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A NALISI E RISULTATI : I LIBR

VOCE DELL’AUTORE

La presenza di Dava Sobel è tangibile quasi in tutta l’opera, a volte resa esplicita e altre volte nascosta in un commento o in un aggettivo. Ci sono capitoli dove si avverte maggiormente e parti dove invece la voce dell’autrice resta in silenzio.

In particolar modo si avverte la presenza dell’autrice laddove coincide con il narratore e parla in prima persona per raccontare frammenti della sua storia personale o farci vedere la sua prospettiva, come nell’incipit dell’opera, che dà immediatamente la sensazione della storia autobiografica che si mescola a quella della longitudine: «Una volta, quand’ero bambina, durante la passeggiata del mercoledì, mio padre mi comprò una palla di filo di ferro con tante perline, che divenne la mia passione. […] Mio padre mi portò in spalla dalla Quinta Strada al Rockefeller Center, dove ci fermammo a guardare la statua di Atlante, che sostiene cielo e terra. Il globo di bronzo sorretto da Atlante, simile al giocattolo che tenevo in mano, era una sfera cava, definita dalle linee immaginarie dell’Equatore, dell’Eclittica, del Tropico del Cancro, del Tropico del Capricorno, del Circolo Polare Artico, del meridiano fondamentale. Già allora la griglia della carta millimetrata che avvolge il globo era ai miei occhi un potente simbolo delle terre e delle acque del pianeta. Sono proprio le linee della latitudine e della longitudine che definiscono il mondo con un’autorevolezza che non avrei mai immaginato quaranta o più anni fa» (pp. 7-8). Emerge chiaramente in questo brano come l’uso della prima persona del narratore/autore che racconta un episodio della sua infanzia sia lo strumento per introdurre l’argomento principale, la longitudine. La storia personale fa da ponte verso la storia universale della scienza e coinvolge il lettore per mezzo delle sensazioni ed emozioni personali dell’autrice («era ai miei occhi un simbolo potente»).

Lo stesso stratagemma è utilizzato nell’ultimo capitolo, dove l’epilogo della storia di Harrison viene mediato dalla forte presenza dell’autrice, che qui nuovamente combacia con il narratore. Il capitolo si apre, infatti, con uno scorcio della sua storia personale: «Mi ritrovo sul meridiano fondamentale del mondo […]» (p. 139). Ma anche la successiva descrizione della cerimonia che segna le 13.00 con la caduta di una palla è raccontata tramite le sensazioni dell’autrice lì presente: «Questo anacronistico avvenimento ha un che di elegante. Com’è bella la palla rossa contro il cielo blu di ottobre, dove il forte vento da ovest spinge la massa soffice delle nubi […]» (p. 142). Per finire, l’epilogo della storia e del libro è segnato dalla commozione dell’autrice, che spinge anche il lettore a provare le sue stesse emozioni: «Ritrovarmi finalmente davanti a queste macchine, dopo aver letto innumerevoli resoconti della loro costruzione e del loro collaudo, e dopo aver visto ogni particolare del loro interno e del loro esterno in immagini ferme e in movimento, mi ha fatto venire le lacrime agli occhi. Mi sono aggirata tra gli orologi per ore […]. Mi piaceva la regolarità rassicurante con cui si muovono i componenti dell’ingranaggio [..]» (pp. 146-147).

Anche nel corso del racconto, l’autrice fa trapelare i suoi pensieri e le sue emozioni con commenti più o meno velati; per esempio, quando descrive le opere di Harrison: «Secondo i suoi ammiratori, Harrison non fu mai capace di esprimersi con chiarezza per iscritto. Nella sua mente si formavano idee brillanti che si concretizzavano negli orologi, ma di altrettanta luce non brillavano le sue descrizioni verbali. Nell’ultima opera pubblicata […] il primo periodo, praticamente senza segni di interpunzione, va avanti per venticinque pagine» (p. 59). Qui, oltre a raccontare con ironia e freschezza la capacità di scrittura del protagonista, l’autrice ci fa anche comprendere che ha dovuto compiere un lavoro di ricerca, studiando i lavori e i commenti dei contemporanei di Harrison («i suoi ammiratori») ma anche quelli di Harrison stesso.

