli atti impositivi relativi all’Iva ed alle altre imposte indirette.

Infatti, allo stato difetta una disciplina di ordine generale applicabile a tutte le imposte; è il legislatore, quindi, che, mediante specifici richiami alla normativa di una determinata imposta, rende applicabili ad un certo tributo le norme dettate per un altro.

Esempio in tal senso è quanto contenuto nell’art. 25 del D.Lgs. n. 446 del 1997 il quale, nel normare le disposizioni in materia di imposte sui redditi non applicabili all’Irap, non menziona l’art. 42 del D.P.R. n. 600 del 1973, sicché deve ritenersi che queste ultime siano operanti anche nel campo dell’Irap.

Come accennato, una previsione di nullità dell’atto impositivo per la mancanza parziale di sottoscrizione dello stesso, così come non trova riscontro in materia di Iva (art. 56 del D.P.R. n. 633 del 1972), neppure risulta contenuta, in materia di imposta di registro, nell’art. 52 del D.P.R. n. 131 del 1986.

In questi casi, quindi, sembrerebbe operare la presunzione generale di riferibilità dell’atto all’organo amministrativo titolare del potere nel cui esercizio viene adottato, salva la prova contraria, da parte del contribuente, circa la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio o, comunque, circa l’usurpazione dei relativi poteri (Cassazione, sentenza 9 gennaio 2014, n. 220).

Poste queste premesse, non resta che comprendere che cosa si intenda con l’espressione “capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”, al fine di vedere, tramite esempi pratici, le possibili strategie del

contribuente.

Ai sensi dell’art. 5, comma 6, del Regolamento di Amministrazione dell’Agenzia delle Entrate, “Gli avvisi di accertamento sono emessi dalla direzione provinciale e sono sottoscritti dal rispettivo direttore o, su delega di questi, dal direttore dell’ufficio preposto all’attività accertatrice ovvero da altri dirigenti o funzionari, a seconda della rilevanza e complessità degli atti”.

Quindi, gli avvisi possono essere sottoscritti:

• a) dal Direttore Provinciale;

• b) dal Direttore dell’Ufficio, su delega del Direttore Provinciale;

• c) da dirigenti o funzionari (questi ultimi appartenenti alla terza area) su delega del Direttore Provinciale.

Esempio n. 1.

Al contribuente viene notificato avviso di accertamento firmato dal capo area.

In tal caso, è possibile, in sede di ricorso, far valere la violazione dell’art. 42 del D.P.R. n. 600 del 1973, chiedendo dichiararsi la nullità dell’avviso in virtù della sottoscrizione da parte di soggetto non legittimato?

Dal punto di vista processuale, tale asserito vizio, che non è rilevabile d’ufficio, deve essere eccepito, a pena di decadenza, in primo grado, ai sensi del comma primo dell’art. 61 del D.P.R. n. 600 del 1973.

Ciò significa che tale eccezione non può essere sollevata in appello dove, peraltro, vige il divieto di proposizione di domande nuove, ex art. 57 del D.Lgs. n. 546 del 1992.

Essendo l’eccezione di nullità dell’avviso per inesistenza della sottoscrizione niente altro che un motivo di ricorso, la stessa deve essere necessariamente proposta nell’atto introduttivo di giudizio.

Quindi, in sede di redazione dell’atto di gravame, il contribuente deve far valere (a pena di decadenza) la nullità dell’avviso, ai sensi dell’art. 42, comma terzo, D.P.R. n. 600 del 1973, per essere stato sottoscritto da soggetto (nella specie, capo area) privo di legittimazione, secondo quanto disposto dal comma primo dell’art. 42 del D.P.R. n. 600 del 1973.

È onere dell’Amministrazione Finanziaria fornire la prova del rilascio di specifica delega da parte della stessa, poiché il solo possesso della qualifica (Direttore dell’Ufficio, dirigente o funzionario) non abilita alla sottoscrizione dell’atto (sul punto, ex multis, Cassazione, sentenza 4 giugno 2013, n. 14942; Cassazione, sentenza 27 ottobre 2000, n. 14195).

Pertanto, nella fattispecie in esame, qualora l’Amministrazione venga meno al proprio onere probatorio, l’avviso è da dichiarare nullo.

Esempio n. 2.

Ritornando alla fattispecie precedente, come visto, qualora l’Amministrazione non produca in giudizio la delega, l’atto è nullo.

Si ipotizzi il caso in cui l’Ufficio impugni la sentenza producendo solo in secondo grado la delega. In tal caso, tale produzione è ammissibile?

L’art. 58, comma secondo, D.Lgs. n. 546 del 1992, dispone che “è fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti”.

