SOLUZIONI DI TRASPARENZA E INDIPENDENZA
4.1 I “VIZI” DEL SISTEMA
Le SGR rappresentano ormai una realtà industriale di rilievo, non soltanto per le dimensioni delle masse gestite, ma anche per la struttura organizzativa adottata: è stata infatti col tempo ampliata ed arricchita la dotazione di personale, accresciuto l’investimento a sostegno dell’attività di studio e ricerca, innovate le metodologie di controllo di rischio.
Ciò ha fatto sì che, sebbene siano strutture relativamente “giovani” rispetto alle management company esistenti in altri Paesi, le SGR abbiano conseguito performance in linea con quelle dei concorrenti europei e non.
In virtù quindi dell’importanza assunta nel sistema e del conseguente ruolo attribuito dal legislatore nazionale alle SGR nell’ambito del servizio di gestione del risparmio, individuale o collettivo che sia, le norme hanno posto nel tempo dei vincoli stringenti all’attività delle SGR, nell’interesse della credibilità dei mercati finanziari.
In base alle regole generali di comportamento stabilite dall’articolo 40 del TUF e dal nuovo Regolamento Consob n. 16190/2007, le SGR, si ricorda, devono, innanzitutto, operare con diligenza, correttezza e trasparenza nell’interesse dei partecipanti ai fondi e dell’integrità del mercato, evitando quindi di mettere in atto comportamenti ambigui e dannosi per i risparmiatori, in modo da non minare la credibilità dell’intermediario SGR in quanto tale.
Devono altresì assicurare che l’attività di gestione sia svolta in modo indipendente, in conformità degli obiettivi, della politica di investimento e dei
rischi specifici dell’OICR, come indicati nel prospetto informativo ovvero, in mancanza, nel regolamento di gestione o nello statuto dell’OICR.
Al fine di salvaguardarne e rafforzarne l’immagine, le SGR si sono riunite in associazioni di categoria e si sono dotate di un codice di autodisciplina proprio per garantire il rispetto dei principi di correttezza, trasparenza e indipendenza sopra ricordati, da parte delle associate, laddove la norma non sia intervenuta.
Sempre al fine di rispettare gli obblighi di trasparenza, le SGR devono organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse, anche tra i vari patrimoni gestiti; le SGR devono pertanto vigilare per individuare dei possibili conflitti d’interessi, assicurando comunque un equo trattamento degli OICR, avuto anche riguardo agli oneri connessi alle operazioni da eseguire.
La tutela dell’investitore appare pertanto sempre più una questione globale, perciò è importante intervenire su tutte le aree di rischio che si sono manifestate.
I vizi strutturali più significativi del settore della gestione collettiva del risparmio possono essere di seguito rappresentati:
- la presenza di estesi conflitti d’interesse: Il comparto più ampio e significativo del risparmio gestito, quello dei fondi comuni di investimento, raccoglie e amplifica a cascata tutte le problematiche dei mercati finanziari, fornendo un suo contributo specifico al generale problema del conflitto d’interessi. Innanzitutto conflitti di interesse legati alle operazioni di investimento e disinvestimento. Diverse sono le fattispecie possibili dato
che il conflitto d’interesse può essere riferito alla SGR, a un socio della SGR (o società del gruppo) ovvero ad un amministratore, sindaco o direttore generale della stess. In ogni caso, anche se in apparenza tutta la normativa si basa sul divieto di effettuare operazioni in conflitto d’interesse, di fatto la normativa consente numerose eccezioni ed appare eccessivamente debole rispetto a possibili forme di elusione.
- La conseguente rara adozione di soluzioni efficaci nell’evitare conflitti di interesse nel collocamento e nella gestione dei fondi;
- la scarsa evoluzione di una specifica corporate governance delle SGR: Nel comparto dei fondi comuni, si possono genericamente richiamare i seguenti aspetti critici:
• La ridotta rappresentanza e la scarsa possibilità di controllo da parte degli investitori circa l’attività di gestione e le condizioni di contratto; • La ridotta partecipazione dei fondi alle assemblee delle società da loro
partecipate in rappresentanza degli interessi dei sottoscrittori e la mancanza di trasparenza sulle posizioni eventualmente assunte in queste assemblee.
La quota di un fondo si configura come un titolo intermedio tra azioni e obbligazioni. Normalmente non esistono garanzie di rimborso del capitale e non è previsto il pagamento regolare e predeterminato di cedole, similmente a quanto avviene con le azioni. Tuttavia, la diversificazione del portafoglio tra tipologie di titoli, settori, aree geografiche e imprese consente di contenere il rischio
complessivo del prodotto rispetto ad un investimento azionario individuale. A fronte di ciò, però, si verifica una ridotta possibilità da parte del risparmiatore di incidere sulle politiche di investimento dei fondi sottoscritti o controllarne l’esecuzione nonché l’impossibilità assoluta di influire sulla politica di gestione delle società nelle quali i fondi sottoscritti investono le loro risorse.
Si crea, insomma, nel sistema una vasta massa di risparmio non rappresentato. Si tratta di risparmio che corre tutti i rischi ma non esercita diritti di gestione o anche solo di controllo.