Emerge poi dalla descrizione dell’H-4, il capolavoro finale di Harrison, che l’autrice ha visto il manufatto dal vivo: «Esposto con tutti gli onori in una vetrina del National Maritime Museum di Londra,

l’H-4 richiama ogni anno milioni di visitatori. Molti turisti si accostano all’Orologio dopo aver visto le vetrine con l’H-1, l’H-2 e l’H-3. I grandi orologi incantano grandi e piccoli: tutti dondolano la testa per seguire il movimento dei bilancieri […], tutti respirano a tempo con il loro ticchettio regolare e sussultano quando vengono sorpresi dal roteare sporadico e improvviso della ventola […]. Ma l’H-4 li ipnotizza» (p. 92).

Spesso gli interventi del narratore lasciano presagire la presenza dell’autrice anche nel parteggiare esplicitamente per il protagonista: «Il premio sarebbe dovuto essere consegnato a John Harrison senza troppe storie […], ma gli avvenimenti cospiravano contro di lui» (p. 103), «ma lui, comprensibilmente stanco dopo anni e anni di attesa […]» (p. 105). Anche la scelta del linguaggio riflette i pensieri dell’autrice: «Invece di mandare Harrison allo sbaraglio nella gabbia dei leoni, Halley lo indirizzò al famoso orologiaio George Graham. […]. Harrison temeva che Graham gli rubasse l’idea, tuttavia seguì il consiglio di Halley. Che altro poteva fare? […] Harrison andò da Graham alle dieci del mattino e alle otto di sera erano ancora lì a confabulare» (pp. 66-67). La «gabbia dei leoni» diventa il simbolo della fazione opposta a Harrison, il «confabulare» crea un’aria di intesa, quasi di cospirazione. La domanda «Che altro poteva fare?» ci fa entrare nei pensieri di Harrison, ma anche nei commenti di Dava Sobel che li immagina e li ricostruisce, con ironia e partecipazione.

A volte il narratore partecipa alle vicende segnalandone il lato buffo con il registro ironico: per esempio, durante il viaggio di Harrison sulla nave del capitano Proctor per dimostrare il corretto funzionamento del suo orologio, «Proctor non dovette preoccuparsi del funzionamento della macchina di Harrison. Era piuttosto lo stomaco di Harrison a destare allarme. Per tutta la burrascosa traversata, […] il povero orologiaio rimase a sporgersi oltre il parapetto della nave. Peccato che Harrison non abbia saputo sincronizzare il suo stomaco con i bilancieri a barra a forma di manubrio e le quattro molle elicoidali che aiutarono l’H-1 a mantenere un perfetto equilibrio durante tutto il viaggio. Misericordiosi, i forti venti sospinsero il Centurion rapidamente a Lisbona in una

settimana» (p. 70). Il «povero orologiaio», i venti «misericordiosi» e la costruzione delle frasi («Peccato che…») sono emblematici dell’ironia empatica dell’autrice.

Altre volte il narratore diventa esplicito e ci fa fare un salto nel presente con un suo commento: «Le grandi molle avvoltolate su se stesse fanno venir voglia di mettersi alla guida di quel congegno e muoversi alla volta di un’altra epoca. Nessun film di fantascienza sui viaggi del tempo, malgrado le trovate hollywoodiane, ha mai escogitato una macchina del tempo convincente come questa» (p. 68).

Riassumendo, quindi, si può dire che la presenza dell’autrice emerge in più punti dell’opera, per rafforzare la narrazione, introdurre un aspetto emotivo, riportarci al presente nelle pause del racconto, o farci immedesimare nel protagonista. Quest’ultimo punto, come vedremo, sarà essenziale per la struttura stessa dell’opera e dell’intreccio.