In tal caso la delega, che assume veste di documento, non è altro che lo strumento del quale l’Amministrazione si vuol servire per dare la prova della correttezza e legittimità del proprio operato. Pertanto il secondo comma dell’art. 58 del D.Lgs. citato dovrebbe leggersi in combinato disposto con il primo comma del medesimo articolo, secondo cui “il giudice di appello non può disporre nuove prove, salvo che non le ritenga necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile”.

È evidente come in tal caso non esista quella impossibilità di produzione in primo grado, trattandosi di documento, se esistente, già in possesso dell’Amministrazione Finanziaria.

Ne deriva, quindi, l’inammissibilità della esibizione della delega nel corso del giudizio di appello, dovendosi confermare la pronuncia di secondo grado a quella di prime cure relativamente a tale statuizione.

Esempio n. 3.

Nel riferirsi alle precedenti fattispecie, si supponga che l’Amministrazione, nel corso del giudizio di primo grado, produca la delega, ma risulti che il rilascio della stessa sia avvenuto dopo la sottoscrizione dell’atto da parte del dirigente o del funzionario.

Tramite la delega si conferisce, da parte del Direttore Provinciale, l’autorizzazione a sottoscrivere, trasferendo tale titolarità di potere in capo al soggetto delegato, sicchè, in tal caso, l’Ufficio non ha fornito prova alcuna che il dirigente o il funzionario fosse stato delegato a sottoscrivere l’atto (cfr. sul punto, Commissione Tributaria Provinciale di Caltanissetta, sentenza 21 maggio 2013, n. 257).

Esempio n. 4.

Al contribuente viene notificata cartella di pagamento non preceduta dall’avviso di accertamento.

Nell’impugnare la cartella, il contribuente fa valere l’omessa notifica chiedendo dichiararsi la nullità dell’atto di riscossione per il suddetto vizio (cfr. art. 19, comma terzo, del D.Lgs. n. 546 del 1992: “la mancata notificazione di atti

autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”).

In tal caso, potrebbe far valere anche il vizio di sottoscrizione dell’avviso di accertamento, ai sensi dell’art. 42 del D.P.R.

n. 600 del 1973?

Proporre tale eccezione significherebbe mostrare di aver avuto conoscenza dell’atto di cui si lamenta l’omessa notifica; il che si risolve in un controsenso ed in un paradosso giuridico. Così facendo, viene dato per pacifico il buon fine di quel procedimento notificatorio che, per assurdo, costituisce uno dei motivi di gravame.

Esempio n. 5.

Il contribuente riceve avviso di accertamento ai fini delle imposte dirette, che trae origine dall’asserita omessa presentazione della dichiarazione dei redditi.

Il medesimo propone ricorso eccependo, in via pregiudiziale, la nullità dello stesso per non recare la sottoscrizione da parte del funzionario (nella specie, capo team) dotato degli opportuni poteri.

L’Agenzia delle Entrate si costituisce in giudizio producendo ordine di servizio con il quale sono stati conferiti i poteri di sottoscrizione in capo al funzionario firmatario dell’accertamento.

Tuttavia, dalla documentazione prodotta dall’Agenzia risulta che la delega di firma è stata attribuita per accertamenti con un determinato volume di affari (euro 516.500,00) ed, al contempo, con un maggior imponibile massimo non superiore ad euro 41.331,00.

Nella fattispecie in esame, seppur l’avviso di accertamento abbia accertato un reddito di euro 131.009,00 a fronte di un reddito dichiarato pari a zero, il limite dell’imponibile massimo di euro 41.331,00 è stato superato, considerato il reddito accertato.

Dovendo, come risulta dal tenore della delega, ricorrere entrambe le circostanze (volume di affari e maggior imponibile) per poter sottoscrivere gli atti impositivi, è chiaro come il capo team non aveva alcun potere di sottoscrivere l’avviso di accertamento che, per tal ragione, è nullo(1).

È possibile, quindi, trarre alcune conclusioni dagli esempi riportati.

Qualora l’atto impositivo risulti sottoscritto dal Direttore dell’Ufficio o da funzionari o dirigenti, il contribuente può eccepirne (genericamente e solo in primo grado) la nullità per inesistenza del potere di sottoscrizione in capo agli stessi; sarà onere dell’Ufficio produrre delega attestante la corretta attribuzione del potere.

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---(1) L’esempio è ripreso dalla fattispecie decisa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Venezia, sentenza 18 ottobre 2010, n. 145.

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Accordi preventivi con l’Amministrazione finanziaria per ridurre i rischi fiscali

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