Inoltre, i Fondi comuni si distinguono dagli altri intermediari per le modalità economico-patrimoniali che connotano la loro attività e il loro operato: i rischi di investimento sono infatti assunti direttamente dai risparmiatori, dal momento che le variazioni dell'attivo del fondo si riflettono immediatamente sul valore delle singole quote.
A ciò si aggiunga che il patrimonio del fondo è investito seguendo il principio di diversificazione: le caratteristiche di illiquidità tipiche dell'attivo delle banche sono pertanto meno rilevanti. E' ovvio che il mancato rispetto, da parte del gestore, dei limiti d'investimento, configura un caso di mala gestio o di comportamento non conforme e non rappresenta la manifestazione di un rischio finanziario.
A motivo di ciò, si sottolinea che i nuovi sistemi di regolamentazione delle gestioni patrimoniali collettive rinvenienti dal recepimento della legislazione comunitaria attribuiscono una vera e propria centralità alle norme di
trasparenza, informativa e corretto comportamento, volte a tutelare i diritti degli investitori, piuttosto che a quelle di stabilità.
Per poter essere strumento di tutela, l'informativa deve possedere la "capacità transitiva": deve, cioè, risultare accessibile, comprensibile ed utilizzabile dal soggetto che si intende tutelare, il risparmiatore.
La relativa disciplina non può essere diretta alla cura di un generico interesse dell'investitore, ma a quello avente quale contenuto l'affidamento che il risparmiatore ripone nel comportamento "corretto" del sollecitante e che lo hanno indotto a sottoscrivere il fondo stesso anziché scegliere un investimento alternativo.
L'informativa deve pertanto possedere tutta una serie di caratteristiche: essere vera (l'operatore non deve farsi tramite di notizie che gli risultino false), completa (non solo le notizie conosciute ma anche quelle conoscibili) e chiara; non deve essere anonima, bensì qualificata. La diffusione di notizie, la cui conoscenza non sia direttamente necessaria al compimento di ragionate scelte di investimento o disinvestimento può risultare pregiudizievole, in quanto fonte di confusione.
Le informazioni comunicate devono essere quanto più possibile sintetiche e standardizzate, in modo da consentire di individuare con facilità ed immediatezza i dati più rilevanti, e quindi di accrescere il grado di intelligibilità e comparabilità.
gestioni collettive di patrimoni si rinvengono con riferimento a due momenti portanti: il primo è relativo alla fase che precede l'investimento; il secondo allo svolgimento dell'attività di gestione.
Nella prima fase, in particolare, si rilevano norme di trasparenza e di informativa volte al potenziale investitore; nella seconda, oltre a tali disposizioni, si evidenziano veri e propri diritti dell'investitore.
Accanto a questi due elementi centrali, la Direttiva MIFID e la normativa nazionale di recepimento, si ricorda, enucleano anche altri principi relativi alle norme di comportamento che gli intermediari devono osservare, con riferimento per esempio alle regole riguardanti le informazioni da acquisire sul cliente, le regole sui conflitti di interesse, le norme prudenziali in materia di organizzazione e contabilità, valori mobiliari e liquidità della clientela.
Tenendo conto quindi dell’importanza degli aspetti sopraccitati, nel corso degli ultimi anni l’attività di vigilanza sulle SGR da parte delle Autorità si è concentrata soprattutto sui profili di trasparenza, correttezza e indipendenza dei comportamenti, con particolare riferimento al processo decisionale dell’investimento (dalla fase di formulazione delle strategie generali dell’investimento a quella di esecuzione delle medesime, passando attraverso la valutazione della reportistica ed il controllo del profilo di rischio dei fondi), alla gestione dei conflitti di interesse e delle procedure, volte a supportare l’attività gestoria.
collettiva del risparmio riguardano appunto la capacità organizzativa e tecnica delle SGR in relazione all’ampiezza della gamma dei fondi offerta ed in secondo luogo il grado di indipendenza e autonomia (anche decisionale) nella definizione delle strategie produttive e commerciali rispetto alle logiche dei gruppi bancari di appartenenza.
Le lacune riscontrate dalle Autorità di Vigilanza sono così sintetizzabili: a) scarsa formalizzazione delle indicazioni di investimento, del sistema di
deleghe operative e dei controlli di linea sul rispetto dei limiti normativi e regolamentari;
b) un’accentuata manualità nelle modalità operative di effettuazione di alcune fasi di gestione degli ordini;
c) incompletezza delle verifiche effettuate dalla funzione di controllo interno e della rappresentazione agli organi sociali degli esiti dei controlli svolti.
d) Incompletezza delle procedure interne e carente aggiornamento delle stesse in relazione all’evoluzione normativa e delle prassi operative. A ciò si aggiunga l’azione di vigilanza da parte della Consob sulla governance delle SGR e sul possesso dei requisiti di indipendenza da parte degli amministratori.
Un’analisi a campione sulla composizione dei CdA di 20 SGR condotta nel 2006 ha evidenziato che il numero complessivo dei consiglieri è aumentato di 12 unità rispetto all’anno precedente essenzialmente per effetto di un aumento
dei consiglieri non esecutivi indipendenti. La Consob ha altresì evidenziato la tendenza seguita da alcune SGR a non utilizzare sempre lo stesso concetto di indipendenza definito nei protocolli di autonomia delle Associazioni di Categoria.
4.3 POSSIBILI SOLUZIONI DI TRASPARENZA E INDIPENDENZA